Un nido di candide piume. Una lettura “altra” del 5 maggio

di Alessandra Trevisan

Chiamò Henritte e le disse: “Voglio un requiem per lui; desidero tributargli un onore letterario, vergine da ogni patriottismo, che si rivelerebbe altrimenti, per la sua fragilità sillogica, assolutamente vano. Penso alla storia e penso all’uomo che tutto in sé racchiuse. In questo consistette la sua grandezza, nell’aver raccolto la sfide dell’agire e sopportato le sconfitte”

Non è facile parlare di grandi autori, specie se hanno segnato la nostra storia scolastica; non è semplice trattare di loro se hanno avuto, per decine di anni, un ruolo definito, centrale, di uomini asserviti a una certa idea di identità nazionale. Questo libro intende, con intelligenza, rivedere le carte in tavola, dare una versione diversa del mito-Manzoni riportandolo a una dimensione umana inedita. Chiara Pini, docente e studiosa, ha unito alcuni anni di ricerche sul Cinque Maggio a documenti privati biografici che riguardano la personale vicenda di Alessandro Manzoni, di Henriette Blondel che fu sua moglie, e della loro famiglia: ne risulta un volume che si divide – come evidenziato anche dalla poeta Silvia Salvagnini – tra prosa romanzesca, saggistica e poesia, quest’ultima nella misura di un verso libero che, unito alle strofe della poesia del Manzoni (ad intervalli collocate nel testo), forniscono un ritmo proprio alla narrazione.

Siamo in qui giorni caldi del luglio 1821 a Brusuglio, fuori Milano: è in quel luogo che Manzoni apprenderà della morte di Napoleone Bonaparte avvenuta in maggio, figura emblematica che, durante l’arco della vita dello scrittore, creerà spesse volte momenti di smarrimento.

Pini racconta la nascita di un’opera: non un’ode civile – come già da molti studiosi evidenziato, ci dice – bensì un’ode religiosa, un “requiem” per un uomo che, dopo aver messo a ferro e fuoco l’Europa, è venuto a mancare in totale solitudine. Un’ode per l’uomo e non per il personaggio politico – in questo riconosciamo la storia dello stesso Manzoni, con il taglio che questo volume presenta.

Quei giorni di luglio sono anche quelli in cui il personaggio di Enrichetta Blondel si rivela, sulla pagina, con tutta la sua forza e risolutezza femminile: quella di una donna che suona il pianoforte ininterrottamente, al fine di rendere lieve il lavoro del marito, uomo irrequieto (come dice la nota di copertina) e sensibile. Una figura fragile che, durante tutto l’arco della sua infanzia, non ha conosciuto l’amore familiare che avrebbe desiderato.

Pini riesce a trasportare il lettore in quel periodo storico grazie a un sapiente uso del tempo – scandito dalla musica al piano – e da una struttura testuale che rende la lettura viva, intensa.
La caratterizzazione dei personaggi è molto specifica: fuori dal luogo comune d’autore, che vorrebbe quello tra Manzoni e Blondel un matrimonio combinato e non d’amore – cosa che invece fu – e un Manzoni fermo, devoto alla patria; Pini rintraccia i fili di un’esistenza ritirata, chiusa in una dimensione domestica bucolica. Henriette, che aveva abiurato il calvinismo per abbracciare la fede cattolica, è una figura in grado di “metter ordine” (Pini) nell’esistenza della sua famiglia (avrà dieci figli con Alessandro) e di mantenere un rapporto di ammirazione con la suocera Giulia Beccaria, donna tenace, sempre vissuta al di là delle convenzioni, personaggio attivo nel libro.

Questo volume insegna una diversa versione dei fatti, basata consapevolmente su fonti storiche (attestate da Natalia Ginzburg e Marta Boneschi per lo più) unite a episodi d’invenzione. Non solo la famiglia Manzoni in senso stretto, ma anche la vicenda di Enrichetta nel rapporto complicato con la madre e con il padre sono al centro della prosa.

L’autrice ridà dignità alle biografie e, allo stesso tempo, tenta di portare l’opera di Manzoni nello spazio che le è proprio: quello dell’attinenza con la sua stessa vita e, più in generale, con la ‘vita’ di tutti, fuori da logiche strettamente patriottiche e, per questa ragione, strumentali.

Lo stesso titolo, Un nido di candide piume, rivela l’affetto di un gesto generazionale (di pura finzione narrativa): si tratta del passaggio di consegne di una cuffietta di piume – detta “la cometa” nei documenti storici – da parte di Giulia Beccaria alla nipote Giulietta. Se Pini inventa la trasmissione di questo ricordo, così raccontando propone questo essere “acqua nell’acqua” delle donne (Silvia Vegetti Finzi), di generazione in generazione.

Il libro si conclude con un saggio critico sul Cinque Maggio, in cui si individuano un’inedita struttura a croce e una costruzione dell’ode caratterizzata dai momenti fondamentali della messa a requiem. Dal punto di vista dello studio dell’opera, questa parte rende ancora più valore al racconto di quella che fu la sua composizione e permette una lettura nuova del testo. Italo Calvino avrebbe detto che “un classico […] non ha mai finito di dire quel che ha da dire”; Chiara Pini lo dimostra, seguendo molteplici piste.

Chiara Pini, Un nido di candide piume, L’Erudita, Giulio Perrone editore, 2018, pp. 145, euro 14

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