#NIENTECOMEPRIMA

di Andrea Muni

In questi giorni fioccano le analisi sulle cause del decesso del nostro sistema sociale, si fanno (infauste) previsioni sul futuro dell’economia. Io credo che di fronte all’enormità di quello che stiamo vivendo la cosa più intelligente da fare, se proprio non si riesce a tacere (come non sto riuscendo a fare io in questo momento), sia pensare in maniera concreta, pratica, a nuove forme di lotta politica. Pensare e organizzare strategie di lotta che fino a due mesi fa avremmo considerato impossibili, e che oggi la maggior parte delle persone potrebbe invece cominciare seriamente a prendere in considerazione.

Quando tutto questo sarà finito, quando la quarantena e lo stop alle attività produttive non necessarie cesseranno, noi lavoratori – tutti noi lavoratori (tranne quelli dei servizi essenziali, come già sta accadendo), dobbiamo rifiutarci di tornare ai nostri posti. Dobbiamo rifiutarci di tornare al lavoro finché non saranno garantiti per tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici un salario adeguato e le tutele degne di un Paese civile. Tutti dovremmo cominciare a pensarci, seriamente, anche quelli che un salario adeguato e delle tutele già li hanno. È un’idea tutt’altro che originale, me ne rendo conto, ma è proprio per questa ragione che mi stupisco che nessuno (trozkijsti a parte) l’abbia ancora scandita a chiare lettere, quasi che questo non fosse il momento giusto, opportuno. Invece lo è, è proprio questo il momento opportuno. La chance, inattesa, che abbiamo di tenerli per le palle. Se in massa non torniamo al lavoro finita la quarantena, lo Stato non potrà ritirare gli aiuti straordinari attivati per tutti i tipi di lavoratori (se non a pegno della guerra civile). Questo significa che sarà costretto a prendere i soldi lì dove sono: multinazionali, grandi ricchi, finanza. Se ci rifiutiamo di tornare ai nostri posti questo creerà un circolo vizioso (o virtuoso) per cui, di riffa o di raffa, dovranno darci quello che ci spetta, quelle poche briciole che permettano di coprire per legge salari dignitosi e tutele. Basta che nessuno torni al lavoro, che ci organizziamo dal basso approfittando di questo tempo sospeso in maniera autonoma, spontanea. Non fidiamoci, non cadiamo nel tranello, perché niente tornerà come prima. Dobbiamo essere noi lavoratori a riempire di un senso nuovo questa crisi, questa svolta, questo irreversibile. Perché se lo lasciamo fare alla politica e a Confidustria niente sarà come prima, tranne i livelli insostenibili di sfruttamento a cui la maggior parte di noi è ormai tragicamente abituata.

Trasformiamo questa apocalissi in una grande occasione. Iniziamo a far girare questa semplice idea, un’idea talmente minacciosa per i “padroni” e per la politica che probabilmente, se ci organizziamo bene, sarà sufficiente soltanto paventare l’eventualità di una tale azione per ottenere quel minimo di giustizia sociale che manca a questo Paese come l’aria. Iniziamo a crederci davvero, a credere che questo è il momento degli “impossibili”. Non restiamo a guardare, a “interpretare”. Quello che tutti in fondo vorremmo ottenere (una società più giusta, più equa) è a portata di mano. Alla fine di questa emergenza i lavoratori e le lavoratrici avranno un potere di contrattazione incalcolabile di fronte alla politica e ai grandi proprietari, non sprechiamolo: organizziamolo dal basso, via web intanto, visto che non si può fare altrimenti.

Infine, un pensiero amico ai tanti artigiani, alle partite Iva, ai commercianti e ai piccoli imprenditori. Non spaventatevi. Quando sarà possibile tornate pure al lavoro, nella consapevolezza che i lavoratori che si rifiuteranno di farlo sono dalla vostra parte, che siamo tutti sulla stessa barca, che un mondo senza sfruttamento è un mondo migliore anche per voi (e non solo moralmente, ma anche economicamente). Non lasciatevi sedurre dalla demagogia autoimprenditoriale, dalla storia dell’orso che vuole lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti “nemici”: è solo un disco rotto, la vecchia strategia del divide et impera di un’ideologia stanca, trita e volgare che ormai ha esaurito anche l’ultima goccia della sua perfida fantasia. Amici “autonomi”, pensataci, pensateci bene. Pensate solo a quanto ci rimetterebbero i vostri concorrenti sleali della grande produzione e distribuzione, se solo fossero costretti a pagare i propri dipendenti il loro vero valore. Pensate a quanto si ridurrebbe il divario tra i prezzi che potete fare voi e quelli che possono fare loro. E infine, pensate se “loro” non ci fossero proprio… .

