Terza Pagina. Il portuale e la sirena

di Giulio Debelli

Volevo tenere un diario, ma la cosa mi è sempre sembrata una stronzata. Sono troppo pigro per costringermi quotidianamente a scrivere. Poche cose in una giornata ordinaria colgono la mia attenzione. Sul lavoro quasi niente. Sto tutto il giorno in mezzo a barche, marinai e armatori, di loro so tutto quello che mi serve sapere… non fanno per me. Ho scelto di fare questo mestiere perché non sopporto i luoghi chiusi e i lavori sedentari. Sono nato con l’argento vivo addosso e non riesco a stare fermo. Da sempre penso e faccio più cose contemporaneamente, abito nel caos. Vivo tra le bitte dei moli, le cime d’ormeggio, tra le bestemmie, mie e dei pescatori. Vedo le barche arrivare e andarsene dal mio porto, le osservo sparire nei tramonti. Quello che ti dà il mare è indescrivibile, certe volte resti impietrito dalla bellezza del sole che sorge; l’alba dipinge il cielo con sfumature e dettagli infiniti. Le onde riflettono la luce e le nuvole sembrano sculture gassose, quadri metafisici: sono bellissime e terribili. Non potrei vivere senza il mare, di notte vedo le lampare in mezzo al golfo brillare come diamanti, sembra che ci siano stelle dappertutto, a trecentosessanta gradi, che risplendono come barlumi di luce tremante nella perfezione del silenzio. L’acqua, scura e calma, sembra una coperta mossa dal vento che al suono della risacca ti chiede di confidarle i tuoi segreti. Li terrà per sé e li custodirà nelle sue baie, ti ascolterà e saprà convincerti. I marinai parlano poco perché hanno già detto tutto quello che dovevano dire, solo che lo hanno detto al mare. Un uomo non potrà mai capire un altro uomo perché siamo tutti uguali e diversissimi allo stesso tempo. Ognuno di noi sogna e si dispera, diversamente da ogni altro individuo desidera e rinuncia ma, alla fine, cambiano solo le aspettative e le cose che vogliamo. Io, ad esempio, sono un musicista, per mestiere riempio silenzi ed è solo grazie a questo che so di avere un’anima. Componendo musica distruggo, invado spazi vuoti e inutilmente equilibrati, tento di inseguire quello stato di perfezione che un essere umano non potrà mai raggiungere nella vita. Devo riempire il mio vuoto di suoni e parole, ma questo spazio è troppo grande… troppo lungo, troppo profondo.

Ho raccontato a Mauro della mia storia con Lisa. Mauro è un pittore (e uno scultore) bravissimo, ha quasi settant’anni ed è un mio amico. Nella sua bottega imparo a disegnare e a scolpire la pietra e il legno. Lui mi insegna a materializzare le mie fantasie mentre mi parla e mi ascolta. “Cosa pensi di fare con questa ragazza?” “ Non lo so, maestro….è difficile da dire” “ Perché?” “ Sai, quando sono andato da lei mi ha portato a casa dei suoi e dormivamo insieme. Mangiavo con sua madre e suo padre. Mi hanno accolto come uno di famiglia. Suo padre mi mostrava i suoi fucili da caccia e come si fabbrica i proiettili da solo. Voleva portarmi a pesca nei torrenti di montagna… non so cosa pensare”. Mauro sorride, e si accende una delle mie Lucky Strike . “Poi?”, “Poi….tu hai dei figli, ti sei sposato…”. “Sì, e allora? Va avanti!”. “Eh che ne so. Un giorno mi dice che deve farmi conoscere suo nonno perché è la persona più importante della sua vita e mi ci porta. Io e il vecchio leghiamo subito, e lei mi dice che è stranissimo perché suo nonno solitamente non va d’accordo con nessuno. Poi non mi lascia andare a pesca col papà perché dice che abbiamo troppo poco tempo da passare assieme e mi porta in cima a una montagna dove c’è questo monastero, è talmente in alto che le nuvole lo attraversano. Un posto mistico, pieno di energia. Io e lei ci passeggiamo mano nella mano e io mi sento in equilibrio con me stesso in modo pazzesco. Stavo bene Mauro, molto bene…. magari lei no, non so guarda , non capisco”. “Non hai capito cosa?”, “Cazzo Maestro, non ho capito come una donna può farti fare queste cose e poi comportarsi come se non esistessi più. Cristo io non lo farei neanche con un amico”. “Ma che cazzo dici! Lo hai appena fatto con quella ragazza sudamericana…”. “ E’ diverso. Io non le ho mai promesso niente, e lo sai!” “ E Lisa invece cosa ti aveva promesso, genio?”. Mi guardò fisso negli occhi puntandomi contro uno scalpellino. Verso’ da bere e mi porse il bicchiere. “Questo vino è del Collio. Buonissimo. Costa poco ma è di grande qualità. A volte le cose semplici sono difficili da capire e da trovare, ma noi abbiamo il dovere e il bisogno di viverle, possederle e quindi dobbiamo cercarle con costanza.

