#Capirelaguerra – Un po’ di storia nella salsa: la complessità storica, etnica e geo-politica dell’attuale territorio ucraino (pt. 1)

di Andrea Muni

L’Europa nel 1911

Riavvolgiamo rapidamente il filo. L’Ucraina attualmente indipendente è stata fino al 1991 una Repubblica socialista federale dell’Unione Sovietica, creata da Lenin al termine della Guerra civile tra Rossi e Bianchi che segue la Rivoluzione d’Ottobre (1917-1922). L’Ucraina – intesa come stato – non è mai esistita prima. Mai. Gli “ucraini”, in senso strettamente etnico-linguistico, sono i cosiddetti ruteni, popolazioni slave orientali (come russi e bielorussi) stanziate da lunghissimo tempo nella parte occidentale dell’attuale Bielorussia, in Slovacchia e nella parte centro-occidentale dell’attuale Ucraina. La parola “Ucraina” significa infatti “confine”, e per lungo tempo è stata usata in senso puramente geografico proprio per indicare il confine delle sfere di influenza di Regno polacco, Impero ottomano e Impero russo.

Considerazioni generali

Primo punto:
1) Parlare di ucraini – pensando di riferirsi con questa espressione a una qualche omogeneità etnica degli attuali cittadini ucraini – è una pura stupidaggine storico-geografico-antropologica. Una baggianata ancora più ridicola che parlare genericamente di “popolo italiano” nel 1890, pensando con questo di riferirsi a una qualche omogeneità etnico-linguistico-culturale. Se è vero che l’Ucraina è nata un secolo fa come Repubblica federale sovietica, è vero anche che la sua esistenza come stato nazionale indipendente è di soli trent’anni. Inoltre non possiamo dimenticare che durante il periodo dell’URSS la Repubblica socialista federale russa considerava la parte sud-orientale dell’Ucraina praticamente come un tutt’uno con se stessa. Basti pensare alla curiosa vicenda della Crimea, letteralmente “regalata” nel 1954 da Krushov – segretario del PCUS di etnia ucraina (succeduto a Stalin, che era georgiano) – alla Repubblica socialista federale ucraina. Krushov farà infatti “transitare” nel 1954 la Crimea dalla Repubblica federale russa a quella ucraina per scopi puramente pratici (la costruzione di infrastrutture), e per festeggiare simbolicamente i trecento anni dell’annessione russa dell’Etmanato cosacco, ossia del territorio che copriva buona parte dell’attuale Ucraina (cfr. per un approfondimento questa intervista di Rai News al figlio di Krushov, che è oggi un accademico e cittadino americano).

Inoltre, per proseguire il parallelo con l’Italia, se noi parliamo oggi (dopo 161 anni di unità e indipendenza – e salvo alcune tutelatissime e ormai abbastanza sparute minoranze linguistiche) la stessa lingua, questo non vale per i cittadini ucraini, in particolare nell’est e nel sud, dove il russo è spesso ancora la lingua più usata, nonostante i recenti sforzi in tutto il Paese per promuovere, nelle istituzioni, l’ucraino come lingua dominante. A questo proposito, senza provocazioni, mi permetto di notare la tragicomica autoironia involontaria di RAI NEWS 24, che alle 15.00 si fregia di trasmettere le notizie in lingua ucraina, per dei profughi in fuga da terre (spesso) ad ampia minoranza – quando non a maggioranza – russofona. Surreale. O ancora, basti pensare al fatto che lo show dell’ex comico Zelenski (“Servitore del popolo”) è stato girato in lingua russa, non in ucraino (a testimonianza della diffusione tutt’altro che minoritaria del russo, per lo meno in buona parte di tutta l’Ucraina orientale e meridionale). Questo non toglie nulla al sacrosanto nazionalismo e indipendentismo ucraino, e al fatto che sia normale che negli ultimi decenni, essendo uno stato indipendente, l’Ucraina abbia cercato di costruirsi una propria storia e di recuperare la proprie tradizioni e la propria lingua: il problema è proprio la sproporzione tra il territorio dello Stato ucraino e la varietà della composizione etnico-linguistica dei suoi abitanti. Uno stato così geograficamente ampio ed etnicamente complesso difficilmente poteva pensare di riuscire a “nazionalizzarsi” senza scosse, ed è proprio questo in fondo il motivo per cui, fino al 2014, il paese è rimasto in bilico tra Oriente ed Occidente.

