Curare la colpa

Pubblichiamo questo estratto del pezzo di Emma Bracci uscito su Intersezione, nuova rivista culturale con cui stiamo collaborando per gli eventi della “Scuola del Sospetto all’università: la violenza (in)visibile”

Caravaggio, Bacio di Giuda. Credits

Il senso di colpa domina incontrastato nella multiforme platea dei sentimenti umani.   

Senso di colpa per non essere abbastanza, per non aver superato l’esame, per non aver performato quanto desideravamo, per aver disatteso le aspettative, per non aver concluso un lavoro, per aver trascurato passioni e interessi, per aver manifestato rabbia, tristezza e paura, per gli errori commessi, per le azioni compiute, per una parola fuori posto, per non esserci stata, per aver mangiato, per aver risposto nervosamente, per quella carezza non data, quei baci rubati e quei libri non ancora letti che, forse, rimarranno immobili sulla nostra mensola. 

Senso di colpa per essere in vita. 

La colpa appare come un’entità, ci guarda, osserva i nostri movimenti e invade i nostri pensieri. Questo sentimento è profondamente radicato nella cultura della nostra società; esso può rappresentare il simbolo di un rimpianto, di estremo individualismo o di autocritica declinata come esasperata responsabilità. Anche in un momento di serenità la colpa è sempre lì, a ricordarci che in fondo qualcosa può sempre andar male e fuoriuscire dai binari prestabiliti. La colpa è come una sentinella, è presente proprio quando siamo assenti a noi stessi. La colpa è un tribunale, non perde occasione di incolparci insistentemente.

Come liberarsi, quindi, da un sentimento così opprimente nella coscienza di ogni individuo? Come smettere di sentirsi inadeguati, prendendo atto della propria libertà di vivere senza limitanti restrizioni? 

Il senso di colpa non esprime soltanto un sentimento umano, ma anche e soprattutto un sentimento politico al servizio del potere. La colpevolizzazione, infatti, rappresenta uno dei principali strumenti di controllo e sorveglianza della società. Esattamente al contrario del suo significato originario, ovvero quello di spinta, il potere ha colto e coglie appieno l’accezione di colpa quale immobilismo e inerzia. Raramente, l’uomo e la donna statici sono inclini alla partecipazione collettiva e alla presa di coscienza della propria posizione sociale, continuando così a produrre lavoro passivamente, bloccati nella propria colpa di esistere. Il potere si serve incessantemente di questo meccanismo psicologico al fine di mantenere gli equilibri preesistenti, perché, se nulla accade nulla potrà mai cambiare. 

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