La democrazia non ha il copyright

di Andrea Muni

egitto rivolta

Il quattro febbraio scorso è arrivato in visita in Italia – accolto calorosamente dal suo omologo italiano Emma Bonino – il ministro degli esteri egiziano, ministro di un governo militare instauratosi questo agosto in un bagno di sangue (seicento civili uccisi, secondo le fonti militari, solo nei giorni successivi al colpo di stato). Il ministro si è recato in visita diplomatica in Italia per raccontare dei «progressi democratici» dell’Egitto. A distanza di due anni e mezzo dalla rivoluzione quasi-pacifica che ha detronizzato Hosny Mubarak (grazie al complice, ma fondamentale, laissez-faire dell’esercito), e a distanza di un anno dalle libere elezioni del parlamento che aveva investito Hamed Morsi dei poteri di presidente, la violenza è tornata quest’estate a farla da padrone per le strade del Cairo, e non solo, di Alessandria, di Suez, e di molte altre città egiziane. Questo agosto è stato l’ultimo periodo in cui si è – dolorosamente – sentito parlare di Egitto, di arabi e di primavere, poi il silenzio. Eppure i morti continuano, la violenza continua, cambiano solo i nomi, gli eroi della resistenza si tramutano misteriosamente in terroristi da incriminare o eliminare.1

Le primavere arabe sono state senza dubbio il fenomeno politico più eclatante di questi ultimi anni. È accaduto però un fatto decisamente inaspettato, un fatto che gli ideologi anglo-americani della democrazia semplicemente non potevano (e non potrebbero mai) concepire. I popoli arabi che si sono rivoltati hanno votato in maggioranza per partiti ad ispirazione islamica nel corso di libere elezioni (compresa la Tunisia).

La popolarità dei partiti ad ispirazione islamica ha turbato moltissimo quasi tutti coloro che fino a prima delle libere elezioni osannavano i principi democratici riportati in auge dallo slancio delle “primavere”. In molti si sono chiesti “Ma sono davvero primavere democratiche queste? Queste primavere che “si danno” la democrazia per poi gettarsi tra le braccia dei partiti islamici, sono davvero ciò che credevamo? Sono davvero il segno dell’uscita del mondo arabo dalle tenebre?”. Ma quali tenebre? Le tenebre dell’estremismo islamico? Forse è importante ricordare che l’estremismo islamico è nato come reazione politica, sul finire della Guerra fredda, alla dominazione sovietico-americana. L’estremismo islamico è un effetto, un effetto spesso cavalcato dalle potenze occidentali in chiave antisovietica fino alla caduta del muro: vedi Afghanistan e Kosovo. I peggiori dittatori, quelli che sono caduti o stanno cadendo negli ultimi anni, non erano affatto estremisti, non erano per niente appartenenti, né alleati, di movimenti estremistici. Dal partito baathista, di ispirazione laica e sunnita di Saddam, al socialismo nominalmente islamico di Gheddafi, fino ad arrivare ad Assad (che addirittura fino alla morte del padre viveva agiatamente in Inghilterra con la famiglia), le “primavere arabe” hanno combattuto sempre dittatori filo-occidentali (spesso divenuti sgraditi) o filo-sovietici, mai dittatori ad ispirazione islamica radicale2. L’estremismo islamico, al contrario, in tutti questi casi, si trovava dall’altra parte della barricata (non che questo possa nobilitare in alcun modo le mostruosità e le violazioni di diritti umani di cui è foriero – non si tratta in alcun modo di rivalutare l’estremismo religioso, si tratta piuttosto di capire perché esso sia politicamente e democraticamente vincente in molti paesi arabi). Si tratta anche di stabilire una distinzione tra i partiti ad ispirazione religiosa (come i Fratelli musulmani, o la nostra Democrazia Cristiana), e le formazioni politiche esplicitamente ed effettivamente integraliste e violente. L’unica cosa che notoriamente accomuna i partiti ad ispirazione religiosa e le formazioni integraliste, è una speciale attenzione per il sociale, per i poveri e per gli ultimi.3