Secondo punto:
2) Quando parliamo oggi di Ucraina ci riferiamo a una serie di territori e di città che sono passati di mano, e che a volte hanno persino (quasi per intero) cambiato composizione etnica della popolazione, talmente tante volte nel corso degli ultimi soli tre secoli che spesso diviene quasi impossibile seguirne le trasformazioni. Altre volte però ricostruire la storia di queste trasformazioni non soltanto è possibile, ma è anche il modo migliore per farsi un’idea complessa del clamoroso errore storico che compiamo ogni volta che usiamo l’espressione “il popolo ucraino” credendo con essa di riferirci a tutti i “cittadini dell’attuale stato ucraino”.

L’esempio più interessante è probabilmente quello che ci offre la città Leopoli, oggi uno dei più caldi focolai del nazionalismo ucraino. Vedremo nella seconda parte dedicata al Novecento il ruolo che avranno nel tardo risveglio nazionale ucraino figure come quella di Petlijura (alla fine della Prima guerra mondiale e durante la Guerra civile russa), quella senz’altro più affascinante dell’anarchico Machno (sempre tra le due guerre) e quella del fascista collaborazionista Stepan Bandera durante la Seconda.

La città di Leopoli è appartenuta, dalla disgregazione della Polonia e fino alla Prima guerra mondiale, all’Impero Austro-ungarico (cioè dalla fine del ‘700 alla fine della Grande guerra), passando poi tra le due guerre mondiali nuovamente sotto la ricostituita Polonia, per divenire infine parte dell’Unione sovietica con la spartizione polacca tra nazisti e URSS seguita al patto Molotov-Ribbentropp (1939-40). Fino alla vigilia della Prima guerra mondiale Leopoli presentava, secondo le stime del censimento del 1910 condotto dall’Impero austro-ungarico, più di un quarto di persone di fede ebraica (che verranno quasi completamente decimate dall’Olocausto), mentre i tre quarti della popolazione era di lingua polacca e solo l’11% ucrainofona (cfr. New international Encyclopedia, Volume 13, Dodd Mead, 1915, cit. in pagina di wikipedia sulla città di Leopoli). Può sembrarci paradossale oggi, ma sarà solo dopo la sua annessione da parte dell’Unione sovietica – cioè a partire dal ’39/’40 – che la città sarà gradualmente ripopolata da Stalin con persone di etnia russa e ucraina, parallelamente all’espulsione/fuga della popolazione polacca e di religione cattolica.

Un altro esempio interessante è quello di Odessa, città marittima, portuale, popolata fino all’Olocausto per quasi un terzo da ebrei, che è a tutt’oggi dotata di un’ampia minoranza russa (non dico russofona, perché nel sud e nell’est anche molte persone che si riconoscono – o si riconoscevano volentieri fino a prima di Maidan – come “ucraini”, sono tendenzialmente russofone). Questo è dovuto al fatto che Odessa, diversamente dai territori dell’Ucraina nord-occidentale (come appunto Leopoli) è entrata molto prima a far parte dell’Impero russo (già alla fine del ‘700), con la conquista russa del Khanato di Crimea e della parte estremo nord-orientale della confinante regione ottomana di Silistra.

