A Trieste “Nessuno deve restare indietro”

di Andrea Muni

Lo sciopero generale è una poesia, scritta dai corpi e dalle vite dei lavoratori. La più bella oggi è quella dei Portuali di Trieste

Nessuno deve restare indietro. Grazie ai Portuali di Trieste. Si dice di loro che sono egoisti, che pensano a diritti individuali. Qualcuno, sul Riformista, è arrivato persino a dire che non è la sinistra che dimentica gli operai, ma che sono gli operai a dimenticare i valori di sinistra. Allucinante. Questi lavoratori essenziali hanno lavorato per tutta la pandemia, senza fermarsi, e da domani non potranno più farlo a meno di avere il green pass. Gli si dice che questo provvedimento pensa alla loro salute, ma non serve essere Cacciari, Agamben o Barbero per capire che si tratta di una balla neoliberal-paternalista.

Pur di evitare lo stop alla produzione, quella stessa produzione che i portuali hanno garantito durante le fasi più dure della pandemia, il governo Draghi e i media pseudo-progressisti suoi alleati non hanno esitato nelle ultime ore a dipingerli come no-vax, e pure fascisti. Questo nonostante il fatto che siano in buona parte vaccinati, e che – per spirito di comunità – abbiano deciso di difendere i loro compagni e tutti i lavoratori che, per i più svariati motivi, stanno lottando contro il green pass.

L’antifascismo della piazza triestina
Lunedì, durante l’ultima protesta NO GREEN PASS a Trieste, un ragazzino ha alzato una innocua bandiera dei pirati che, nel trambusto, lo speaker della manifestazione ha confuso con un simbolo fascista additandola pubblicamente ai dimostranti, i quali l’hanno prontamente rimossa. A quel punto lo speaker ha avuto modo di spendere parole inequivocabili sull’inagibilità del corteo e della piazza per le formazioni neo-fasciste. Si è trattato di un felice piccolo malinteso che ha dato occasione a tutti – troupe e giornalista RAI compresi – di vedere una volta di più fino a che punto questa piazza sia profondamente, e concretamente, antifascista e antirazzista. Al termine della manifestazione, in Ponte Rosso, hanno preso la parola diversi esponenti della delegazione che è andata a confrontarsi con il vicario del Prefetto. Hanno parlato portuali, ferrovieri, genitori, di fronte a una folla enorme tra cui campeggiavano striscioni delle più svariate categorie professionali. Già in quella sede – strano che la cosa produca stupore appena in questi giorni – è stato annunciato lo sciopero generale, a oltranza, a partire dal 15 ottobre. Porto compreso. I padroni non se l’aspettavano, non pensavano si facesse sul serio.

Di spirito di comunità i portuali ne hanno da vendere

Ora che, in extremis, Lamorgese per metterci una pezza ha “consigliato” alle aziende più strategiche per il Paese di fare i tamponi gratis ai lavoratori, il governo mostra tutta la sua fragilità. Con buone probabilità, infatti, Trieste non sarà l’unico porto a fermarsi. Ed è proprio per questa ragione che – anche se il discorso può apparire sottile, o peggio testardo, a quelli che non hanno naso per queste dinamiche – il gesto dei portuali di rifiutare il tampone gratis offerto solo alla loro categoria è un gesto di orgoglio e di amicizia verso tutti i lavoratori nella loro stessa condizione.

Avrebbero potuto fare quello che solitamente la bassezza morale dei rapporti umani capitalisti ci induce a fare: compromettere, abbassare la testa, pensare ognuno al suo culo. Avrebbero potuto darla vinta a chi fomenta la guerra e la competizione tra poveri, e invece no. Consapevoli della strategicità e della insostituibilità del loro lavoro, i portuali hanno deciso di rischiare in proprio per proteggere tutti gli altri lavoratori che dal 15 ottobre si troveranno a pagare trecento euro di tamponi al mese, o a perdere il lavoro.

