La politica… secondo Matteo

di Massimiliano Mezzarobba

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“Non possiamo essere gregari di nessun Matteo”: queste, secondo alcune testate giornalistiche, sarebbero state le parole con cui Raffaele Fitto avrebbe chiuso il proprio intervento al vertice di Forza Italia dello scorso 27 novembre. In questo banale nome di battesimo, apparentemente insignificante, l’ex governatore pugliese avrebbe dunque ravvisato la vera minaccia alla sopravvivenza della parte politica – il centrodestra – di cui egli vorrebbe farsi guida. Una minaccia oltretutto duplice, che avanza prevaricante lungo due fronti opposti.

È in effetti fuor di dubbio che l’insidia che disturba i sonni di Fitto sia un’insidia concreta, reale, e che Matteo sia davvero il nome che sta polarizzando l’intera vita pubblica della penisola. Quasi fosse l’appellativo in grado di identificare un unico autore, un evangelista moderno, cui attribuire l’intera “narrazione” dell’attuale politica italiana. Al nome di Matteo rispondono infatti i due giovani leader di partito che le ultime elezioni amministrative in Calabria e in Emilia-Romagna (al netto del disastroso risultato che le ha contraddistinte sotto il profilo dell’affluenza alle urne, e che coinvolge drasticamente tutte le forze in campo) hanno probabilmente consolidato nel ruolo di protagonisti indiscussi della scena nazionale: il trentanovenne Matteo Renzi e il quarantunenne Matteo Salvini.

Le affinità che avvicinano, e spesso perfino sovrappongono, le due personalità politiche non si limitano però agli aspetti puramente anagrafici. Al di là del medesimo nome e dell’età quasi in comune, Renzi e Salvini si assomigliano – prima di tutto – nella posizione di assoluta preminenza raggiunta all’interno dei rispettivi partiti, e nelle doti carismatiche che hanno permesso loro di conquistarla. Nel loro modello di guida politica si rispecchia ora il più perfetto prototipo di leadership autoritaria e verticistica, capace da sola di esercitare un ascendente imprescindibile sugli elettori: prototipo che nella storia dell’Italia repubblicana qualcuno ha visto per la prima volta interpretato da Bettino Craxi; ma che di certo è stato introdotto entro i nostri confini, imposto e cavalcato a lungo e con successo da Silvio Berlusconi. Il quale, a quanto pare, ne sarebbe alla fine rimasto vittima, non essendo egli stato in grado di rinnovarne i contorni e gli schemi rispetto all’evolversi dei tempi. Avendo egli insistito – potremmo sintetizzare, servendoci di una formula che ultimamente ha goduto di una certa fortuna – nel tentativo di utilizzare i gettoni telefonici al tempo degli smartphone.

Raccolta la collaudata eredità berlusconiana, il merito di Renzi e di Salvini è stato senza dubbio quello di saperne coniugare la traccia alle esigenze del mondo attuale. A cominciare dall’uso consapevole dei nuovi mezzi di comunicazione e dalla giusta interpretazione dei ritmi che a questi si addicono. Dapprima essi hanno saputo affermarsi dentro e fuori il partito come figure dal carattere dominante, dotate di ottima propensione al comando e di straordinarie facoltà comunicative. Scaltri nell’attirare i consensi su di sé anche attraverso un eloquio popolare e magari populista. Abili nel curare la propria immagine e il proprio protagonismo, nel cercare ossessivamente il riflettore giusto, la posa appropriata, il tono convincente e l’abbigliamento adatto: dalle camicie linde e bianche a maniche rimboccate, suscitanti fiducia e laboriosità; alle felpe con su scritti i nomi delle località via via rappresentate, a precisare lo strettissimo legame del capo con il territorio e con la base. Hanno quindi compiuto l’opera grazie all’inedita capacità di riassumere intere linee politiche in pochi slogan (o tweet) ben cadenzati, superficiali purché comprensibili ai più; e preferibilmente diffusi per mezzo dei social network.

I due leader sono riusciti in tal modo a schiacciare l’immagine dei loro partiti sulle loro figure individuali e a raggiungere un’inappellabile egemonia personale al loro interno. Un’egemonia che, in ultimo, si è consolidata anche in forza di una ben ponderata riluttanza all’autocritica – spinta fino alla disinvolta sottovalutazione degli impietosi dati sulla partecipazione alle ultime elezioni in Emilia-Romagna: una regione nella quale, soltanto fino a pochi anni fa, un’affluenza alle urne inferiore al 40% avrebbe rappresentato un dato impensabile; percepito come un inquietante campanello d’allarme e vissuto come un dramma di dimensioni eccezionali. Questo è tuttavia il dato che ci permette di pervenire a un’istruttiva constatazione: lì dove il motore della politica è alimentato di sfrontato personalismo non si ottengono, in fondo, vere garanzie di pieno successo. Il modello non funziona sempre. Non funziona comunque. Non funziona ovunque.

Si tratta, ad ogni modo, di un modello divenuto ormai dominante sotto il cielo della politica occidentale ed europea? Un modello con cui dovremmo per forza fare sempre di più i conti e al quale finiremo con l’abituarci? Forse no. Come mette bene in luce Curzio Maltese nel suo editoriale pubblicato sul Venerdì di Repubblica dello scorso 14 novembre, esiste in Europa un leader forse un po’ anomalo; estraneo in ogni caso alle logiche e alle tendenze di cui abbiamo appena detto: la cancelliera tedesca Angela Merkel. Frau Merkel non è, di fatto, né giovane né telegenica. Non lavora eccessivamente sul marketing. Non è un’assidua frequentatrice di social network. Vive una vita privata riservatissima. Si esprime in modo freddo, realistico, spesso complesso. È autoritaria all’interno del suo partito, ma non autoreferenziale. Ciononostante ella è – come i tanti e indiscutibili successi internazionali dei suoi tre mandati stanno a dimostrare – il più forte e vincente leader politico che il mondo abbia visto nel corso dell’ultimo decennio. La politica italiana inizi a prendere appunti. A partire da Matteo.

5 COMMENTS

  1. Mi si conceda una domanda: perché mai la politica italiana dovrebbe “prendere appunti” dalla Merkel? Ci si riferisce al modo di fare politica (riservatezza, non esibizione e via dicendo) oppure alle posizioni della sua politica? Nel secondo caso non mi sembra possa costituire un grande esempio…

    • Nell’articolo non c’è alcun accenno a posizioni o “contenuti” politici. Diciamo che non c’era intenzione di fare riferimento a questi..

      • Grazie della risposta, era solo un dubbio. A mio avviso, comunque, la chiave del “successo” politico, in Italia, sta proprio nel fare politica in questo modo: non credo siano paragonabili gli elettori tedeschi con quelli italiani, se una leader come la Merkel si candidasse in Italia (una leader con il suo fare politico, prima ancora che per le sue criticabilissime idee) prenderebbe percentuali da prefisso telefonico. Morale della favola: i due Mattei fanno più che “bene” a comportarsi così, conoscendo i loro elettori…

        • Mi trovi d’accordo. Anche secondo me il problema in questione è in larga parte “culturale”. E il lavoro necessario ad affrontarlo lungo e complesso. Certo, però, da qualche parte qualcuno dovrà pur iniziare…

  2. Anche Mario (monti) si esprimeva in modo freddo, viveva in modo riservato, non scriveva su twitter.

    Meglio cento populisti che una macchina.

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