Terzo punto:
3) È importante rilevare a livello storico/geo-politico che l’est e il sud dell’attuale territorio ucraino non sono mai appartenuti a imperi o a nazioni occidentali. Mai in tutta la loro storia. Credo che questo sia qualcosa che dovrebbe farci riflettere rispetto a quello che è stato chiamato, non a sproposito, il recente espansionismo NATO. Certo, si può obiettare che il sud è appartenuto per lungo tempo all’Impero Ottomano, ossia alla Turchia, la quale è oggi un paese NATO (nonché il secondo esercito dopo quello USA), ma questo ci porterebbe a considerare la specificità – e la spregiudicatezza – del ruolo che proprio la Turchia sta giocando nell’attuale guerra, oltre che la peculiare storia di come il vecchio Impero ottomano è diventato l’attuale Turchia (questione che richiederà come minimo un intervento a sé stante).

Il medioevo

Al periodo della Rus’di Kiev (i cui primi regnanti erano per altro di origine scandinava, e in cui russi, bielorussi e ucraini sono ancora etnicamente indistinguibili) segue intorno al 1200 l’invasione mongola, cui fa seguito un nuovo protagonista: il Granducato polacco-lituano (Unione di Krewo), che si impadronirà a partire dalla seconda metà del Trecento della parte nord-occidentale dell’attuale Ucraina (compresa la città di Leopoli) e di Kiev, estendendo poi progressivamente il proprio dominio su buona parte dell’Europa centrale e arrivando fino a toccare – al massimo della propria espansione, e solo per un breve periodo – le coste nord-orientali del Mar Nero. A partire dal 1441 invece, complice il lungo crollo dell’Impero bizantino, la maggior parte dell’attuale Ucraina meridionale (Crimea, la attuali Cherson, Mykolaev, Odessa e quasi tutta la costa nord-orientale del Mar Nero) entra stabilmente nell’orbita turca, restandovi fino al 1783-1793, quando cadrà nelle mani dell’Impero russo. Un altro discorso ancora andrebbe fatto per la storia del nord-est dell’attuale Ucraina, dove ad esempio una città come Kharkov è fondata nel 1654 dallo Zarato russo e tale rimane fino alla disgregazione dell’Unione sovietica.

Il Granducato polacco-lituano, il trattato di Perejaslav e la tregua di Andrusovo

Il Granducato polacco-lituano è stato un regno fiorente e politicamente complesso che ha dominato l’Europa centro-settentrionale per quasi quattro secoli, comprendendo (anche se in certi casi solo per brevi periodi) parti di territori che oggi fatichiamo non poco a pensare uniti: i Paesi baltici, la Polonia, la Slovacchia, un piccola porzione di Ungheria settentrionale, l’Ucraina nord-occidentale, e persino zone della Moldavia e della Romania. Il Regno ebbe una prima battuta d’arresto alla sua espansione quando, dopo aver cercato per un breve periodo di estendere sotto la dinastia degli Jagelloni la propria influenza anche su Boemia e Ungheria, Luigi II Jagellone (regnante del ramo boemo-ungherese della dinastia regnante polacco-lituana) perse contro i Turchi nel 1526 la celebre battaglia di Mohacs. Da questo periodo inizia anche il lungo declino del Regno polacco, che lascia l’incombenza di “difendere la cristianità” dalla minaccia ottomana ai subentranti Asburgo d’Austria, i quali estenderanno così la propria influenza sulla parte settentrionale dell’Ungheria non ancora conquistata dai Turchi (e sul resto dell’Europa centrale). Il regno polacco-lituano ristabilirà invece il proprio baricentro verso nord-est, cedendo tra ‘500 e ‘600 i propri territori più meridionali a turchi e austriaci (che riconquisteranno poi buona parte dell’attuale Ungheria già ai primissimi del ‘700). Il trattato di Karlowitz (1699) segnerà la vittoria della Lega Santa (cristiana) contro l’Impero Ottomano, la liberazione dell’Ungheria, della Croazia, della Slovacchia e di parte dell’attuale Ucraina, vedendo l’ultimo effimero bagliore di grandezza del Regno polacco e del suo re-condottiero Jan Sobieski, che fu grande protagonista della liberazione del secondo assedio di Vienna e della successiva riconquista.