Buttò giù il bicchiere in una sorsata e se lo riempì. “Va’ da lei, ragazzo. Vai in quella città del cazzo e dille che la ami. Dille che ti manca e poi vedi cosa ti risponde. Le donne sono assurde, non le puoi capire, credimi io lo so…..non si capiscono nemmeno tra loro. Fregatene di quello che dice la gente o il suo ex o tua madre. Fai quello che devi fare”. “E se vado la e lei ha un altro?”. “Gli offri da bere e te ne torni a casa. Almeno avrai le tue risposte, marinaio”. “Farò così, cazzo, ma mi sento un cretino totale”. Mauro scoppiò a ridere… “Ma tu sei un cretino! Quale uomo sano di mente si innamorerebbe di una donna che vive lontano e che non può vedere tutti i giorni? Te lo dico io che vivo a Trieste e amo una donna francese che vive a Parigi!”. Mi faceva bene stare con Mauro. Era proprio un Maestro. Era basso di statura e aveva i capelli bianchi. Barba sfatta di una settimana baffi e mosca. Aveva l’aspetto che un artista dovrebbe avere e il suo sguardo era sempre sereno. “Ci vediamo mercoledì, porta il mogano e facciamo queste rune… Lisa sarà felice di ricevere da te qualcosa che hai fatto con le tue mani. E’ una cosa molto bella, denota studio, interesse e devozione. Significa che hai pensato a cosa le piace e hai cercato di crearlo tu stesso per lei. E’ una cosa che ha un che di magico e se non lo apprezza vuol dire che non va bene per te. Credimi.”

Lasciai il suo studio per andare al lavoro. Di strada mi fermai al supermarket. C’era la birra in offerta speciale 0,80 euro per 66 cl. Ne presi una cassa. Non volevo che i miei zuccheri si abbassassero. Arrivai giù al porto e misi le birre in frigo, guardai le comande: trainare imbarcazione Gaviota dal posto barca 108 al posto barca 18; fare cime d’ormeggio all’imbarcazione Santa Maria. Controllare le “palancole” della diga via mare. Cazzo, un bel pomeriggio pieno! Accesi la radio, musica decente zero. Bestemmiai stappando una Lasko, “bevo Lasko fin che casco!” e giù il primo sorso. Finita la boccia andai sul gommone con le cime per la traina. Dovevo fare sempre tutto da solo. Il nuovo mondo del lavoro è questo: riduzioni del personale, aumento di mansioni e “conseguente” abbassamento del salario. Porca puttana possiamo vedere film porno sul telefono ma non sappiamo quando e se mai andremo’ in pensione. Mollai gli ormeggi della barca a vela e la trainai fino al nuovo posto. Faceva freddo, ma almeno non c’era vento. Controllai la diga e feci una descrizione dei danni, poi mi misi a fare le piombature alle cime del “Santa Maria” bevendo birra, ascoltando la radio e bestemmiando. Guardavo l’ovest e cercavo di immaginare cosa stesse facendo Lisa. Niente. Non ci riuscivo, così continuai a bere e a fissare l’occidente. A fine turno ero ubriaco e cantavo da solo canzoni di Ivan Graziani. “Lugano Addio”. Ero solo in un porticciolo da trecento posti barca, anche senza vento faceva molto freddo, e le dita delle mani stavano diventando blu. Passeggiavo sui pontili deserti e guardavo la luna. Ancora mezz’oretta e avrei finito il turno. La fase seria della giornata era quasi finita, tra poco sarei entrato nella fase pericolosa: stavo per inserire la modalità “bar notturno”. La vita è così, una mosca che ronza sull’abito bianco di una sposa all’altare. Era tutto molto confuso, il mio lavoro non mi dava nessuna soddisfazione, ero sempre in quella darsena del cazzo, sei giorni su sette, per otto, talvolta dieci ore al giorno. Lisa mi mancava terribilmente ma non cercavo più di contattarla, non volevo romperle la scatole con telefonate e messaggi. Me ne andai a casa. Solo e stanco. Stavo seduto al mio tavolo in teak per sei persone e guardavo la bottiglia di whiskey che mi stava davanti , mi invitava così intensamente che decisi di versarmi un cicchetto. Avevo la birra e avevo il whiskey…. con un po’ di fortuna avrei trovato anche un po’ d’erba nascosta in qualche barattolo di caffè. Chiusi gli occhi e chiesi al demonio l’anima di Lisa. Buttai giù il cicchetto e attaccai la birra. Wild Turkey e birra Lasko “tappo oro”… . Mi ubriacai in solitaria e andai a letto bestemmiando e borbottando strane frasi, portai con me il whiskey e lo appoggiai sul comodino. Accesi l’ultima Lucky e fissai il soffitto. Mi misi a ridere ripensando alla mia inutile e insufficiente giornata. Caddi in un sonno profondo. Ricordo solo che poco prima di addormentarmi meditai sulla possibilità di fare l’ennesimo prestito in banca per una vacanza su qualche isola al fine di riflettere un po’ sul mio status confusionale… come al solito lasciai tutto in sospeso e non decisi un cazzo.