Il vero fenomeno arabo è stato quello di veder combattere fianco a fianco dei fondamentalisti islamici insieme a quelli che – in maniera etnocentrica – saremmo tentati di chiamare “i genuini partigiani della democrazia e della libertà”. Come i partigiani bianchi e rossi in Italia dopo l’ 8 Settembre (e con episodi tristemente simili a quello nostrano, e dimenticato, di Porzus), i combattenti per la libertà hanno incarnato valori differenti, e divergenti. Ma il punto è proprio questo, anche nell’Italia del dopoguerra l’Assemblea costituente si è composta proporzionalmente ad un risultato elettorale. La nostra Costituzione è stata scritta distribuendo i valori che esprime in maniera proporzionale al risultato elettorale (qualcuno forse ricorda le complesse vicissitudini politiche che hanno portato a definire la nostra Repubblica come «fondatasul lavoro»). Non è stato così in Egitto invece, dove le opposizioni hanno preteso di scrivere la costituzione alla pari con le forze di governo (questo è stato il motivo ufficiale del colpo di stato, compiuto, è bene ricordarlo, per conto delle opposizioni “democratiche” da un esercito ancora comandato da un generale tutt’altro che inviso al detronizzato Mubarak – generale Al-Sisi – che surrealmente è anche il principale favorito per le future elezioni presidenziali). In Italia, una volta instaurato il sistema di elezione democratica dei parlamentari a suffragio universale (che esiste nel nostro paese da soli sessantotto anni), si è formata un’Assemblea costituente che, dal ’46, ha espresso un Presidente del consiglio mentre lavorava alla stesura della Costituzione. Tutti i partiti politici, vincenti o perdenti, hanno accettato l’esito del risultato elettorale (o per lo meno diciamo che non si è verificato quello che invece è accaduto in Egitto).

Ora, la faida che si consuma in Egitto, adesso, mentre scrivo, nel silenzio dei media internazionali, è dovuta ufficialmente alla pretesa del maggiore partito del paese (i Fratelli musulmani) di dare un’impronta preminente alla nascente costituzione. Le opposizioni “democratiche” hanno risposto prima con manifestazioni di piazza, e poi (appoggiate dall’esercito) con un colpo di stato.

Io credo che il problema sia proprio questo: le cosiddette opposizioni democratiche e liberali credono che l’unica democrazia possibile sia quella occidentale. Si tramutano mostruosamente in forze capaci di propiziare un colpo di stato, pur di non sottomettersi al risultato democratico quando questo sia da loro ritenuto “sbagliato”. Le opposizioni democratiche e liberali dei paesi arabi, in fondo, credono e operano nella convinzione di essere le uniche ad abitare degnamente la casa della democrazia, mutuandone l’ideologia dall’Europa o dall’America. Nasce morto il sogno che le “primavere” possano ispirare l’Occidente a concepire nuove forme di organizzazione politica.

Il problema allora è tutto qui: cos’è democrazia? È la scelta a maggioranza, da parte di un popolo, del proprio leader? Non solo. È la garanzia di una costituzione? Non solo. È una giustizia uguale per tutti? Non solo. È la libertà di stampa e di espressione? Non solo. È la garanzia di ritorno alle urne al massimo ogni cinque anni? Non solo. In Egitto si è potuto gustare fino in fondo il dramma umano dell’impossibilità di fondare la Legge su qualcosa di diverso da una cieca volontà politica; si è potuta osservare in atto l’impossibilità di riferirsi al bene, alla morale, a principi condivisi universalmente, proprio nel momento in cui la Legge deve essere “inventata”. La costituzione infatti è ciò a cui l’organo legislativo dovrà sempre – platonicamente – guardare e sottostare nel promulgare le leggi. Ma la costituzione è scritta da politici, e in proporzione ad un risultato elettorale, non c’è scampo, non c’è spazio per il bene.

Non è questione di buoni o cattivi, è una battaglia, è una lotta che bisogna sforzarsi di mantenere democratica e pacifica. È proprio per questo motivo che è sbagliato considerare – come hanno fatto le opposizioni democratiche egiziane – che la democrazia è tale solo se omologata a quella occidentale (come se le nostre poi fossero così scevre da intrighi e segreti); questa convinzione infatti, la convinzione di essere il bene, ha condotto le opposizioni “democratiche” a propiziare un mostruoso colpo di stato.

