Letteraria #3

Dopo un’estate di vive letture, accese discussioni, selezioni durissime su cui non siamo (né mai potremmo essere, vista la nostra natura dubbiosa) convinti fino in fondo, abbiamo finalmente trovato gli autori under 35 che presenteremo all’interno di Letteraria, il festival di letteratura giovanile che si terrà a Trieste e a Udine tra il 23 ottobre e il 3 dicembre. Più di un mese all’insegna della cultura spaziando tra poesia, narrativa e saggistica.

Per orientarsi nel ricco programma del festival, vi daremo qui una breve descrizione dei singoli eventi: il 23 ottobre saremo ospiti al festival Mimesis di Udine, all’interno del quale presenteremo Novecento. La storia, una vita di Raffaele Bocci e Silvia Capodivacca nella libreria Tarantola (ore 18). L’appuntamento successivo sarà tutto dedicato alla poesia, e si terrà venerdì 3 novembre nello storico Caffè San Marco di Trieste, dove dalle ore 18 presenteremo Caratteri di Francesco Terzago e Alla fine delle favole di Tommaso Di Dio. Nei tre venerdì successivi saremo invece ospiti al Serra Hub di Trieste, sempre dalle ore 18, per presentare rispettivamente La grande A di Giulia Caminito (10 novembre), Tempo senza scelte di Paolo di Paolo (17 novembre) e Cleopatra va in prigione di Claudia Durastanti (24 novembre). L’ultimo appuntamento del festival, in collaborazione con l’associazione TconZero, si terrà invece al Polo Giovani Toti – PAG di Trieste il 3 dicembre dalle ore 18: in quest’occasione cercheremo di trovare, a partire dai testi presentati, lo “sguardo” che la giovane generazione di scrittori ha sul mondo. Nel festival rientra infine anche l’annuale appuntamento del Poetry Slam, giunto alla sua undicesima edizione. L’evento, che si terrà sabato 2 dicembre alle ore 18 al Caffè San Marco, vedrà la partecipazione di poeti da tutta Europa.

Come siamo giunti alla selezione degli autori? Vi facciamo entrare nell’officina Charta Sporca pubblicando alcune delle recensioni degli autori letti per il festival, a iniziare da quelli che presenteremo.

 

 

Claudia Durastanti, Cleopatra va in prigione, Minimum Fax, 2016
Valutazione Eleonora: Sono partita prevenuta – non è il mio genere, non mi interessa il tema, l’ambientazione mi mette un po’ la nausea – e invece il libro della Durastanti è stata una piccola rivelazione. Cleopatra va in prigione è la storia di una giovane donna della periferia romana divisa fra due amori, da una parte il fidanzato carcerato, dall’altra l’amante poliziotto. Poteva sembrare, dico a mio discolpa, uno di quei romanzetti compiaciuti e scontati o forse una sorta di documento di denuncia sociale condito con qualche elemento hollywoodiano. E invece niente di tutto questo: la narrazione è limpida, penetrante, di grande raffinatezza; i personaggi ben costruiti e per niente scontati. La trama è sottile, è la città a dominare, sempre descritta con sincerità mai manierata. Uno spaccato sulla vita di una donna narrato con poesia e dolcezza.
Voto: 8

Valutazione Piero: Camminare è un gesto complesso, Durastanti lo sa bene. In un’intervista l’autrice ha citato, a proposito di Cleopatra va in prigione, Lauren Elkin e il suo lavoro sulla flâneuse.
Se la donna ha finalmente avuto accesso alle strade delle capitali – o meglio, se ha finalmente guadagnato il diritto di percorrerle con lentezza – allora rallentare la periferia romana diventa una questione politica, e non solo di stile. Le descrizioni, momento in cui il rischio di perdere l’attenzione del lettore è maggiore, diventano il centro di questa battaglia e il motivo per cui questo libro merita tanta fiducia.
Voto: 8

 

