“Te go dito che te porto”. Triesti-ni-tudine all’Hangar Teatri

di Morena Pinto

(foto di Tommaso Vaccarezza)

Se sei alla ricerca di Trieste, se ti senti troppo triestino (fuori e/o dentro) e sei nel pieno di una crisi d’identità che, d’altronde, non ti hai mai lasciato, allora “Topolini” è lo spettacolo giusto per te.

Vivere dal di dentro i cliché culturali del proprio luogo natio è difficile, disorientante, spesso ingrato. Ma se qualcuno te li racconta, li incarna, con la propria presenza scenica e servendosi solo di un tavolo, di una sedietta e delle proprie vocali apocalittiche, a quel punto la prospettiva cambia radicalmente: diviene possibile riderne, e di gusto. Chapeau, Luigi Orsini!

Le situazioni paradossali vissute da un bagnino abruzzese – alle prese con il marasma di veci che affolla la celebre spiaggia di cemento sotto le terrazze azzurre a semi-cerchio di Barcola (da cui il nome “Topolini”) – sono lo spunto scenico di questo manifesto della triesti-ni-tudine, tutta racchiusa in quel ni di mezzo, che quasi non si lascia notare talmente è incastrato, ma che dà una certa fiducia nella sua brevità, o almeno così ti fa credere. Attitudine tipicamente triestina, l’essere concisi: sintetici, ma non troppo, perché la trasparenza è per pochi fortunati. Te go dito che te porto – la frase a metà tra il cordiale e l’imperioso che molti anziani triestini rivolgono a Luigi dopo averlo preso in simpatia, con l’intento di offrirgli cibo e altre varie manifestazioni materiali di affetto (che lui, un po’ preoccupato, rifiuta garbatamente ma fermamente) – riassume alla perfezione il mix di cordialità e ruvidezza tipico dell’anima popolare triestina. Della serie “ora che sei dei nostri non puoi più scappare – neanche a nuoto, caro bagnino”.

La laghitudine – quella piattezza all’orizzonte che allontana dalla concezione ortodossa di quello che comunemente chiamiamo mare e che tu, Luigi, mi fai brillantemente notare nel tuo spettacolo – non è forse compensata dal fluttuare profondo e a perdita d’occhio della “6“ carica di veci che, ammassati, si riversano a Barcola a tutte le ore del giorno? Una visione in linea, si fa per dire, con la ruvidezza degli scoi bagnati assaliti dalle pose umane più animalesche e ossessionate dall fatidico impatto, quotidiano e perpendicolare, su un cemento al calor bianco, col sole cocente.

Aiuto! Forse questo mio stesso fare un po’ polemico fa parte dello stesso gioco triestino – della mia triesti-ni-tudine? A me piace pensare che questa apparente spigolosità (in cui alcuni riconoscono un tratto distintivo dell’essere triestini) sia piuttosto il barlume di uno spirito critico sempre all’orizzonte, che sa ancora preferire le solate in viso a quelle sulla schiena.

Caro Luigi, forse tu eviti di parlarne in modo palese e non osi nominarla nel tuo monologo, ma è chiaro che un certo disagio – questa triestinitudine – te la provoca; non riesci a non atteggiarla nelle tua parlata e nelle tue movenze. “Fa parte del gioco di ruolo”, mi risponderai tu, ma al ritorno dell’intercalare abruzzese nel suono della tua voce non sono poi così sicura che, almeno inconsciamente, tu non te ne sia appropriato (o che, viceversa, Lei – la triestinitudine – non si sia impossessata un po’ anche di te). E ti dirò di più: una parte di me se ne rallegra, perché è proprio in questo tipo di contaminazioni che si creano gli incontri più interessanti.

Un monologo teatrale abruzzo-triestino che non cade mai nella banalità e che, anzi, va a nozze con il mood un po’ provocatorio e divisivo della triestinitudine. Non rinuncerei alle contraddizioni del vecio triestino, figura emblematica dell’antropologia locale, ma – quasi quasi – all’ubiquità del no se pol preferisco di gran lunga l’aspettativa del te go dito che te porto: nell’apparente secchezza di quest’espressione si cela una velata promessa, per non dire l’affettuosa minaccia, del vecio che aspetta con ansia il tuo ritorno ai Topolini, l’arrivo de “El Bagnin de l’Abruzzo”.

*P.s: per assaggiare un po’ di fare triestino (chissà poi cosa voglia dire davvero) insieme ad alcune delle più preziose bizzarrie che si possono incontrare sul selciato cocente di Barcola, alla fine del monologo gustatevi il calore del sole sui bagnanti attraverso lo sguardo, e lo slideshow del progetto “L’inevitabilità del mare”, del fotografo Tommaso Vaccarezza.

“Topolini”, di Luigi Orsini, all’Hangar Teatri ancora per iI prossimo weekend (28-29-30 maggio).

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