Sognai di essere su un molo pronto per imbarcarmi su un due alberi di venti metri circa. Era tardo pomeriggio e l’ovest si preparava alla sua scena madre: il tramonto. L’imbarcazione era bellissima, era fatta interamente di legno e si notavano gli ottoni lucidissimi che brillavano al sole. Era una barca molto vecchia, risalente a prima della seconda guerra mondiale, ma ciò nonostante sembrava nuova di zecca! A bordo c’era solo un uomo, un vecchio con barba, baffi e capelli bianchi. I suoi occhi erano di un azzurro chiarissimo, il tipico colore della razza dalmata. Era abbronzatissimo e fumava una sigaretta senza filtro che teneva tra i denti. Era il comandante, era magro, scalzo e aveva l’aspetto di un forte bevitore. “A bordo, figliolo! Non abbiamo tanto tempo!”, “Arrivo Capitano”. Lanciai il mio sacco sul ponte e montai su. Il vecchio mi sorrise: “Non si risponde così, figliolo, si dice – aye aye – …. ma ti perdono”. Ricambiai il suo sorriso. Guardai le sue mani ossute che grattavano la barba ingiallita sotto i lati della bocca. Sembrava tranquillo. “Molla gli ormeggi ragazzo, dobbiamo muoverci adesso!”, “Aye aye capitano!” Alla mia risposta sorrise e mi strizzò l’occhio. “Capitano sono un po’ confuso, vede io mi trovo qui con lei, su questa barca bellissima ma non so il perché. È strano ma… non ricordo niente”. Buttando fuori il fumo dalle narici il vecchio mi fissò dritto negli occhi e disse: “Non è affatto strano ragazzo. Comunque sia si va a pesca. A pesca di sirene. Oppure a caccia, se preferisci”. Si mise a ridere. Stava al timone con naturalezza e non sembrava affatto sorpreso dalla mia domanda. “Sirene, capitano?”, “Sissignore. Sirene! Non hai forse un piccolo contenzioso con una di loro, giovane mozzo?”. “ Beh, non credo Capitano… non che io sappia almeno”. “Ma tu non hai forse il cuore intrappolato nelle fauci di un demone? Sei o non sei tu il marinaio che vorrebbe lasciare il mare e cambiare vita, città e chi più ne ha più ne metta per seguire una donna? Una donna che vive lontano e che ti ha rubato l’anima e incasinato il cervello?”, “Aye aye capitano” dissi tristemente guardandomi i piedi. “Già, sei proprio tu quello!”. Mi venne incontro benevolmente e disse “Prendi il timone cazzo, vado a cercare una cosa di sotto. Punta quella grossa nave alla fonda laggiù, verso Venezia e a la via così fino a che non ritorno. Si va a pesca di sirene!”. E sparì sottocoperta. Presi il timone e governai la barca. Mi sentivo a mio agio e sentivo un vento leggero sulle guance. Il mare era la vita, era il portale per la libertà. Il comandante ritornò a poppa e mi fece bruscamente cenno di spostarmi e di lasciare a lui il timone. Una volta al comando della sua barca si rilassò e si accese un’altra sigaretta. “Non esistono le sirene capitano… per prendermi per il culo può raccontarmi altre storie di mare, ma sirene… suvvia”. Scoppiò di nuovo a ridere sonoramente. Guardò un punto all’orizzonte e legò la barra del timone bloccando la rotta poi venne verso di me, buttò la sigaretta in mare e ne accese immediatamente un’altra. Issò un cimino che pendeva fuori bordo e recuperò una bottiglia di vino da due litri. Ci sedemmo.
“Nove metri sott’acqua”  – disse – “ questa è la temperatura ideale per la malvasia. Lo sapevi?”. “ No”. “Beh è così! Assaggia!”. Diedi un sorso generoso e gli ripassai la boccia. Ammiccai e lui sorrise. “Ci sono molte cose che non sai, giovane uomo, Per esempio non sai che le sirene esistono e sono esseri spietati. Tu non lo sai ma sono reali, sono esseri magnifici, infidi e pericolosissimi. Però – e fece una smorfia di ripicca – possiamo pescarli. Solo che sono cacciabili solo al tramonto.” Si fece serio e riprese “Abbiamo venti, forse trenta minuti in cui questi demoni vanno in calore e per questo brevissimo tempo perdono i loro poteri. Pescare una sirena è facile, ucciderla un po’ meno… vedremo se sarai abbastanza uomo da dominare le tue debolezze e imporre la tua volontà, o se resterai ciò che sei adesso: un natante alla deriva nel mare della vita! Adesso bevi. Quando saremo sul punto ti spiegherò cosa faremo e come. Ricordati che a bordo il comandante è Dio e gli ordini sono la Legge. Io qui sono il capitano, il nostromo e il marinaio e tu non sei un cazzo! Ma non ti preoccupare, mi sei simpatico. Tu ragazzo mi sei sempre piaciuto!”.