Giulia Caminito, La grande A, Giunti, 2016
Valutazione Davide: Atmosfere distese, scrittura scorrevole e sapientemente utilizzata, la storia di una ragazza e della sua permanenza in Africa, “La grande A”. Convince forse di più nelle pagine iniziali – l’Italia in guerra, la vita di una bambina e il suo sogno per l’Africa dove vive la madre – e in quelle finali. Al centro, invece, il racconto a tratti si fa troppo intimista, con lo sfondo che traspare appena. E siccome alla fine è un libro facilmente collocabile tra la (poca) letteratura postcoloniale del nostro paese, proprio l’Africa – l’Eritrea, l’Etiopia – rimangono un riflesso poco indagato. Forse è un effetto voluto, la narrazione in fondo funziona e l’economia del romanzo, che prende spunto dalle vicende familiari dell’autrice, resta potente e calibrata, anche quando omette il rimosso coloniale in uno sguardo troppo patinato. Forse un’occasione persa, ma bene.
Voto: 7/8, nonostante gli “italiani, brava gente”.

Valutazione Ruben: Non ne ho letto abbastanza per esprimere un giudizio completo, tuttavia, quel che emerge senza dubbio è l’ottima capacità narrativa dell’autrice, abile nel proiettare il lettore “in medias res” e ad immedesimarlo con la protagonista.
Voto allo stile: 7/8

Valutazione Giuseppe: Pur con qualche ombra, “La grande A” è decisamente un bel libro, soprattutto se si considera che è un esordio. Tra le ombre, quella più grande l’ha già rilevata Davide, ovvero la mancanza di un accento in più sulla storia coloniale (e post coloniale) dell’Italia. I grandi assenti del libro sono proprio gli africani in quanto persone: personaggi appena abbozzati, ai margini, quasi invisibili. Ma intendiamoci: anche se c’è qualche ingenuità, non siamo di fronte a certe narrazioni stucchevolmente esotiche, da cartolina. L’economia del romanzo è altra, è quella della storia umana di due generazioni di donne, madre e figlia, in cui l’Africa figura come il principale correlativo “fisico” del loro essere sempre e comunque fuori luogo, straniere. Personaggi femminili sopra le righe eppure riconoscibili (specialmente la madre), personalità complesse e ben delineate – a differenza dei personaggi maschili, vaghi, evanescenti, che non hanno niente da raccontare o che raccontano sempre le stesse cose. Punto di forza principale, a mio avviso, è lo stile della narrazione, che riesce a mantenere miracolosamente un equilibrio tra i toni diretti e colloquiali del racconto orale, “della nonna” (e infatti l’autrice per questo romanzo ha rielaborato vicissitudini familiari), e una prosa più ricercata, ricca di accumuli, immagini e metafore. Bellissima la prima metà del libro, poi si stanca un po’ verso il finale ma il ritmo rimane comunque alto e, a parte qualche piccola sbavatura, tiene tutto.
Voto: 8-

Di Paolo, Tempo senza scelte, Einaudi, 2016
Valutazione Stefano: Il tema che innerva l’intero pamphlet, dalla prosa agile ma non superficiale, è quello dell’impegno dell’intellettuale, declinato a partire dal rapporto tra letteratura e politica. Il che non significa sottomettere le ragioni estetiche agli interessi di partito, quanto prendere posizione in un mondo – quello culturale – che sempre più spesso evita la presa in carico di ogni responsabilità sulle sfide lanciate dall’attualità.
Il confronto tra presente e recente passato è impietoso: dove sono finiti – per rimanere all’ambito italiano – i Calvino, i Pasolini, i Gobetti? Dove – allargando l’ispezione – i Camus, i Brecht, gli Orwell? Più che lamentarsi della desolazione intellettuale contemporanea, Di Paolo mostra la dimensione etico-politica di alcuni tra i più grandi scrittori novecenteschi, facendo parlare direttamente i romanzi in questione e lasciando ai margini commenti moralisticheggianti (che pure in alcuni momenti emergono, nei passi a mio avviso meno riusciti del libro).
Il passo indietro dell’intellettuale porta, secondo l’autore, alla legittimazione sociale dell’odio e alla sua affermazione politica – alla vittoria dei Trump. Il saggio non può che chiudersi (così come si è aperto) sull’angoscia, sentimento che sembra coinvolgere le giovani generazioni e che deve spingere a “non essere come tutti”: lasciar da parte il ghigno cinico che ironizza su ogni cosa, mettere via l’odio da social network di chi – dietro a una maschera – “cerca il suo bersaglio e spara a zero”, e al tempo stesso farla finita con l’indifferenza.
“Scegliere di essere per qualcosa, e non contro”. Una conclusione forse banale, ma senz’altro inascoltata nel deserto intellettuale che ci circonda.
Voto: 7+

