La via di Antigone (e le ragioni di Agamben)

di Eleonora Zeper

È meglio morire seguendo la propria legge che salvarsi attraverso quella di un altro.
(Bhagavad Gita)

Le leggi degli uomini vanno rispettate anche quando il singolo le considera ingiuste?

Critone implora Socrate, ingiustamente accusato dalla città, di fuggire dal carcere. Il maestro, di cui immaginiamo tanto la calma stanchezza quanto l’imperturbabile serenità interiore, rifiuta. I motivi di tale rifiuto che ricaviamo dai dialoghi – l’Apologia, il Critone, il Fedone – che Platone dedica all’uscita di scena del filosofo si integrano l’uno con l’altro. La risposta data nel Critone è di carattere politico e riprende un tema che percorre l’intero pensiero socratico: l’idea secondo la quale sia meglio subire ingiustizia che commetterla. Si tratta di un tema dibattuto nel Protagora e soprattutto nel primo libro della Repubblica e nel Gorgia, dialogo in cui la posizione di Socrate trova il suo contraddittorio in Callicle, sofista che esalta il coraggio di commettere ingiustizia invece di subirla. Nietzsche prenderà le parti di Callicle.
Nel Critone il maestro chiede al suo discepolo di immaginare che le Leggi stesse si rivolgano a Socrate condannando l’idea della fuga. Le argomentazioni che le Leggi presentano a Socrate possono essere ricondotte a tre punti fondamentali. In primo luogo il mancato rispetto delle leggi da parte dei cittadini porterebbe alla disgregazione della città che su tali norme si fonda; Socrate, inoltre, non deve mostrare irriconoscenza per quelli leggi grazie alle quali lui stesso venne generato ed educato; la comunità politica di cui le leggi sono emanazione, infine, va rispettata e amata più degli affetti privati.
Socrate viene mandato ingiustamente a morte e, per non violare una legge ingiusta, ci va. La prima risposta è dunque quella di Socrate: la legge va rispettata sempre, per l’uomo è meglio subire che commettere ingiustizia.

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Creonte, nuovo re di Tebe, pubblica il suo famigerato bando: Polinice è dichiarato nemico della patria e nemico della patria sarà allo stesso modo chiunque oserà dargli degna sepoltura. Antigone, sorella di Polinice e figlia di Edipo contravviene alla legge degli uomini, viola il bando dello zio Creonte e seppellisce simbolicamente Polinice, morto nel tentativo di strappare il potere al fratello Eteocle. L’Antigone di Sofocle, massimo capolavoro della tragedia antica, è la tragedia del conflitto fra il singolo e la comunità. Antigone viene messa a morte dallo zio e, sebbene all’ultimo momento la sentenza venga commutata in carcere a vita, viene trovata impiccata.
Il tragico scaturisce lì dove non vi è un’unica verità, lì dove ognuno ha le sue ragioni, lì dove l’eroe cammina fra due abissi. Il tema principale dell’Antigone, come l’Occidente ben sa, è quello del conflitto fra la legge degli uomini, rappresentata da Creonte, e quella degli dèi, rappresentata da Antigone, fra legge scritta e legge non scritta, fra bene pubblico e bene privato, fra ragion di stato e morale, fra regole e libertà. Se Hegel riconosceva ancora che la grandezza della tragedia sofoclea stava nell’equidistanza e nella inconciliabilità dei due mondi di valori di cui Antigone e Creonte sono portatori, il Novecento ha preso sempre – e con uno slancio emotivo senz’altro condivisibile ma, in molte occasioni, ipocrita -– le parti di Antigone.
La seconda risposta è quella di Antigone: la legge degli uomini, se ingiusta, va violata in nome di una legge superiore, anche a costo della propria vita.

