Le sentinelle in piedi e “Le gai savoir”

di Francesca Ruina

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“Le Sentinelle in Piedi sono una rete apartitica e aconfessionale, composta da liberi cittadini che hanno deciso di mobilitarsi in silenzio per dire no ad una legge liberticida” (ovvero il ddl Scalfarotto contro l’omofobia e la transfobia). Così si presenta questo “movimento”, che traduce in italiano l’idea francese dei Veilleurs Debout, oppositori della legge Taubira sul matrimonio tra persone dello stesso sesso.  Con lo scopo di vigilare, “denunciando ogni occasione in cui si cerca di distruggere l’uomo e la civiltà”, le sentinelle si danno appuntamento nelle piazze italiane, restando “in piedi, in silenzio, per difendere la libertà di espressione” con un libro in mano. Al di là della mia personale curiosità riguardo l’elenco bibliografico dei testi stretti tra le mani dei suddetti (Moccia o il Mein Kampf?), trovo davvero assurdo che delle persone possano scendere in piazza non per chiedere un diritto per sé, ma per toglierlo ad altri.

Poniamo pure che il ddl Sclfarotto non sia esattamente quanto di più chiaro e lineare possibile – è infatti stato criticato per la sua ambiguità anche dagli stessi movimenti LGBT che vorrebbe tutelare – ma è sicuramente un passo significativo, e proprio l’esistenza delle sentinelle ce lo dimostra. La loro protesta, apparentemente, si presenta come la silenziosa richiesta di un diritto di opinione che il ddl, nella sua ambiguità, sembrerebbe per certi versi negare. Ma cosa c’è dietro questo improvviso risveglio di (in)coscienza civile? Cos’è che li conduce in massa a manifestare mutamente nelle piazze italiane? Più che di essere imbavagliate dalla politica, le Sentinelle temono un’imminente legge sulle unioni omosessuali. Contro questo eventuale diritto sì che intendono combattere pervicacemente e a squarciagola, allenandosi intanto a manifestare mutamente a “tutela del diritto di espressione”.

Una cosa è il diritto di parola e un’altra l’omofobia, una cosa è il diritto di esprimere un’opinione e un’altra – ben diversa – è ledere, con parole che troppo spesso fomentano atti di violenza, il diritto fondamentale alla felicità di altre persone. Vorrei citare qualche frammento di una rara intervista (intitolata, con un’ironica eco nietzscheana, Le gai savoir) rilasciata dal filosofo francese Michel Foucault intorno al problema del riconoscimento dei diritti civili, per cercare di comprendere meglio quale possa essere stata la molla politica che ha fatto scattare la (per ora afasica) indignazione delle Sentinelle. Nell’intervista a Jean Le Bitoux, del 1978, Foucault riflette infatti proprio sul rapporto politico tra piacere e felicità.

Se, da una parte, persistono delle frange di omofobi radicali che inveiscono e vomitano le loro bili alla sola idea di un contatto fisico tra persone dello stesso sesso, dall’altra si può veder prendere forma, ultimamente, una nuova, sottile e ben più inflazionata omofobia – di cui le prodi Sentinelle sono un esempio perfetto. Un’omofobia ‘politica’ e ‘strategica’, tutt’altro che frutto di ignoranza e arretratezza, che si serve sapientemente del vecchio motto liberale “a casa vostra fate quello che volete, ma io non lo voglio vedere”, col deliberato intento di conservare l’esclusiva su un diritto che, ad oggi, è e rimane squisitamente eterosessuale (il matrimonio). Negare questo diritto agli ‘altri’ è l’obiettivo politico delle Sentinelle.

Per questo secondo tipo di omofobi la dimensione del piacere sessuale non è un problema, non se resta ben nascosta tra le mura domestiche. In una società votata all’edonismo come la nostra, neppuere un novello Marchese De Sade creerebbe più grandi scalpori. Anzi, fa quasi folclore, fa ridere. Inoltre, tutti abbiamo un amico/a gay da sbandierare a conferma della nostra apertura mentale. Ma allora come mai quando si parla di diritti ci ritroviamo con le piazze gremite di gente che veglia su un ‘sé’ e un ‘altro’  – come se non fossero, da sempre, già morti? È una veglia funebre nella quale il morto è il soggetto stesso. Il morto è quel cittadino reattivo che, per sentirsi forte e sicuro nel proprio ruolo sociale, ha bisogno di distruggere e vietare il diritto del proprio ‘nemico’ alla felicità.

Del resto, come racconta Foucault nell’intervista, “le pratiche proibite fanno parte del funzionamento della legge che le proibisce”: se il ‘sistema gay’ acquisisse dei diritti, il ‘sistema etero’ s’incrinerebbe, perderebbe la sua superiorità, il suo potere e quindi la propria stessa identità. Un ‘io’ in negativo, che si basa sulla conservazione dello stato di ‘non-io’ dell’altro. “L’illegalismo fa parte del funzionamento della legge”, il che significa che alla legge, rappresentata in questo caso dall’eterosessualità, fa comodo che ci sia un’illegalità, ovvero che l’omosessualità esista (così come esiste l’illegalità). Come a dire: “Prego, copulate pure nelle vostre case, ritrovatevi nei vostri locali, ma ci sarà sempre una dicotomia tra noi (etero) e voi (gay), e noi lotteremo sempre affinché permanga ben salda. Perché, segretamente, noi abbiamo bisogno che voi esistiate in quanto ‘diversi’. Abbiamo bisogno, nell’obbligarci quotidianamente alla normalità, di ispirarci negativamente alla vostra anormalità: è per questo che essa deve restare, per legge, ben definita”.

Il piacere non dà fastidio, non fa crollare certezze e identità, è uno sfizio momentaneo, non un diritto permanente. “Dopo tutto il piacere passa, proprio come la giovinezza: se il loro piacere consiste in questo, che se lo prendano, non li porterà lontano”, scrive Foucault, ironizzando sulle Sentinelle di allora, solo qualche riga prima di inquadrare perfettamente il tema intorno al quale si concentra il vero turbamento di questi animi bigotti: la felicità.

“Ma la felicità invece? La quale fa sì che il piacere non sia riscattato da qualcosa come un’infelicità fondamentale? Ecco cosa fa saltare il principio di questa economia compensata dei piaceri, ecco cosa gli risulta intollerabile”. Non è il sesso ciò che fa rizzare in piedi le Sentinelle, non è lo scandalo di due corpi che si stringono a far paralizzare questi evoluti moralizzatori: è il fatto che il diritto alla felicità degli ‘altri’ potrebbe far vacillare la loro. Hanno orrore che quel confine (quella dicotomia ‘noi’/‘loro’) crolli per legge, lasciandoli annaspare in una crisi identitaria senza fine. La loro protesta non difende alcuna fantomatica ‘naturalità’ dell’uomo –  quella naturalità che, per altro, tutti distruggiamo quotidianamente in ben altri modi – ma difende piuttosto l’esclusiva su un certo diritto. Un’esclusiva alla felicità, un’esclusiva sulle proprie mura d’avorio,… un ultimo appiglio per illudersi ancora di avere uno straccio d’identità, una roccaforte inespugnabile e immaginaria dove ci si possa ancora illudere di essere padroni di se stessi (o almeno dei propri desideri e delle proprie pulsioni). Mors tua vita mea, insomma, come si usava dire nel Medioevo.

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