Se i morti contano

di Matteo Mascarin

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UMANITÀ
Venerdì sera (13 novembre ndr) ero, come molte altre persone in Italia e nel mondo, incollato davanti al televisore a seguire gli avvenimenti “dell’11 settembre europeo”. Ho assistito alla fatidica e tragica conta dei morti assieme a tutti gli altri con trasporto emotivo. Il numero, ora dopo ora, continuava a salire vertiginosamente fino a fermarsi a 129. Un numero spaventosamente alto. Un numero a cui nessuno di noi avrebbe mai pensato, una catastrofe. Fin dall’inizio lo sgomento, la paura e la rabbia hanno toccato un numero impressionante di persone e, al solito, sui social hanno iniziato a comparire hashtag virali e quant’altro. Ognuno di noi, camminando per strada o prendendo l’autobus si è guardato attorno con timore. Tutti i quotidiani si sono scatenati, ogni rete televisiva ne ha parlato, ogni radio ne ha discusso, ogni vecchio al bar ha litigato. L’inno nazionale francese (il testo del quale consiglio vivamente di andarsi a leggere) ha suonato in molti Paesi in manifestazioni istituzionali e sportive. Tutta l’Europa e non solo è rimasta con il fiato sospeso davanti alla morte di queste 129 persone. Un numero che tutti quanti, nessuno escluso, ritengono inaccettabile. Com’è possibile, ci si chiede, che un ragazzo vada a un concerto a divertirsi e venga barbaramente ammazzato? Perché sì, è proprio questo il punto. Tutti, ma davvero tutti si sentono impotenti davanti a questa inintellegibile follia, a questa sfuggente ideologia secondo la quale farsi saltare in aria in un attacco violento contro i propri nemici giurati è il massimo del massimo. L’Occidente intero, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, dopo l’assalto lo scorso gennaio alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, ancora una volta si trova inerme ed esterrefatto davanti ad azioni di questo genere. Ogni volta sembra che nessuno se l’aspettasse, ogni volta è come se venissimo improvvisamente riportati a terra in un nanosecondo da diecimila metri di altezza. E il tonfo è sempre roboante, e la sua eco si propaga per giorni. Giorni interminabili in cui è difficile pensare ad altro, parlare d’altro. Possibile, mi chiedo io, che abbiamo raggiunto un’indolenza tale da non riuscire a reagire, se non con le parole vuote da una parte e le bombe dall’altra, a eventi simili? E ancora, è proprio di una cultura civile e avanzata l’avere paura di saltare in aria consumando un aperitivo in un bar all’aperto? Ma soprattutto, dovremmo girare lo sguardo dall’altra parte oppure non accettare fermamente questi fatti, unirci sotto un unico vessillo e attaccare senza pietà il nemico in nome di quelle 129 vittime?

DISUMANITÀ
Secondo l’Institute for Economics & Peace le vittime di terrorismo nel solo anno 2014 sono state 32.658, il 78% delle quali in Iraq, Nigeria, Afghanistan, Pakistan e Siria. Tralasciando il fatto che non credo proprio sia un caso che la stragrande maggioranza dei richiedenti asilo che percorrono l’ormai famigerata “rotta balcanica” provenga dagli ultimi dei tre Stati menzionati, i dati sopraesposti ci dicono che all’incirca 25.000 persone hanno perso la vita in attacchi simili a quello di Parigi in quei cinque paesi in un solo anno. Nel ranking mondiale paesi come l’Italia, la Germania e la Francia si trovano rispettivamente al 54esimo al 53esimo e al 36esimo posto su 67 come incidenza di vittime in attacchi terroristici (ovvero “l’uso minacciato o effettivo della forza e della violenza illegale da parte di un attore non statale per raggiungere un obiettivo politico, economico, religioso o sociale attraverso la paura, la coercizione o l’intimidazione”) e in generale nello studio si specifica come soltanto il 2.6% degli attacchi terroristici avvenuti dal 2000 al 2014 abbiano colpito in Occidente (USA compresi e 11 settembre compreso, la percentuale si abbasserebbe allo 0,5% se lo escludessimo). Molto interessante e degna di nota mi sembra anche l’affermazione secondo cui il 70% di questi atti sono stati compiuti da “lupi solitari” e all’interno di questa percentuale soltanto il 20% sia collegabile a offensive di gruppi di fondamentalisti islamici mentre il restante 80% è riconducibile a un miscuglio di gruppi provenienti dalla destra estrema, nazionalisti, elementi anti-governativi e altri tipi di estremismo politico. Certo, quasi la metà degli attacchi terroristici nel 2014 proviene dai due schieramenti estremisti di stampo religioso attualmente più pericolosi, lo Stato islamico (Iraq e Siria) da una parte e Boko Haram (il gruppo terroristico più mortale al mondo con circa 7000 uccisioni in un anno) in Nigeria dall’altra. Ma a me sembra che le uniche evidenze lampanti che, dati alla mano, possiamo riscontrare sono principalmente due: la prima è che il vero obiettivo degli attacchi terroristici di matrice islamica sono i Paesi musulmani stessi, la seconda è che vivere in uno di quei Paesi equivale ad affrontare quotidianamente il rischio di morte accidentale. In uno di quei Paesi prendere l’autobus, andare a scuola, passeggiare per strada equivale a esporre la propria vita al pericolo ignoto. Senza ovviamente contare il fatto che in Iraq dal 2003 imperversa una guerra dai mille volti e senza un’apparente fine e a scatenarla siamo stati noi, e che in Siria dal 2011 il conflitto civile ha provocato sin ora circa 4 milioni di profughi.

Voi direte, e a noi perché una cosa simile dovrebbe interessare? Perché indignarci o anche semplicemente sentirci toccati per dei fatti che, per quanto atroci, avvengono centinaia di km da casa nostra? Le risposte possibili sarebbero veramente molte e potrebbero spaziare in molti campi, dall’etica alla politica, dalla filosofia alla religione, ma io qui non tenterò di argomentarne nemmeno una. Mi limiterò invece a porre altre domande. Perché quelle 25.000 vittime (ripeto di terrorismo e non colpite da bombe della coalizione internazionale o da attacchi militari in generale, ché se dovessimo contare anche quelle il numero salirebbe di molto) non hanno nessun volto e nessun nome per noi? Perché su quegli uomini, donne e bambini non proliferano storie struggenti sul come e il perché si trovassero proprio su un determinato autobus a una determinata ora? Perché la loro morte non scatena hashtag, catene di solidarietà, fiaccolate? Forse che oggi, in Europa, in Occidente, la cultura più avanzata della storia dell’Umanità nata dalle ceneri del mondo Classico e culla dell’Illuminismo, la Società più pacifica di sempre che ha una venerazione per la buona convivenza e per i sacrosanti diritti dell’uomo, conferisce un valore qualitativo diverso alle vite umane? Forse che quindi, 25.000 vittime di qualsiasi altro paese sono forse più accettabili delle nostre 129 inaccettabili vittime?

Quoi! Des cohortes étrangères
Feraient la loi dans nos foyers!
Quoi! Ces phalanges mercenaires
Terrasseraient nos fiers guerriers!
Grand Dieu! Par des mains enchaînées
Nos fronts sous le joug se ploieraient
De vils despotes deviendraient
Les maîtres de nos destinées!

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