di Mitja Stefancic
Forse incidentalmente o forse nemmeno tanto incidentalmente, gli sloveni Niet hanno scelto una data pregna di significato, quella del 25 aprile 2025, per ritornare a Trieste a quarant’anni dalla prima performance in terra giuliana. Una delle band più osannate del movimento culturale alternativo sloveno, che continua tuttora a godere di eccellente fama, si è esibita dal vivo sul palcoscenico del teatro Miela, davanti a 200 spettatori, in gran parte arrivati dalla Slovenia per l’atteso evento. Sul palco sono saliti Igor Dernovšek e Robert Likar alle chitarre, Janez Brezigar al basso, Tomaž Bergant Breht alla batteria e, per ultimo, il cantante Borut Marolt.
Una performance grintosa, preceduta dal monito di Igor Vidmar
A introdurre la performance è stato il decano del movimento punk e delle subculture slovene, Igor Vidmar, il quale, dopo aver ricordato le due precedenti esibizioni triestine dei Niet (nel lontano 1985 e, più recentemente, nel 2016, rigorosamente accompagnate dall’ormai celebre slogan “il disco è finito – il punk comincia!”), ha rivolto ai presenti un quesito prima in lingua italiana e poi in lingua slovena: “Bene, cari amici, a che punto siamo oggi?”. Prima che i membri del gruppo prendessero in mano gli strumenti, Vidmar ha aggiunto: “oggi la musica disco è al potere ovunque: alla Casa Bianca, a Roma, a Bruxelles. È al potere da noi a Ljubljana, e probabilmente lo è anche qui da voi, a Trieste. E proprio per questo anche il punk è dappertutto: il punk gode oggi di ottima salute!”.
L’apertura del concerto vero e proprio è stata affidata al brano “Molk” (Silenzio), come a voler definire da subito la cifra della serata. La voce del cantante Borult Marolt si è fatta rapidamente strada tra il pubblico in sala: “La strada è buia e silenziosa / su di essa riflettono gocce di pioggia”. E ancora: “Noi dietro i muri, noi dietro i muri / restiamo in silenzio, silenziosi dietro ai muri / in silenzio / come un proiettile in canna”.
Fuori un cielo plumbeo, come in segno di rispetto, ha deciso di risparmiare la città triestina dalla pioggia mentre all’interno del teatro sono partite, una dietro l’altra, come una raffica, le canzoni “Heroj” (Eroe) e “Ritem človeštva” (Il ritmo dell’umanità), che trasforma in poesia il motivo orwelliano del contrasto tra potere, controllo e rivolta: “silenziosamente ogni ribellione si trasforma in rivoluzione / la rivoluzione porta con sé il nuovo potere”.
La prima parte del concerto si è concentrata prevalentemente sul primissimo repertorio della band, che risale agli anni Ottanta del secolo scorso. I brani sono stati eseguiti in maniera assolutamente veloce, come da tradizione punk/hardcore, con grande incisività e con poche scarne pause. A parlare è stata la musica, non c’è stato bisogno d’altro. C’è stato poi spazio per le canzoni “Sam” (Da solo) e persino per “Srečna mladina” (Gioventù felice), la title track di quell’esordio senza compromessi del 1984, prodotto e distribuito su cassetta in una tiratura limitatissima di duecento pezzi, che divenne in seguito la cassetta più copiata nella storia della musica alternativa slovena.
Anche nella seconda parte dello spettacolo il pubblico ha potuto respirare in maniera a dir poco immediata l’energia musicale e il significato, principalmente distopico, dei testi cantati in lingua slovena da Marolt, tra cui il pezzo di culto della band lubianese, “Depresija” (Depressione): un brano in grado di sviscerare in poche, apparentemente semplici, strofe le emozioni e la complessità di quel difficile stato d’animo che tocca molti giovani e figura tra i malesseri più diffusi (e senz’altro più costosi) delle nostre società contemporanee.
La performance è continuata sino a giungere al brano più significativo e più simbolico del repertorio dei Niet: “Lep dan za smrt” (Un bel giorno per morire), il cui testo – ispirato dal poeta polacco Tadeusz Różewicz e dal rifiuto verso le guerre – dipinge la scena, ripensata per l’occasione in un paesaggio altro-adriatico, di una giovane coppia che inciampa e cade mentre è in fuga da un bombardamento. Un testo e uno scenario che ricordano Ballard: “giacevi, come inerme, sotto un sole rossastro ed irreale, a Trieste…”. Un’esecuzione da brividi, mentre nella coscienza collettiva dei presenti continuava a riecheggiare il senso dello slogan proiettato poco prima, a caratteri bianchi su telo nero: “libertà al popolo”.
All’interno del “Miela”, è stata così raggiunta una sorta di catarsi, nel corso di una notte scura ma piena di forza d’animo. I Niet, come ha affermato lo stesso Vidmar, possono essere ancora oggi annoverati tra le “migliori punk-rock band mitteleuropee”, e a differenza di molti altri gruppi storici della scena sono riusciti a proseguire con grande senso d’umiltà e caparbietà lungo la propria strada, rimanendo un collettivo unito e solido che dopo 40 anni di carriera riesce ancora a catturare l’attenzione di diverse generazioni e differenti ascoltatori.
Una riflessione doverosa
Il concerto del 25 aprile dei Niet è stato un evento prezioso e, per tanti versi, memorabile. Sul palco del Miela la compagine lubianese ha dimostrato una volta in più perché è considerata in molti ambienti un gruppo di culto, specie in patria (come detto, non a caso, il pubblico presente è stato per tre quarti sloveno, giunto d’oltreconfine). Al centro dello spettacolo sono state le canzoni composte ed incise quarant’anni fa da un gruppo di adolescenti ribelli, che all’epoca aveva deciso di dare sfogo attraverso la musica alle insoddisfazioni di una generazione e parlare dell’alienazione delle persone ai margini di quella società socialista, per molti versi inefficace, che di lì a poco sarebbe stata destinata a collassare con la frantumazione della Jugoslavia. Infine, non si può non concludere con un pensiero rivolto alla scritta “Sloboda narodu!” (libertà al popolo!), che in una data come il 25 aprile ha senz’altro raddoppiato la potenza del proprio messaggio, un monito a custodire il passato e, con esso, ad abitare consapevolmente il presente e il futuro.
*Immagine in copertina tratta da Wikipedia.