Valutazione Andrea: Il libro si colloca in maniera intelligente nel bel mezzo di una delle questioni più scottanti della nostra attualità etico-politica. Come coniugare l’impegno civile con il crollo delle ideologie, delle certezze e delle identità predefinite? L’autore prova a offrire una risposta proponendo una carrellata di esempi, tratti princpalmente dalla letteratura, che indicano la strada per una possibile ricostruzione del rapporto tra impegno civile e letteratura, passando da Zerocalcare a Zweig, Da Garcia Lorca a Aldo Busi.
La provocatoria domanda che è a titolo del libro, riceve durante il suo svolgimento una risposta attenta, elaborata, ma al contempo decisa. L’autore ritiene che, proprio perché il nostro tempo appare senza scelte (o un tempo di scelte eternamente rivedibili), tornare a considerare la coerenza tra parole e azioni, e la vertigine della responsabilità, come dei valori “in sé” possa rappresentare un buon punto di partenza per provare a ricostruire una letteratura militante nel senso più ampio del termine.
Voto: 8

Francesco Terzago, Caratteri, 2016
Valutazione Giuseppe: Nella poesia di Terzago predomina l’aspetto poematico: ci troviamo di fronte per lo più a versi ampi, poesie lunghe dall’andamento narrativo. Il tono è asciutto; raramente indugia nel lirismo, mentre abbondano le descrizioni, anche minuziose, cercando nei dettagli irrilevanti di disegnare una scena esatta, di contro a una realtà sempre più annebbiata e indistinta. Realtà affrontata efficacemente nella “Quasi” storia d’amore che si svolge sullo sfondo della Cina odierna, dove le contraddizioni della globalizzazione sono portate all’estremo e si costituiscono come correlativo dell’incertezza di un mondo pur sempre “spaventoso e amato”, di una vita a cui “non basta il principio – la vita è mutamento”.
Voto: 8

Tommaso di Dio, Alla fine delle favole, Origini edizioni, 2016
Valutazione Giuseppe: In questa breve raccolta Di Dio riprende il tema del suo esordio Favole, e laddove in quello si leggeva un’aprirsi, timidamente speranzoso, alla complessità del mondo, qui troviamo specularmente un angoscioso senso di difficoltà ad accettare questa complessità, e le contraddizioni anche violente e inspiegabili del reale. Anche qui ricorrono immagini e termini legati allo scavare, al mettere radici, allo stratificare, a grotte e caverne; in questa geologia della vita emerge un tratto distintivo dell’autore, che in essa cerca una ragione della sofferenza umana. Con versi sapientemente controllati, Di Dio costruisce liriche in apparenza semplici, ma che stratificano (appunto) molteplici suggestioni e influenze.
Voto 8

Raffaele Bocci e Silvia Capodivacca, Novecento. La storia, una vita, Mimesis, 2015
Valutazione Lilli: La narrazione scaturisce da un incontro che si fa punto di convergenza di diverse istanze. Quella, in primo luogo, di raccontare: essa appartiene al narratore e coautore di Novecento, la storia, una vita Raffaele Bocci, definito dalla coautrice Silvia Capodivacca uno “straordinario uomo normale”. Egli ha iniziato a lavorare con la fatica delle proprie mani da bambino. È stato repubblichino e partigiano. È migrato in America. Nell’incontro – ancora una volta, questo termine non sembra avere sinonimi altrettanto densi di significato – con la giovane studiosa ha finalmente trovato lo spazio per dire la sua vita. La seconda esigenza è quella avvertita dalla ricercatrice di ascoltarlo, per effetto di un’immediata simpatia che esula dagli scopi della ricerca ma a quest’ultima fornisce l’occasione di esistere: storia e Storia s’intrecciano, nella consapevolezza che quelle che vivono adesso sono le ultime generazioni che ascolteranno la testimonianza diretta del Novecento. C’è infine l’istanza della Storia che fa da sfondo a questa “amicizia intergenerazionale” e che si dà nell’autobiografia umile, pacata, limpida e al contempo piena di parole dell’uomo Raffaele Bocci.
Voto: 9

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