Inoltre, durante la Rivolta di Chmel’nyc’kyj (1648-1657) contro il Regno polacco, i Cosacchi decidono nel 1653 di federarsi all’Impero russo, dando parallelamente il via alla Guerra russo-polacca (ultimo atto di un secolo di guerre tra il Granducato polacco-lituano e lo Zarato di Moscova). Questa guerra si conclude con la tregua di Andrusovo del 1667, che vedeva il Regno polacco-lituano perdere definitivamente un importante pezzo del proprio versante orientale, a vantaggio della Russia. L’attuale Ucraina centro-meridonale (le due sponde del Dniepr) diviene in questo periodo uno stato semi-indipendente sotto il controllo dell’Etmanato dei cosacchi zaporogi (dalla regione di Zaporizzhia), che scelgono di federarsi all’Impero russo – cosa di cui si pentiranno, perché a inizio ‘700 Pietro il Grande ne approfitterà per inglobare forzosamente il loro regno, e quello dei Cosacchi del Don, nell’Impero russo. Con la Tregua di Andrusovo, dalla seconda metà del Seicento, la riva orientale del Dniepr (e, su quella occidentale, la città di Kiev) passano quindi stabilmente nell’orbita dell’Impero russo.

I Cosacchi, fieri della loro storica “libertà”, cercheranno a lungo di creare degli stati indipendenti sull’attuale territorio russo e ucraino (famosa è la rivolta di Pugacev, Cosacco del Don, nella seconda metà del ‘700, e un secolo prima quella di Sten’ka Razin nel Basso Volga), ma la forza centripeta dell’Impero russo li assorbirà definitivamente durante il Settecento (tra i regni di Pietro il Grande e Caterina II). Siamo ormai nella seconda metà del Settecento, momento in cui possiamo osservare una stabile spaccatura geopolitica tra riva destra e riva sinistra del Dniepr (tra Regno polacco, Impero ottomano e Impero russo) – che oggi conosciamo tristemente per essere la linea di fronte meridionale del conflitto in Ucraina. In questo periodo (seconda metà del Settecento) il sud dell’attuale Ucraina e la Crimea sono infatti ancora territori appartenenti principalmente al Khanato di Crimea (stato erede dell’Orda d’oro mongola, federato all’Impero ottomano) e saranno conquistate dall’Impero russo appena nell’ultimo decennio del ‘700 (cfr. il buon lavoro di sintesi fatto da questo articolo di Limes del 2014).

Cartina della situazione successiva alla Guerra russo-polacca (Tregua di Andrusovo). Fonte wikipedia

La Guerra di successione polacca, la prima spartizione della Polonia, la Guerra russo-turca, i Moti del ’48 e la Pace di Berlino

Alla fine del Settecento, in tre tappe, la Guerra di successione polacca smembra definitivamente il glorioso Regno lituano-polacco tra i gli Imperi russo, prussiano e austro-ungarico. Questa guerra si svolge per altro parallelamente a una delle tante puntate della Guerra russo-turca (che porterà poi gradualmente, nella seconda metà dell’Ottocento, alla liberazione dei Balcani). Dopo il fugace tentativo napoleonico di ristabilire un Ducato di Varsavia, la sistemazione finale dei territori polacchi che uscirà da Congresso di Vienna e moti del ’48, vedrà assegnata alla Prussia la regione della Posnania, all’Austria quella di Cracovia, e alla Russia la Vistola e il cosiddetto Regno del congresso.