Bene, forse è arrivato il momento di dire forte che nessuno ha il diritto di dire l’ultima parola su cos’è la vera democrazia, perché la democrazia resta pur sempre null’altro che una modalità attraverso si governa uno stato, e perciò è qualcosa che ogni singolo stato, o popolo, crea a suo modo. La democrazia non è un’idea, non è un marchio depositato, non è un brand pubblicitario come la Coca Cola o la Nike. La democrazia, e il futuro di ogni singola democrazia, sono nelle scelte di un popolo, anche e persino quando ancora – senza avere il diritto di voto – si solleva in una rivoluzione di piazza che fa cadere un mostruoso dittatore. Il primo atto di democrazia è infatti, spessissimo, una rivoluzione di piazza in cui il popolo si ribella ad un autocrate (spesso osservato con indifferenza dalle forze armate): Mubarak appunto, o nel recente passato Ceausescu in Romania, o Rheza Palawi in Iran (il quale dopo essere stato portato al potere dalla CIA ai danni del precedente presidente democraticamente eletto Mossadek, è stato deposto dalla rivoluzione islamica di Khomeini). Diverso è il discorso per Libia e Siria, stati in cui si è consumata una vera e propria guerra civile “organizzata” tra eserciti nemici. Gli esempi sono innumerabili, e non sono così lontani nel tempo, queste cose continuano a succedere, continuano ad accadere alla periferia del nostro occidente indebitato, silenziate.

Le primavere arabe sono scomparse dai mezzi di informazione, sono scomparse nel preciso momento in cui hanno smesso di rappresentare un buono spot per la democrazia liberal-capitalista occidentale. Il colpo di stato in Egitto di questa estate è passato sotto gli occhi di tutto il mondo nell’indifferenza più totale. L’eco dei massacri dell’orrendo dittatore siriano Assad si è attutita, da quando ci si è accorti che la maggior parte dei combattenti delle forze di liberazione siriana è di ispirazione islamica ed integralista. In Libia, oggi, esplodono autobombe e pozzi, in Libia (solo un anno e mezzo fa) è stato assassinato l’ambasciatore americano. In Tunisia si rimandano le elezioni da un anno, per timore di un nuovo successo politico ad ispirazione islamica.

Tutto tace, da molto, come se la democrazia col brand avesse fatto breccia e fosse solo questione di tempo, come se ora dovessimo solo aspettare che queste bestie di arabi imparino piano piano ad essere come noi.

Silenziamo allora le primavere, diventiamo allergici al loro profumo, quando non è più quello rassicurante di una democrazia liberal-capitalista benedetta in anticipo dalla morale universale (da quella morale universale che non è altro che il più raffinato prodotto, e strumento di dominazione, della democrazia liberal-capitalista stessa e della sua colonizzazione mondiale).

Note

1Per brevità rimando integralmente alla “affascinante” intervista col ministro degli esteri egiziano Nabil Fahmy, pubblicata da Repubblica il cinque febbraio scorso Cfr. http://www.repubblica.it/esteri/2014/02/05/news/la_rivoluzione_non_morta_cos_nasce_il_nuovo_egitto-77728781/. Sempre per brevità rimando all’articolo del giorno precedente, sempre di Repubblica, in cui en passant si dà notizia dei settanta morti – definiti nel dubbio terroristi – che la guerra civile tutt’ora in atto nel paese ha causato nel solo mese di gennaio. Cfr. http://www.repubblica.it/esteri/2014/02/04/news/egitto_blitz_dei_militari_in_sinai_30_terroristi_uccisi-77644725/

2Si potrebbe ricordare, a onore del vero e per non rischiare di sembrare ideologici, la tragica e pesante repressione delle proteste in Iran all’indomani delle discusse elezioni presidenziali del 2009 vinte da Ahmadinejad. Questo giugno, in compenso, la “particolare” Repubblica islamica iraniana ha espresso democraticamente come proprio presidente il moderato Rouhani, spiazzando i falchi americani e manifestando così il proprio desiderio di rinnovamento.

3Questo tema imporrebbe uno sviluppo di ben più ampie dimensioni. Dai Salafiti egiziani fino ad Hamas in Palestina, le ragioni del favore incontrato non solo dai partiti islamici, ma anche da gruppi politici integralisti, sono collegate ad una massiccia ed attiva presenza di questi soggetti politici nel “sociale”.

  1. Il problema, come detto, è la simbiosi tra “Liberatori” e fondamentalisti… In ottica anti sociale e anti nazionale…

    Ergo, l’unica vera battaglia oggi è quella che impone identità, cultura, territorio. Chi si schiera con i soloni del multiculutralismo è complice di questo nuovo mercato unico voluto e studiato a tavolino… Mercato non solo economico, ma anche etnico e culturale: appiattimento di ogni differenza.

    Io sto con Assad e con quelli come lui che lottano per il proprio Paese.

  2. tra l’altro, come anticipavo in questo articolo di febbraio, ha appena vinto le “elezioni” presidenziali il generale al Sisi, quello che ha fatto il colpo di stato con l’appoggio delle opposizioni democratiche… che dire… il cerchio si è chiuso.

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