Era una frase strana e detta da un tipo che vedevo per la prima volta mi dava un leggero senso di manicomio… . “Mi sei sempre piaciuto, figliolo, e quindi ti aiuterò. Adesso però per piacere bevi e non rompermi più i coglioni!”. Era come se fossi finito nel film “Lo Squalo” , il capitano era evidentemente fuori di testa ma sembrava molto più affabile di quello del film. Stava al timone e fischiettava canzoni sconosciute, probabilmente di sua invenzione. La barca scivolava dolcemente sull’acqua e il cielo aveva sfumature irripetibili e molteplici, le nuvole erano grigie, lilla, porpora, il sole stava calando e le colline del Carso erano sempre più scure e distanti. Il mare, al contrario di me, era calmissimo. “Stiamo arrivando sul punto. La fossa è a poche centinaia di metri. Quando do il comando butta l’ancora!”, “Aye aye!”, dissi io. Lui si accese un’altra e virò leggermente. “Butta!”. Da prua lasciai cadere l’ancora e lui armeggiò un po’ al timone, dopo poco la barca si fermò e il comandante sorrise. “Bene” – disse – “ Io pesco. Tu stai all’argano e manovra la rete. Quando te lo dico io la dovrai calare in acqua, la troia la issiamo a bordo con quella!”, e indicò la rete legata all’argano. Tirò fuori una canna per la pesca d’altura, l’amo era impressionante: grosso come un dito e alto circa dieci centimetri. Da una scatola prese un vibratore a batteria e lo accese, poi lo avvolse nel cellophane e lo innescò all’amo. Io ero allibito. Lanciò con forza e nell’attimo in cui l’esca toccò la superficie vidi la scena del dildo che dolcemente scendeva vibrando verso il fondale. Vedevo tutto perfettamente, come una telecamera sottomarina messa lì a riprendere la scena. Dopo pochi secondi il vibro scomparve nel buio delle acque. Il mio sguardo ritornò a bordo e osservai il mio capitano tracannare di gusto la malvasia. “Nove metri cazzo!”. Fumava non-stop.

