Oggi, sul fare del crepuscolo, vi racconterò una storia italiana

di Lorenzo Natural

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“Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come dev’essere fatto il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta. Ciò che il concetto insegna, la storia mostra appunto che è necessario: che, cioè, prima l’ideale appare di contro al reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo mondo medesimo, colto nella sostanza di esso, in forma di regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo”.

Era il 1820 ed Hegel diede alle stampe i suoi Lineamenti di filosofia del Diritto, la cui prefazione individuava il ruolo della filosofia – nel rapporto con la storia – come pura disciplina analitica, ossia incapace di manipolare la realtà esterna e in grado solamente di cogliere e spiegare una materia già bell’e pronta in un secondo momento. Mutatis mutandis, la nottola di Hegel, oggi, uscita dalla porta, rientra dalla finestra. La filosofia si è rintanata di nuovo nel suo ruolo di mera disciplina esplicativa, ma non tanto per la sua difficoltà ontologica a incidere sul presente, come Hegel sosteneva, quanto per un progressivo indebolimento della sua capacità di azione. D’altronde, la politica, sostiene qualcuno, “è solo una grande narrazione”. Ed è la narrazione che oggi si è legata all’ideologia e che ha oppresso la forza del pensiero: la fabbrica del consenso e dell’immagine ha permesso a un pugno di uomini di piallare le spinte centrifughe e con esse il dibattito, la critica e il dissenso.

Siamo nel 1992. Giovanni Falcone viene ucciso, Banca e Tesoro “divorziano”, “Mani pulite” rivolta come un calzino il Parlamento italiano, il “Britannia” è ormeggiato al largo delle coste italiane e i pasdaran di casa nostra sono pronti a ricevere le direttive che segneranno la vita economica-politica dell’Italia del futuro. Le grandi antitetiche ideologie del secolo breve si assottigliano, l’antipolitica monta nelle piazze, si invocano misure drastiche per far ripartire il Paese nel nome dell’onesta e dell’integrità.

Stimati professori e tecnici di fama affermata ci spiegano che sì, uno sforzo lo dobbiamo fare anche noi, per integrare, risparmiare, collaborare. Un’unica grande moneta, dal 1997, si aggancia al cambio della nostra liretta da due soldi. Nel 2002 il gioco è fatto. A Roma ci si scanna per una manciata di voti, la gggente è stufa e grida “al ladro, al ladro!”. I governi passano di mano, la ics sulla scheda illude l’ignaro di partecipare al gioco. Intanto, fuori, lo Stato (o quel che ne resta) vende e privatizza. C’è apprensione, dubbio… ma i rassicuranti tecnici ci dicono che è necessario, perché bisogna integrare, risparmiare, collaborare. Media e dialettica ne risentono: la pax europea non va disturbata. La realtà è univoca, data, certa. E la gggente, inconsciamente, sostiene il palco: basta con questa politica e queste ideologie! Rimangono piccoli interstizi dove chi può non fa altro che raccontarsela tra quattro amici al bar dopo il tè delle cinque. Si gusta il sole che inizia a calare, e il crepuscolo si avvicina.

Il mercato è un unico, la moneta anche, lo Stato presto lo sarà, il Dio pure, il sesso anche… È la globalizzazione, bellezza!
Il sistema regge finché qualcosa va storto oltreoceano.
Il sistema crolla. Le certezze pure, ma non la sicumera di chi cavalca la tigre.

Gli interstizi si allargano, il vento ricomincia a soffiare un po’ a sinistra, un po’ a destra. Alt! Serve istituzionalizzarlo questo scontro! Oplà, una rivoluzione deluxe, a cinque stelle! Quel 2% che resta fuori è anch’esso programmato (lo diceva Jünger tanto tempo fa).
La gggente si fa popolo: non più nero, non più rosso, ma azzurro, rosa e viola.
Il Cavaliere va deposto, grida il popolo: se non ora, quando?
È primavera. Qualcuno osserva che quel Cavaliere ha amici strani, giù in Africa. Veni, vidi, vici, e il Colonnello è fatto fuori. Esultate, o popoli liberi!
Il Cavaliere cade, si voterà per qualcun altro… e invece no, arriva un altro di quelli di prima, quelli tecnici, ben vestiti, studiati, misurati. Ci dice che anche noi dobbiamo sacrificare qualcosa, tagliare, perché è necessario integrare, risparmiare, collaborare.
I soliti quattro amici al bar sono passati all’aperitivo. Fuori sono le sette. Il crepuscolo è maturo.
La narrazione continua come prima.
La palla passa di mano. Le ics le giochiamo sulla serie B a fine campionato, non le mettiamo più sulle schede a giugno. Lo Stato non c’è quasi più, ma ce n’è uno bello grande, con tutti quanti noi fratelli europei, che ci dice come fare: ah, finalmente possiamo starcene in pace a prendere ordini!
Il sistema sembra nuovamente crollare su se stesso, ma è colpa di chi si oppone, di chi non collabora, di chi non vuole riformare, non vuole cambiare, di chi non ci crede, di chi non ha sogni, di chi è ancorato al passato e non guarda avanti, se l’Italia non ce la fa. Ma ce la può fare! L’Italia ce la può fare! Basta che ognuno ci metta del proprio, basta che tutti lavorino perché ci si integri, si collabori, si risparmi…

Intanto quei quattro amici al bar sono sbronzi.
Attoniti, confusi, incapaci di radicalità nel pensiero e nell’azione, ossessionati dalla macchina del presente, osservano l’avanzare della sabbia, sul fare del tramonto. La loro nottola, debole e malconcia, è già volata via, capace solo di aver raccontato loro questa storia. E tra cinquant’anni quando anche questa storia, forse, sarà finita, un acuto osservatore, nella notte piena, fotograferà quel gruppo di amici che bevevano whiskey attorno ai fuochi accesi sul fare del tramonto, mentre fuori tutto bruciava in quel deserto che quelli ben vestiti, stimati, affermati, integerrimi, assieme al loro bel corvo superbo, “carco nella sua magrezza”, avevano creato e che avevano, infine, chiamato pace.

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