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Negli ultimi mesi il filosofo Giorgio Agamben ha scritto alcuni articoli sulla situazione attuale, articoli che sono stati tutti pubblicati in un libricino edito lo scorso giugno per la casa editrice Quodlibet e intitolato A che punto siamo?, l’unica domanda che, secondo Agamben, dovrebbe porsi ora la filosofia. Ancora il 26 febbraio 2020 i suoi articoli venivano pubblicati dai quotidiani italiani, il 20 marzo Il corriere della sera gli richiedeva un articolo, in seguito lo rifiutava a causa del suo contenuto; da allora pare che nessun giornale italiano ne abbia più richiesti né pubblicati.
Uno dei massimi filosofi italiani viventi denuncia nei suoi scritti le limitazioni della libertà che stiamo accettando per quella che lui chiama “biosicurezza”, in nome della quale abbiamo assistito all’instaurarsi del terrore sanitario e alla presa di potere di una sorta di dispotica religione della salute. Tali limitazioni vengono accettate in nome di quel desiderio di sicurezza che gli stessi governi, tramite i media, hanno indotto.
Questo “dispotismo tecnologico-sanitario”, che pare voler fare dello stato di eccezione la norma, viene interpretato come funzionale all’affermarsi di una nuova struttura di relazioni fra gli uomini: il termine ‘distanziamento sociale’ definisce tale struttura. In pratica le relazioni fra uomini ‘in presenza’ vengono soppresse in nome della difesa di quella che Agamben chiama “nuda vita” e vengono sostituite con relazioni virtuali per evitare ogni possibilità di contatto-contagio fra gli esseri umani.
Il filosofo continua spiegando che quella che lui chiama “l’abolizione del prossimo” era qualcosa a cui eravamo già preparati da decenni di “peste digitale”; si chiede che cosa sia una società disposta a rinunciare a tutto – convinzioni, credenze, relazioni, amori, amicizie – in nome della semplice sopravvivenza. Una società che è stata capace, lo si ricorda pochissimo, di impedire di celebrare le esequie funebri: dall’Iliade in poi, passando per l’illustre esempio dell’Antigone, la sepoltura è sempre stata considerata primo e ultimo segno di civiltà. E dunque ancora una volta l’autore si chiede: a che punto siamo?
La risposta di Agamben è la denuncia, in un momento in cui ci si stupisce del silenzio di ogni forma di opposizione. Consiglio la lettura di questo libro a tutti.

Fin qui Agamben. E noi?
Non posso pronunciarmi sulla gravità dell’epidemia, per quanto mi sembra abbastanza chiaro che non sia né la peste né l’ebola. In ogni caso ci sono una serie di fatti che vanno ricordati e commentati. Li ho selezionati secondo la mia esperienza e sensibilità.