“Quante sirene dovrebbero esserci in questa zona?” chiesi. Iniziò a ridere ancora più forte di prima, tanto che sbavava e tossiva fuori il fumo spasmodicamente. Notai che i suoi denti erano inverosimilmente bianchi. “Tu ancora non mi credi, figliolo! Una, per Dio! Ce n’è una soltanto in questa zona….la tua! Ha ha ha! Sii paziente, la pesca è l’arte della pazienza!”. “ Ma come?! Capitano cosa sta dicendo?!”. “ Ogni marinaio ha una sola sirena che lo perseguita. Lei ti segue, ti sente. Annusa il tuo odore come un cane da caccia o… un pescecane da pesca. Ha ha ha. Si nutre della tua sofferenza e gode delle tue paure. Più tu l’amerai e più facile sarà per lei distruggerti. E lo farà puoi credermi…, ma lo farà lentamente. Ti grattugerà l’anima come il vento leviga le scogliere! Ti sgretolerà lentamente e, a poco a poco, quando avrà finito di giocare con te, tu creperai. Morirai senza aver mai vissuto e, aggiungo io, senza avere mai capito un cazzo!”. Scosse la testa e sputò in mare, poi accendendosi l’ennesima cicca aggiunse “Vedi, figliolo, come ti dicevo prima, la sirena va in fregola… si insomma, beh, va in calore solo al tramonto. Sentirà la tua presenza e cercherà il tuo cazzo ma, non trovandolo, si accontenterà della nostra esca. In questi venti-trenta minuti al giorno – beh forse non proprio tutti i giorni – lei ti ama veramente, ti desidera davvero, ed è proprio in quel preciso momento che noi la inculeremo! Inizierà a masturbarsi con quell’aggeggio e noi la lasceremo fare per qualche minuto. Prossima all’orgasmo cercherà di allontanarsi con l’esca e noi lo sapremo perché il cimino della canna inizierà a beccheggiare, prenderà filo pian piano, e quando inizierà a godere veramente vedrai la canna piegarsi di scatto! Ciaf! A quel punto dovrò ferrare con forza e sarà nostra! Queste troie non sanno rinunciare al piacere ed è su questo che faremo leva per catturarla.”
I suoi occhi erano sbarrati e invadevano i miei, mi faceva paura. Il tipo ci credeva davvero! Poi aggiunse “Beh, in realtà è simile alla pesca delle orate solo che quelle pesano di meno”. Guardavo il sole che calava in mare e cercavo a occidente qualcosa di misterioso e antico, cercavo risposte, cercavo una via di pace e grazia. Il capitano si voltò verso di me e deciso mi disse: “La sua lussuria sarà la sua condanna! Fra poco abboccherà, ne sono certo. Allora la tirerò fin qua sotto e tu dovrai essere veloce nell’eseguire il comando. Quando darò l’ordine tu calerai la rete e con quella tireremo la troia a bordo. Chiaro?!”. Con un filo di voce risposi: “Aye aye, capitano. Aye aye”. Mi fece vedere come usare l’argano e mi fece fare due tre prove pratiche simulando il corpo della sirena con un grosso parabordo, me lo fece recuperare dopo averlo buttato a mare mentre lo dimenava con una scotta alla quale era legato. Era semplice.

A un certo punto sentii friggere la frizione del mulinello. Restai di stucco. Qualcosa aveva abboccato davvero e quel qualcosa prendeva lentamente metri di filo. Il mare inghiottiva il filo da qualche minuto e il cimino della canna tremava, così il capitano si puntò con i piedi a poppa e ferrò con forza. Il tramonto stava diventando notte e il cielo era color prugna, la lotta tra il comandante e la preda era impari, non c’era una grossa resistenza, solo peso da issare a bordo, nient’altro. Un tonno o uno squalo avrebbero dato battaglia, questa cosa invece opponeva solo l’attrito della sua massa, era come recuperare uno straccio sommerso.
“ E’ nostra…. Ha ha ha!”. “Quante ne ha pescate prima di adesso, capitano?”. “Quante dici? Beh una sola figliolo….la mia!”. “E poi? Che cosa ne ha fatto?”. Il capitano aveva il fiato grosso. “L’ho fatta a pezzi col machete ragazzo, e tu farai bene a fare la stessa cosa con questa qua, se vuoi la libertà la devi scannare!”. A quel punto ero terrorizzato. Speravo che avesse abboccato un pesce ma sapevo che non poteva essere così. Guardai la superficie dell’acqua e vidi un’ombra della stazza di un essere umano. Poi l’ombra si fece chiara e vidi la coda iridescente della sirena che aveva tutti i colori che amavo: il lilla, il rosa, l’avorio. La lenza le fuoriusciva dall’inguine e la trascinava all’indietro verso la barca. Lei tentava di nuotare con le mani e le braccia protese in avanti… dalle cosce fuoriusciva del sangue che si intravvedeva a stento nell’acqua scura. Era spacciata. Tentava inutilmente di nuotare verso il fondo, probabilmente il dolore dell’amo fra le gambe non le permetteva di usare la coda che, notai,le partiva appena da sotto il culo.