Antifascismo è (anche) difesa a spada tratta dei lavoratori

L’antifascismo si fa protagonizzando le piazze e le strade, ispirandole e rispettandole, non sputando sentenze da FB senza uscire di casa e disertando le proteste dei lavoratori.

[I fascisti] non sono i fatali e predestinati rappresentanti del Male: non sono nati per essere fascisti. Nessuno – quando sono diventati adolescenti e sono stati in grado di scegliere, secondo chissà quali ragioni e necessità – ha posto loro razzisticamente il marchio di fascisti. È una atroce forma di disperazione e nevrosi che spinge un giovane a una simile scelta; e forse sarebbe bastata una sola piccola diversa esperienza nella sua vita, un solo semplice incontro, perché il suo destino fosse diverso. […] Non abbiamo fatto nulla perché i fascisti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era l’indignazione, più tranquilla era la coscienza
(Scritti corsari, Pier Paolo Pasolini)

Eh sì, caro PPP, lo so, ma per molti è più facile fare come i cardinali con Galileo e il suo cannocchiale. È più facile non guardare davvero, di persona, dentro a queste piazze e a queste strade, altrimenti poi come si fa a lamentarsi del fatto che ci guardano dentro solo i cani della borghesia. Ma ormai l’abbiamo capito che c’è tutta una porzione di gente che osa ancora dirsi di sinistra mentre sceglie la trimurti Russo/Di Piazza/D’Agostino contro i lavoratori (portuali e non); che confonde volutamente la lotta contro il green pass con il dibattito sul vaccino; gente che – in buona o cattiva fede – sembra proprio non rendersi conto che emanare una misura come il green pass significha letteralmente defecare sui più elementari diritti dei lavoratori sanciti dalla nostra Costituzione, quella sì, genuinamente antifascista.

Sentirsi parte, prendere parte

Per molti anni ho fatto l’operaio stagionale, per molti anni ho avuto paura di dire le cose che pensavo, di perdere il lavoro, di non poter più mantenere mia figlia, la mia famiglia. Ancora oggi parlarne mi getta in uno stato d’ansia. Alcuni anni fa ho rischiato un provvedimento disciplinare dall’azienda per cui lavoravo (al terzo provvedimento scatta la possibilità di licenziare con giusta causa), soltanto per aver scritto – per altro senza citare nomi né luoghi – delle condizioni di lavoro degli stagionali sul settimanale L’Espresso (che allora aveva un’altra direzione).

Io mi chiedo se chi umilia i lavoratori, chi dice che sono fasci, o codardi che hanno paura di fare la “punturina”, ha mai lavorato sei su sette otto ore al giorno, in un luogo di lavoro definito, con un capo che lo vigila, per sei/sette euro all’ora reali. Mi chiedo se chi si ostina a umiliare e denigrare questa piazza abbia mai provato sulla sua pelle le condizioni medie dei salariati del privato nel nostro Paese.

Queste sono le condizioni dei lavoratori oggi: ricattati col green pass, minacciati se alzano la testa, picchiati durante i picchetti – come successo in questi giorni a Prato. Privi di un salario minimo. Ammazzati, come Luana, ingoiata da un orditoio manomesso a ventidue anni, dall’incuria e dallo sprezzo per la vita umana di certi padroni; investiti e uccisi da lavoratori che avrebbero dovuto essere al loro fianco, e che invece sono terrorizzati, come il povero sindacalista COBAS Adil a Novara.

Ma voi non lo sentite questo grido di dolore? Non la sentite la dignità di questa rabbia degli oppressi, degli sfruttati, dei minacciati, dei ricattati sul lavoro? La rabbia che monta in tutte queste persone per essere state ricattate su ciò che dà da vivere a loro e alle loro famiglie? Ascoltate questo grido dignitoso d’aiuto, questo invito, mettevi dalla parte giusta, dalla parte dei lavoratori, contro politici e manager, prima che questo dolore degli sfruttati si tramuti in rabbia cieca. Per favore. Io so già da che parte sarò, in ogni caso.

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