1) La mascherina, che tutti sanno essere del tutto inutile all’aperto, è obbligatoria ormai in ogni contesto. All’aperto sempre, tranne quando beviamo, mangiamo, fumiamo. Il consumatore assoluto che siamo chiamati ad essere deve essere quindi senza volto. Può ritrovarlo solo come momentaneo zuccherino del suo consumare e questo solo a causa della scomoda coincidenza per la quale gli orifizi da cui entra la merce si trovano sul suo viso.
2) Milioni di studenti sono stati e sono costretti a portare la mascherina per sei ore di lezione, non devono toccarsi né avvicinarsi gli uni agli altri. Questo privilegio è riservato infatti agli avventori, che fa rima con elettori: le scuole sono state chiuse e verranno chiuse nuovamente perché bambini e ragazzi non consumano a sufficienza e non votano. Il governo pare far proprio il motto secondo il quale con la cultura non si mangia. Ma che fine farà una società che crede di vivere di solo pane? Forse morirà di inedia spirituale…
3) Numerosi canali di controinformazione hanno subito varie forme di censura in questi mesi, alcuni medici sono stati fatti tacere, arrestati o radiati perché hanno espresso delle opinioni contrarie a quelle dominanti. I casi che non è stato possibile passare sotto silenzio sono quello del medico italiano Stefano Montanari, denunciato, e di recente, quello del medico tedesco Heiko Schöning, arrestato a Londra: entrambi colpevoli di parresìa. Sulla rete rimangono quasi solo articoli e video di bassa lega che mescolano il coronavirus con Ufo, scie chimiche e congiunzioni astrali: non risulta troppo difficile accusarli di scarsa attendibilità.
4) Da anni ascolto Radio Tre. La mattina, dalle 8 alle 8.45 c’è un programma che si chiama Prima Pagina: gli ascoltatori chiamano e fanno domande al giornalista di turno, di volta in volta appartenente a una delle testate più importanti del paese. Nelle ultime settimane ho sentito più di una persona esprimere il proprio dissenso, in modo pacato o passionale, e la propria delusione nei confronti di un’emittente che credevano offrisse garanzia di libera espressione. La risposta del giornalista di turno è stata sempre e invariabilmente evasiva e dogmatica: la salute è un bene intoccabile, chiunque non lo riconosca è un criminale privo di senso civico e umanità. Si ritorna così a quella religione della salute di cui parla Agamben. Le telefonate disperate e incredule degli spettatori hanno smesso da un po’. Non mi meraviglierei se fra un po’ saltasse fuori un ascoltatore che mescolasse il cosiddetto negazionismo con l’invasione degli extra-terrestri.
5) Il termine negazionismo, in genere riferito alle teorie di quegli storici che negano, in parte o del tutto, il genocidio ebraico o altri eventi storici simili, viene applicato con nonchalance alla pandemia. I due fenomeni vengono identificati, il capro espiatorio risulta pertanto costruito con una sola, pesantissima, parola. Colpevoli sono quelli che non hanno rinunciato al contatto fra esseri umani, ma ancora più colpevoli sono coloro che mettono in dubbio la versione del Ministero della Verità. Nessuno ricorda 1984 di George Orwell? Nessuno ricorda Alessandro Manzoni e la sua denuncia della secentesca caccia all’untore? Forse solo qualche sito di controinformazione e Agamben…
6) Governare coi DPCM non è democrazia. A comportamenti simili l’Italia si era abituata da decenni. Mi sa che per governi e media sarà più difficile giocarsi la carta della retorica democratica in futuro; che la democrazia moderna è bell’e morta, qualsiasi cosa sia mai stata, è sotto gli occhi di tutti.
7) I DPCM propongono una casistica che ha dello sconcertante. Non ricordo dove l’ho sentita paragonare agli elenchi gesuitici di peccati e relative penitenze. In ogni caso è da rilevare la smania di onnipotenza e di controllo della nostra società. L’uomo è ridotto a numero e a oggetto nello spazio, le sue attività possono e devono essere incasellate, regolamentate e controllate al dettaglio: la variabile umana è sistematicamente soppressa. Ma, a ben guardare, anche a questo come alla comunicazione digitale, ci eravamo assuefatti già da decenni.

Come possiamo rispondere a tutto questo? Dove sta la retta condotta? Dove il confine fra azione e provocazione, fra resistenza interiore e pigrizia? Qual è la legge da seguire?
La legge, ai tempi di Socrate, si muoveva ancora fra divino e umano; la comunità politica aveva un ruolo e un significato reale nella vita degli uomini. Aveva un senso parlare di amore per questa comunità. Socrate soccombe alle ingiuste leggi della polis perché di quella polis si sente ed è parte. Gli basta sapere di essere morto nel giusto, muore seguendo la sua legge interiore, che gli ordina di non commettere ingiustizia e di rispettare il corpo civico.
Siamo ormai individui irrelati e non più parti di un insieme organico, viviamo in una compagine politica che è un mostro informe fondato solo su principi materialistici, da una parte il salvataggio della “nuda vita” dall’altro quello dell’economia: pare non esservi più nient’altro che il sensibile, né anima né spirito. La vita sembra ridotta alla semplice sopravvivenza del corpo. Una società che ha espunto la parte migliore dell’umano come fonte di contagio è una società per la quale non posso provare affezione né senso di vera appartenenza. Credo che anche Socrate sarebbe stato d’accordo. Invito dunque ognuno di noi ad ascoltare, oltre al frastuono dei media, la propria legge interiore: non dubito che in molti, secondo le proprie possibilità e inclinazioni, sceglieranno la via di Antigone.