In questo periodo la città di Leopoli, raccontata magnificamente da Sacher-Masoch in molti dei suoi racconti, è una città polacca (con un’importante minoranza ebraica) federata all’Impero austro-ungarico, Kiev è ormai da un secolo e mezzo una città dell’Impero russo, così come lo è – all’estremo nord-est dell’attuale Ucraina – la città di Kharkov, fondata nel 1654 dallo Zarato di Russia. La città di Odessa e la Crimea invece sono state da poco conquistate dalla Russia, che le ha definitivamente sottratte all’Impero Ottomano intorno al 1793. Sempre da Sacher-Masoch apprendiamo anche della particolare situazione che si viene a creare un paio d’anni prima dei moti del ’48, in cui i contadini ucraini nord-occidentali si rivoltano contro i nobili polacchi – che a loro volta si erano rivoltati contro l’Impero asburgico sperando di recuperare la propria indipendenza nazionale – per timore di perdere le pur minime tutele paradossalmente garantite loro proprio dagli austriaci.

L’interminabile Guerra tra Impero russo e ottomano per i territori circostanti il Mar Nero si concluderà a ovest con la liberazione di parte dei Balcani orientali e della Serbia nell’1877-1878, e a est con la stabilizzazione del dominio russo su Georgia e Armenia (conquistate a inizio Ottocento). Il trattato di Berlino (1878) ritoccherà infine la Pace di Santo Stefano, considerata dall’Austria e dall’Inghilterra troppo vantaggiosa per i russi, prevedendo la spartizione dei Balcani tra Austria e Russia. La nuova situazione vedrà un sostanziale protettorato russo sulla parte orientale dei Balcani (e l’acquisizione della Bessarabia, regione storica che si estendeva su piccole parti delle attuali Ucraina e Romania, e principalmente sull’attuale Moldavia), un protettorato austriaco sulla Bosnia e un Regno serbo indipendente. Una soluzione sgradita alla Russia e ancor di più alla Serbia, per via delle ampie minoranze serbe in Bosnia e delle ambizioni panslaviste del neonato Regno serbo, che come è noto qualche decina d’anni dopo (con l’assassinio da parte del nazionalista Gavrilo Princip dell’Arciduca Francesco Ferdinando) accenderà la miccia della Prima Guerra mondiale.

Il “nazionalismo” cosacco, e gli odierni nazionalismi russo e ucraino

Un “nazionalismo” quanto meno curioso quello cosacco, visto che parliamo di un “popolo” che non ha mai avuto una precisa connotazione etnica, bensì politico-militare. Secondo alcuni storici i Cosacchi erano militari “liberi” (e dotati di diritti speciali), originariamente di etnia tatara/turco-mongola, mescolatisi nel tempo con la popolazione slava; secondo altri erano invece in origine prigionieri slavi dei turchi che, una volta liberati, avevano formato dei corpi militari scelti e semi-autonomi (con famiglie al seguito) di cui il Regno polacco, l’Impero russo – e prima il Regno di Moscova, si servivano come coloni e militari specializzati a difesa delle proprie frontiere minacciate dall’espansione turca. Ancora oggi piccole comunità cosacche si trovano sparse a macchia d’olio sul territorio russo e ucraino.

Si trattava in sostanza di gruppi autonomi – stanziati principalmente sulle rive del Don, del Dniepr (nella regione di Zaporhizzia) e del basso Volga – che a partire dalla seconda metà del XV secolo combattevano la minaccia ottomana e, parallelamente, accoglievano servi della gleba in fuga, cristiani che scappavano dai territori ottomani e avventurieri di ogni sorta. I Cosacchi (etnicamente mal definibili: probabilmente un misto tataro-slavo che è andato perdendo progressivamente la sua probabile origine turco-mongola, per poi slavizzarsi definitivamente già all’altezza XVII secolo) sono quindi un gruppo che ha abitato a lungo i territori dell’attuale Ucraina centrale, e sono una delle “popolazioni” che vi ha risieduto più stabilmente e omogeneamente nella storia moderna. Esistevano Cosacchi vicini all’Impero russo, Cosacchi vicini al Regno polacco, e persino Cosacchi che nel 1670 si alleano con l’Impero ottomano contro lo stesso Regno di polonia. Così, giusto per rendere una volta di più l’idea della complessità di ciò di cui parliamo.

