Il Vangelo secondo Carrère

di Daniele Lettig

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Si prova una sensazione ambigua, una volta giunti alla conclusione dell’ultimo libro di Emmanuel Carrère, Il regno (tradotto dal francese – con qualche sbavatura – da Francesco Bergamasco, Adelphi, € 22): un misto variabile di irritazione e fascino, sentimenti che si sono alternati lungo tutte le oltre quattrocento pagine del volume e che le ultime due parole – “Non so” – contribuiscono a lasciare in sospensione. Irritazione, per l’ego strabordante che l’autore francese dispiega nel libro: lo si era già visto nei lavori precedenti – L’avversario, Vite che non sono la mia, Limonov – ed è senza dubbio la sua cifra stilistica, ma qui esso si eleva a un livello nuovo e, probabilmente, non sostenibile oltre (Carrère stesso ha detto in un’intervista che “per la prima volta da anni non ho un libro in corso, da cominciare subito”). Fascino, perché è proprio questo stile che avvince il lettore, riuscendo a coinvolgerlo e a fargli anche chiudere un occhio su alcune interpretazioni oggettivamente forzate (talvolta troppo) dei fatti su cui si basa il romanzo. Carrère è questo stile: mette in campo tutto se stesso, arrivando a squadernare davanti ai lettori la descrizione dei propri video pornografici preferiti. E in più, gioca con questa tecnica fino al limite estremo, infischiandosene se in certi momenti la sensazione di stucchevolezza diventa insostenibile e le forzature nell’attribuire scelte e atteggiamenti psicologici a personaggi di duemila anni fa – San Paolo e l’evangelista Luca – fanno storcere il naso.

È questo il prezzo da pagare, perché stavolta – a differenza delle opere precedenti – la storia raccontata non è quella di persone che lo scrittore ha conosciuto e che lo hanno spinto a scrivere di loro. È invece la sua, e nello stesso tempo quella di una setta religiosa nata duemila anni fa, il cui messaggio predicato da un rabbino ebreo di nome Gesù ancora ci influenza tutti, anche se siamo “radical-chic, per cui il corso di yoga domenicale ha preso il posto della messa”.

L’idea del libro ha accompagnato Carrère per una quindicina d’anni, a partire dalla fine del periodo in cui si era avvicinato alla fede cattolica: al culmine di una fase “orribile” della sua vita (“non riuscivo più a scrivere, non sapevo amare”) lo scrittore fu infatti “toccato dalla grazia”, catturato da un versetto del Vangelo di Giovanni: “il mio desiderio più grande era proprio questo: essere portato dove non volevo”. Partendo dalla propria esperienza di fede, durata quasi tre anni e vissuta con tutto lo zelo del neofita che riempie diciotto quaderni di commenti al Vangelo, l’autore incomincia quindi una lunga ricognizione sulla fase cruciale del cristianesimo: quella che si colloca tra la predicazione di Gesù e il diffondersi delle prime comunità all’interno dell’impero romano, in cui i seguaci del nazareno erano ancora né più né meno che una frazione del popolo ebraico. Non è quindi un caso che nel racconto Cristo stia ai margini. Carrère ne parla solo per rimarcare la sua forza di attrazione sulle masse e la novità radicale del suo messaggio (oltre che la sua carica di violenza: dal Vangelo di Marco, il più antico, si ricava “un’impressione di estraneità, durezza e minaccia piuttosto che di dolcezza”).

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I due veri protagonisti del volume sono, al contrario, Paolo e Luca. Il primo è l’apostolo che non aveva mai conosciuto Gesù direttamente, ma solo al momento della caduta sulla via di Damasco, e che porterà in giro per le province d’Asia una dottrina secondo cui l’unica cosa importante è la fede nella parola del Salvatore, che è rivolta a tutti e non solo al popolo ebraico. Impostazione che alla lunga finirà per prevalere e che però lo porrà in radicale conflitto con la comunità di Gerusalemme, le cui “colonne” sono Pietro e Giacomo, fratello di Gesù.

Il medico macedone Luca, invece, incontra Paolo durante uno dei suoi giri di predicazione, e decide di seguirlo. In seguito, dopo la sua morte e la distruzione di Gerusalemme del 70, si impegna a scrivere la storia della vita di Cristo, e – secondo lo scrittore francese – la parte degli Atti degli apostoli che narrano la vita di Paolo. Ed è raccontando dell’evangelista che Carrère rivela scopertamente il suo gioco letterario: Luca “si propone di fare opera di storico. Promette (…) un’inchiesta sul campo, un resoconto affidabile: un lavoro serio. E che cosa fa subito dopo aver enunciato questo programma, già a partire dalla riga successiva? Un romanzo. Un vero e proprio romanzo”: come me – sembra quasi aggiungere Carrère.

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