Ringrazio Silvia D’Autilla, Federico Da Col, Manlio Fossati, Lorenzo Natural, Eleonora Navarra, Pamela Volpi, Giulio Tosatti per le osservazioni, le correzioni, gli spunti, il confronto e la vicinanza.

4 COMMENTS

  1. Ho letto con attenzione. L analisi mi lascia perplessa, mi sembra esagerata, non errata o falsa, ma portata alle estreme conseguenze….una sola domanda..a che pro? Chi ci guadagna veramente a sconvolgere le nostre esistenze? A sdoppiare l animo umano fatto di vita, di carne, e di conoscenza e sapere? La cultura e l amore daranno al Paese un’ altra possibilita’…se solo si ci affidasse agli uomini giusti e preparati e non ad avventurieri dell’ultima ora…

    • a chi giova continuare a confondere sintomi, segnalatori, con malattia? la medicina diretta dalle multinazionali farmaceutiche sopprime i sintomi, sopprimendo segnalatori finge di curare gli stati di malattia oscurando ciò che lo evidenzia…chi ci guadagna??? la gran parte di complici dell’inquinamento,delle menzogne buttate come regole, montagne di plastica che entra nel ciclo alimentare e insieme ad altre guerre e massacri distruggono la vita, la voglia di vivere…non c’è nessuna ragione di non poter uscire di casa… eccetera, solo distruggere quel che rimane della dignità di un popolo desertificato del piacere di conoscere imparare a vivere

  2. Una lettura che fa pensare e riflettere in questo lungo momento così surreale che stiamo vivendo. Purtroppo e già prima della pandemia in tanti, io per prima, nn riconosciamo la legge della polis. I nostri padri erano come Socrate perché avevano governatori all’altezza del ruolo ricoperto, la mia generazione si sente molto vicina ad Antigone.
    Complimenti all’autrice per la sua scrittura e per farci pensare.

  3. dal mio punto di vista è molto importante di parlare della gravità del Covid-19. La cui gravità sta proprio nel fatto che si trasmette molto spesso al nostro insaputo (l’Ebola al contrario diventa contaggioso negli ultimi stadi della malattia, quando si capisce benissimo che la persona è malata). una malattia infettiva respiratoria che si trasmette dal nostro naso e bocca quando parliamo, gridiamo, cantiamo ma anche solo respiriamo richiede il distanziamento, le mascherine, un tracciamento dei contatti … per essere controllato. delle cose molto semplici ma efficaci come si vede in paesi come Taiwan, Nuova Zelanda, Vietnam, Corea del Sud…. Perchè il problema sono i numeri – se anche solo un 5% degli infetti deve essere ricoverato sono troppi per ogni sistema sanitario. già prima della pandemia c’erano troppo poco medici e infermieri – adesso in una situazione di emergenza non possiamo aspettarci che loro lavorano in situazioni di emergenza per mesi. le misure adattate dello stato sono risposte al nostro comportamento, se noi non capiamo che siamo noi con i nostri contatti (ma anche le notizie che diffondiamo) aiutiamo il virus a diffondersi – per forza le misure diventeranno sempre più rigide. per le scuole penso che si è cercato di tenerle aperte il più possibile come priorità di aperture di negozi e ristoranti – se poi l’alternativa è tra lezioni on-line o in presenza con la mascherina credo che il male minore sia la mascherina.
    dipende tutto da noi. ognuno di noi deve fare la sua parte in questo momento critico. meglio che facciamo prima si possa tornare a una normalità.

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