La questione dei Cosacchi è importante perché, se è difficile vedere nei cosacchi i precursori dell’odierno nazionalista russo putiniano, di certo risulta molto difficile anche farne i “nonni” del nazionalista ucraino novecentesco cui si ispira, tra gli altri, il tristemente famoso Battaglione Azov. Se è vero infatti che, dopo la Rivoluzione d’Ottobre i Cosacchi (come i nazionalisti ucraini, anche se per ragioni diverse) parteggeranno per i Bianchi, è pur vero anche che – sempre come i nazionalisti ucraini – essi si alleeranno durante la seconda guerra mondiale con i nazisti in chiave comprensibilmente anti-sovietica. Al contempo è vero anche che oggi possiamo trovare degli eredi dei Cosacchi tra le fila dello stesso esercito russo che combatte attualmente in Ucraina, come è vero che tradizionalmente i Cosacchi hanno intrattenuto rapporti “speciali” e di fiducia con gli Zar, quando – una volta svanito il sogno dell’indipendenza – sono divenuti dei coloni semiautonomi dell’Impero, spesso inviati alla conquista di territori particolarmente inospitali (o sono stati utilizzati come preziosi corpi di riservisti, pronti a essere mobilitati alla prima occasione).

Faccio questa precisazione non per sfoggio di erudizione, ma per mostrare nel modo più pratico possibile come l’idea di una differenza etnica forte, radicata, propriamente “nazionale” tra russi, ucraini e cosacchi sia un’idea del tutto recente, pienamente novecentesca. Un’idea che fino a poco più di un secolo fa (o al limite fino ai Moti del ’48), ossia fino alla crisi degli Imperi centrali, esisteva certamente nel concreto della vita delle persone, delle comunità, delle rivolte locali, ma mai avrebbe potuto tradursi in una guerra etnico-nazionale della portata di quelle che abbiamo conosciuto nel Novecento (e che stiamo conoscendo oggi). Il Novecento, secolo dei nazionalismi, è stato in questo senso palesemente una “creatura” anglo-francese (e poi americana/wilsoniana), volta alla frammentazione dei grandi Imperi centrali. Una strategia tipicamente occidentale quella della fomentazione dei nazionalismi, che vedremo all’opera anche durante il tracollo, e la conseguente disgregazione, dell’Unione Sovietica.

L’appartenenza degli ucraini nord-occidentali all’Impero asburgico li lega spesso ancora oggi in un’amicizia profonda con gli altri popoli dell’Impero: triestini, ungheresi, meno coi polacchi (con cui gli ucraini nord-occidentali hanno combattuto guerre furibonde al momento della caduta dell’Impero asburgico, e già prima ai tempi delle sollevazioni nazionali del ’48), e poi croati, cechi, slovacchi. Nonostante le loro divergenze, anche sanguinose, dopo il crollo dell’Impero asburgico tutti questi popoli si sono sentiti vicini nel rivendicare (sacrosantamente), ognuno per sé, un’indipendenza e un’autonomia nazionale. Appena liberatisi dal giogo austro-ungarico, questi popoli hanno infatti comprensibilmente visto nella parallela espansione sovietica una grave minaccia alle proprie più che lecite ambizioni indipendentistiche. Come non comprendere la profonda ostilità, tanto nei confronti della Russia quanto nei confronti del bolscevismo, di queste popolazioni? Lo stesso invece, notoriamente, non vale per i Serbi, che hanno trovato alla fine dell’Ottocento nella Russia un player fondamentale della loro indipendenza nazionale (anche se poi come è noto, nel secondo dopoguerra, non correrà esattamente buon sangue tra Tito e Stalin).

A rovescio però queste considerazioni sulla tradizionale amicizia antirussa e antisovietica dei diversi popoli dell’Europa centrale appartenuti all’Impero transnazionale asburgico, dovrebbero anche farci riflettere parallelamente sul fatto che anche l’Unione Sovietica (erede dell’Impero russo, e progenitrice dell’attuale Federazione Russa) ha avuto al proprio interno un’infinità di etnie, di lingue e di religioni che hanno spesso convissuto in modo relativamente pacifico, pur vedendo le proprie differenze etnico-religiose poco riconosciute nella sfera politica (anche se, almeno durante l’URSS, non necessariamente in quella privata).