Ormai era sotto bordo. Mi faceva pietà. “Ammaina!”. Calai la rete in mare. Il comandante la gettò sopra la trappola e gridò ”Issa!”. E io issai. Buttò la canna sul ponte e mi allontanò con una spinta. Si mise all’argano e portò la sirena a bordo. Con una scotta fissata all’albero maestro assicurò la rete in modo che rimanesse sospesa a circa un metro e mezzo da terra. La sirena era bellissima. La coda cambiava colore continuamente: il lilla si faceva arancio e l’avorio turchese. La guardai: era Lisa. I suoi occhi verdi erano arrossati e pieni di rabbia, soffiava come un gatto e soffriva tremendamente. Sotto di lei c’era una pozza di sangue che le scendeva dal basso ventre e colorava il ponte di rosso. Guardandola mi si strinse i cuore. “Prendi un secchio e mettiglielo sotto al culo, per dio, così mi rovina il legno!!” Eseguito l’ordine sospirai e volgendo lo sguardo al mio capitano dissi: “Non posso ucciderla, capitano”. “Ma tu devi ucciderla!” disse sottovoce il capitano. “Non posso, non ci riesco… non lo voglio fare!”. “ Tu non capisci ragazzo, se non lo fai adesso sarà lei a uccidere te! Non lascerà mai la tua mente, impazzirai. Ricorderai la sua voce, l’odore dei suoi capelli… Porca puttana persino l’odore delle sue scoregge ti assillerà la mente! Ammazzala e facciamola finita!”. “Non posso, Capitano”. “Marinaio”  – e il suo tono di voce cambiò e divenne autorevole e calmo – “Ti ordino di prendere il machete e di scannare questa puttana, e te lo comando adesso! Sopra il tavolo del carteggio sta appeso il mio machete. Avanti!”.

Andai sotto coperta a testa bassa e presi il machete. Quando tornai sul ponte vidi il mio capitano seduto sotto la mia sirena che beveva a canna e fumava. Le stava parlando. “Volevi l’anima di questo giovane uomo, eh, troia? Beh, col cazzo! Ti farà a pezzi e ritornerà a essere libero! Di te, cara, faremo brumeggio e pescheremo tutta la notte! Ha ha ha, sei una gran puttana, ha ha ha!”. Lei soffiava e dimenava la coda poi si calmò di botto e mi guardò. A quel punto ero in piedi alle spalle del vecchio capitano che la fissava e rideva. Fu in quel preciso istante che calai con forza il machete sulla sua testa. L’uomo libero vacillò, cadde di lato e il suo sangue si mescolò con quello della sirena. Lo buttai a mare con un paio di calci. Galleggiava. Poi col machete tagliai il filo della lenza e la sirena si liberò del dildo gettandolo verso di me. Mi sorrise. Sciolsi la scotta e portai la rete fuori bordo. Mi misi a piangere e la guardai per qualche secondo. “Sei bellissima e… Sei libera!”. Di scatto tagliai la rete dall’alto e la lama del machete scintillò alla luna, lei cadde in acqua e scomparve per qualche istante, poi sua la testa riaffiorò in superficie, soffiò ancora contro di me, quindi afferrò il cadavere del Capitano e scomparve nell’oscurità del mare. Ero triste, avevo ucciso un uomo per liberare un mostro. Mi sdraiai a prua con la bottiglia e iniziai a bere contemplando il cielo della notte. La luna era magnifica e perfetta, la miriade di stelle bianchissime sopra i miei occhi in lacrime. Uno scenario surreale. La luna e le stelle: i testimoni perfetti, quelli che non parlano. Il capitano aveva lasciato le sigarette vicino al secchio… gliele rubai, tanto a lui non servivano più.

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