Ecco, è solo un’idea concreta che deve cominciare a circolare, a essere discussa. Eventulamente anche per scartarla, se qualcuno mi convincerà del contrario. Quello che è fuori discussione è che si tratta di qualcosa che si può fare, qualcosa di cui magicamente ha senso parlare, di un impossibile e di un impensabile che, di colpo, sono diventati possibili. Certo, sarebbe molto meglio discutere e organizzarsi in piazza, all’aria aperta, nei bar, nella vita reale e non virtuale, ma questo non ci vieta di cominciare a parlarne su internet e sui social (per ora!). E se lo dice un tecnofobo della mia specie, potete fidarvi, non è peccato!

La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E’ nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica

(II Tesi su Feuerbach, Karl Marx)

Quando un impossibile mostra il suo vero volto, il suo volto reale, la paura e l’angoscia sono sentimenti naturali da provare. Ma abbiamo tutti vissuto abbastanza vita da sapere, con agrodolce certezza, che questa paura e questa angoscia dell’impossibile sono anche una terribile promessa di felicità.

 

3 COMMENTS

  1. Bel pezzo Andrea!

    In particolare, nel passaggio sulla possibilità di “pensare in maniera concreta, pratica” la situazione, ci vedo il punto della questione. Siamo già nella condizione di pensare alla possibilità concreta di trasformare vita e rapporti sociali, come mai prima: essere messi in un “isolamento” che all’inizio quasi non ci convinceva ci ha dato la capcità di tastare con mano l’ipotesi prima assurda che tutto si fermasse. “Eh ma l’economia, lo stato, la famiglia, la finanza, le tasse, la scuola, l’etica, la responsabilità”: puff, valgono meno di niente (come prima tra l’altro, solo che ora ne vediamo il nocciolo concreto); non che non esistano, ma come idee astratte (e poi principi di addomesticamento) scompaiono, si rivelano qualcosa di interessante solo come relazioni concrete. E’ stata la più grande operazione di demistificazione (anzi no, di dis-alienazione) a cui abbia assistito. Toccherà leggere i manoscritti!

    Ci vedo ovviamente anche delle difficoltà, se non contraddizioni: non sappiamo che effetti possa avere sul lungo periodo l’isolamento a cui siamo costretti (anche se, nel mio piccolo, vedo tanti piccoli segnali di solidarietà diffusa, sguardi che tornano a incrociarsi, saluti a cui prima non prestavamo attenzione…); le armi della sorveglianza e del controllo sociale stanno avendo “test” importanti, creando precedenti profondi; l’accelerazione – per cause di forza maggiore – verso la transizione all’economia digitale e al telelavoro sarà senza precedenti. Insomma, una crisi apre sempre una doppia possibilità: quella di trasformare, riorganizzarsi, liberarci, come anche quella di accellerare e inasprire il modello precedente. E’ una partita che va giocata fino in fondo: per una volta, non siamo nell’eterno presente, accade qualcosa di grosso, ci siamo dentro. Non è una consapevolezza da poco e non riguarda una nicchia di stronzi. Coinvolge tutt*. Un pensiero, poi, va a chi, qua dentro, anziché chance di rallentare, ha dovuto accollarsi (e non per scelta, “gli eroi”, eccetera) la riproduzione della baracca (infermieri, commessi, operai ecc.). Bisognerà fare un due conti, individuare un paio di responsabili e prenderli a calci del culo come meritano.

    Aggiungo, per darci la giusta motivazione, un approfondimento molto articolato sul ruolo di confindustria nelle ultime settimane: https://web.archive.org/web/20200323235136/https://www.facebook.com/notes/collettivo-tilt-resistenze-autonome-precarie/siamo-in-guerra-storia-di-una-strage/626425264586539/

    Sull’epidemia, e la sua strutturale correlazione con il sistema capitalistico e gli eco(tecno)sistemi da cui nasce, segnalo invece ‘sto pezzone: http://chuangcn.org/2020/02/social-contagion/

    • grazie davide, sono troppo d’accordo con tutto quello che hai scritto per aggiungere alcunché:)

      speriamo solo che sia possibile fare breccia con questo messaggio, che questa situazione sia per tutti una straordinaria occasione per pensarci su davvero seriamente

  2. Ahh, ma non avevo visto la fine! “Quando un impossibile mostra il suo vero volto, il suo volto reale, la paura e l’angoscia sono sentimenti naturali da provare. Ma abbiamo tutti vissuto abbastanza vita da sapere, con agrodolce certezza, che questa paura e questa angoscia dell’impossibile sono anche una terribile promessa di felicità.” Meravigliosa chiusura, vado a scriverla sui muri!

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