Un esempio. Non è un mistero che molti ucraini (tra cui il grande Bulgakov e tutta la sua famiglia di provenienza, che era guarda caso ucraina pur essendo etnicamente di origine russa) abbiano militato tra le fila dei Bianchi durante la Guerra civile che segue la Rivoluzione d’Ottobre. Non trovo stupefacente perciò che molti cittadini sovietici, che hanno combattuto per la creazione dell’Unione Sovietica (e che si sono riconosciuti poi nella sua storia), nei decenni successivi non abbiano smesso di provare un certo astio per i militanti contro-rivoluzionari Bianchi. Proprio come non vedo nulla di strano nel fatto che le popolazioni slave vissute da sempre nell’orbita degli imperi tedesco e austriaco (cechi, slovacchi, sloveni, croati, polacchi, ucraini nord-occidentali) non abbiano mai smesso di percepire l’Impero russo, l’URSS e poi i gerarchi comunisti dei loro Paesi durante gli anni del Patto di Varsavia, come un nemico che minava le loro aspirazioni a una piena indipendenza e autonomia. E’ fondamentale riuscire a esercitare un minimo di relativismo su simili temi, è necessario immedesimarsi nelle posizioni “soggettive” di ognuno di questi popoli. Per riuscirci basterebbe smettere di pensare, nonostante ci abbiano pavlovianamente condizionato a farlo, che in quanto occidentali siamo i depositari “morali” di una qualche verità ultima sulle lotte e le rivalità tra popoli di tutto il mondo; basterebbe operare questo semplice gesto di “sospensione”, per riuscire a orientarci un po’ meglio tre le volgari bugie dei media mainstream da un lato, e le parallele puttanate dei sobillatori rossobruni-putiniani dall’altro.

Al crollo dell’Impero sovietico, come al crollo dell’Impero austro-ungarico, è seguita un’esplosione di nazionalismi non sempre salutari. Se è senz’altro vero che l’URSS ha cercato spesso di soffocare (a livello di rivendicazioni politiche) la lingua e le tradizioni nazionali dei popoli delle sue repubbliche, è vero al contempo anche che i nazionalismi che sono scaturiti dal suo crollo non hanno sempre brillato per civiltà e democrazia. Nel caso dell’Ucraina orientale e sud-orientale tutti sanno che è difficile trovare una persona di quei luoghi che, risalendo ai nonni, non abbia una famiglia mista russo-ucraina (spesso anche ulteriormente frammista di origini ebree o tatare). E’ veramente una falsità storica al limite della malafede cercare di convincere l’opinione pubblica italiana e occidentale di una preponderante ucrainicità etnica di queste persone.

Io non credo che l’italiano medio, che sente le notizie al tg, riesca a capire minimamente il dramma nel dramma di un conflitto che ha ormai preso la forma di uno scontro tra nazionalismi, combattuto sulla pelle di persone che per la stragrande maggioranza sono di origini miste e a cui non interessa sotto a chi finiranno al termine di questo eccidio, purché non gli bombardino più i figli e la casa, e non mandino più a morire al fronte i loro parenti. Nell’est e nel sud dell’attuale Stato ucraino la differenza “etnica” tra russi e ucraini è estremamente sottile, spesso impercettibile, poiché questi due gruppi hanno fatto parte per secoli, e fino a trent’anni fa, di uno stesso Impero (e poiché godono di una familiarità etno-linguistico-culturale imparagonabile rispetto a quella in gioco in altri conflitti interetnico-religiosi, come ad esempio quello serbo-bosgnacco). Molte di queste persone non si erano mai poste la questione di una reale differenza etnica, se non negli sfottò intra-familiari, o tra amici, sugli ucraini “contadini” e i russi “fighetti”.

