Venice Virtual Reality: il (meraviglioso) Mondo Nuovo

di Francesco Ruzzier

“To be continued”: è questo quello che si legge al termine di molti dei progetti presenti alla Venice Virtual Reality, il nuovo concorso indetto dalla Mostra del Cinema di Venezia per aprire le porte all’universo della realtà virtuale. “To be continued”, per mettere le cose in chiaro: quello a cui si assiste è un work in progress, un cantiere aperto, un laboratorio di esperienze completamente nuove.

È chiaro che la creazione di universi e realtà simulate è ormai da decenni al centro di produzioni cinematografiche e videludiche, ma mai come in quest’ultimo periodo la tecnologia si è avvicinata così tanto al poter proporre un’esperienza spettatoriale completamente nuova dal punto di vista estetico e narrativo. Ed in questo senso la Venice Virtual Reality riesce a raggiungere pienamente il proprio obiettivo, proponendo un anno zero di sperimentazioni per avvicinare il pubblico ad un nuovo modo di vivere l’arte cinematografica. È necessario infatti approcciarsi a questa nuova forma di intrattenimento con la voglia, la curiosità e l’entusiasmo di sperimentare, di esplorare e lasciarsi sorprendere, provando in questo senso a instaurare un rapporto completamente inedito con l’audiovisivo; un legame personale, quasi istintivo, che presuppone un dialogo continuo con l’opera.

Da guardare (quasi) come un film classico e interattivo (quasi) come un videogioco, il cinema in VR prevede un contributo continuo da parte dello spettatore, che può decidere cosa “inquadrare” all’interno dello spazio diegetico e, quando può, perfino dove muoversi. In questo senso ogni visione, ogni sguardo, ogni movimento, ogni distrazione genera un contenuto audiovisivo inedito e, a suo modo, unico. Un potere, una possibilità, un rischio lasciato allo spettatore, che può decidere di “non guardare”, di smarrirsi, di lasciarsi sorprendere. A volte, perdendosi in questi universi virtuali, snobbando l’azione principale, non seguendo la storia tradizionale, tradendo insomma i canoni classici della visione cinematografica, quasi ci si sente in colpa; eppure troppo è il coinvolgimento, troppo l’entusiasmo della scoperta per rimanere indifferenti e limitarsi a “subire” una storia in modo classico.

Già dopo pochi istanti quella libertà di movimento diventa praticamente imprescindibile e tutto d’un tratto sembra impensabile poterne fare a meno; così, perdersi tra le intuizioni, gli esperimenti e gli errori, sentirsi pienamente coinvolti in un mondo che diventa immediatamente l’unico mondo che vogliamo abitare, rimanere a fissare soltanto cose “sbagliate”, attraversare gli oggetti e spingersi ai limiti dello spazio, ecco, con il passare dei minuti tutto questo – ma forse anche più di questo – diventa, semplicemente, meraviglioso.

Un work in progress, un cantiere aperto, un laboratorio di esperienze completamente nuove. To be continued

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