La questione etnica ha iniziato a (ri)proporsi – dopo gli orrori del Novecento – in termini così altamente conflittuali e nazionalistici solo in tempi recenti, per esplodere nell’attuale disastro da quando con Maidan l’Ucraina è entrata esplicitamente nell’orbita degli interessi NATO, disattendendo poi metodicamente gli accordi di Minsk del 2015 (ratificati e formalizzati da tutte le parti in causa – Ue, Russia e Ucraina – ma che guarda caso non vedevano gli Usa in un ruolo di primordine). D’altronde fomentare il nazionalismo è purtroppo la grande passione degli Usa, una superpotenza isolata territorialmente dall’Oceano, che cerca di colonizzare economicamente e militarmente paesi lontani (con la scusa dell’export della democrazia), mentre si impegna in modo metodico a disgregare gli imperi nemici dotati di un’estensione (e una possibilità di espansione) geografica ben più ampia della sua. Basti pensare a come gli Usa hanno prezzolato tutti i peggiori nazionalismi degli ultimi decenni, non ultima la jihad islamica nelle sue forme più mostruose (Al Quaeda, ISIS), o i colpi di stato più efferati (come quello di Al-Sisi in Egitto).

Una prima conclusione

Credo che questo primo sforzo di rielaborazione storica sia sufficiente a rendere conto della complessità di quello che oggi sentiamo troppo spesso acriticamente chiamare “il popolo ucraino”. Mi chiedo a volte come abbiamo fatto a dimenticare che il nostro mondo occidentale, unipolare, post-ideologico e chi più né ha più ne metta, non esiste nella storia e nella mentalità delle persone che hanno vissuto e vivono negli imperi e nelle nazioni che abbiamo sottomesso (o su cui esercitiamo ormai da più di un quarto di secolo un’influenza economico-ideologica planetaria, alias globalizzazione). Ora questi imperi, o ex imperi, si sentono abbastanza forti per contendere di nuovo la leadership mondiale all’Occidente, e questo è un dato di fatto che chi conosce un minimo di storia, e segue un minimo di attualità, dovrebbe ormai avere acquisito (se non è un Piddino, ovviamente). Hanno atteso il momento giusto, hanno cercato di assorbire dalla globalizzazione tutto ciò che poteva fargli comodo, e ora si sentono finalmente pronti a mettere in discussione il dominio mondiale americano.

Sicuramente non è la via di uno scontro frontale con queste nuove potenze che potrà salvarci dalle sabbie mobili in cui ci stiamo cacciando, ma solo una tempistica rinegoziazione pacifica degli equilibri internazionali di cui come Europa e come Italia facciamo parte. Equilibri che, vada come vada l’attuale guerra in Ucraina, non saranno mai più gli stessi. Nuovi equilibri all’interno dei quali – come italiani e come europei – dobbiamo trovare il modo di proteggere i nostri reali interessi: gli interessi della gente, dei lavoratori, delle persone. Non quelli dei nostri padroni americani, né tanto meno quelli dei loro lacché neoliberali (o liberal-conservatori) che governano, senza la minima ombra di un’alternativa, l’Europa e il nostro Paese.

[Prosegue QUI con la seconda parte sul Novecento e i Duemila]

2 COMMENTS

    • Grazie, molto gentile. Nel mio piccolissimo ho cercato di fare la cosa che, pur avendo cercato molto, avrei voluto leggere in giro per approfondire e che invece non ho trovato da nessuna parte. Mi fa molto piacere il suo commento, e se ci sono delle imprecisioni o questioni “aperte” da discutere sono a disposizione. Ci sono molte persone che sicuramente ne sanno più di me su questi temi. Io ho cercato di condensarli un po’ in un unico pezzo perché, dopo questi mesi passati a informarmi, ne sentivo davvero l’urgenza. Buona giornata, e grazie ancora per il commento. AM

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