14 aprile 1988

di Ruben Salerno

06:00

    Come in un mattino qualunque Piotr Kluczek si alza, ripiega il pigiama sotto al cuscino e la coperta con il risvolto a sinistra. Si lava il viso con l’acqua fredda condominiale (quella calda è disponibile solo due ore al giorno), sorseggia una tazza di caffè di cicoria e indossa la divisa ufficiale. Prima di uscire di casa, verifica di avere con sé tutto il necessario: tessera del Partito, fazzoletto rosso, buoni pasto, penna, taccuino e mazzo di chiavi.

Il cielo di Varsavia è rischiarato da una luce fredda e vermiglia, mentre le nuvole basse si mescolano al fumo nero delle carboniere in periferia, a nord della Vistola. La città è ancora silenziosa, animata appena dallo scoppiettìo del motore dei camioncini del latte. Gli altoparlanti di Polskie Radio Program I tacciono, è ancora presto per le notizie del mattino, anche se l’argomento è prevedibile. Tovariŝ Gorbačëv e il presidente americano Reagan ratificheranno gli «Accordi» in diretta mondiale, durante il telegiornale delle 20.00. Il solo pensarci fa rabbrividire Piotr. Teme le conseguenze di una collaborazione tra i due blocchi. Disarmo, liberalizzazioni, l’apertura a un mercato senza regole… Una deriva peggiore di una catastrofe. Ha sentito dire da fonte certa che in America neppure l’acqua sanitaria è più monopolio di stato.

06:21

   Vladimir, il suo autista, è in ritardo di sei minuti. Inaccettabile. Piotr sulla puntualità non transige, già sopporta a stento il fatto di avere una macchina di servizio. Vi rinuncerebbe volentieri, come fatto per la villetta sul lungofiume che gli aveva assegnato il Partito. Ma il suo grado di tenente-generale impone certe formalità e oggi la sua meta è troppo distante, più di tredici ore di viaggio, tra le steppe a est di Kiev. Il giovane autista si scusa formalmente in russo per il ritardo, togliendosi il cappello. Nella foga di aprirgli la portiera, inciampa nel marciapiede e lo urta, aggrappandosi al suo cappotto per non cadere. Piotr si appunta il fatto sul taccuino, segnalerà l’inadempienza all’ufficio competente il giorno stesso.

19:50

    La base della 43^ armata è in subbuglio. La truppa non conosce le coordinate finali del lancio ma è chiaro anche all’ultimo dei soldati che, ovunque sia il bersaglio, il razzo SS-20 a testata nucleare provocherà una catastrofe. Quando Piotr entra nell’hangar scattano tutti sull’attenti. Due guardie lo scortano direttamente alla sala di comando, dov’è atteso dai compagni ufficiali e dal comandante del battaglione. Saluta formalmente i colleghi e si accerta che le operazioni preliminari siano state completate. Tutto è pronto. Uno sguardo al televisore sul tavolo: a Ginevra i portavoce dei presidenti intrattengono i giornalisti. Il tenente-generale Kluczek e il comandante scambiano un cenno del capo e raggiungono il pannello di controllo, pronti a girare nello stesso istante le chiavi di lancio. Quel missile spazzerà via gli «Accordi», buona parte della Svizzera e farà scoppiare finalmente la guerra; un golpe perfetto. Parte il conto alla rovescia. Piotr scosta la fibbia del taschino sinistro della divisa e vi fruga per alcuni secondi. Impallidisce. Toglie la giacca e la scuote, la rivolta, svuota le tasche. Cadono i buoni pasto, la penna e il taccuino, il fazzoletto rosso, la tessera del Partito, nessun mazzo di chiavi.

20:01

   Sorride Vladimir, mentre l’auto di servizio sfreccia sulla strada deserta lungo la steppa ucraina. Il mondo non finirà quella sera, ha piani troppo grandi per il proprio futuro; ci sarà ben un motivo se al KGB lo chiamano «Lo Zar». Schiaccia l’acceleratore al massimo e getta il berretto da autista sul sedile del passeggero, sopra alle chiavi del tenente-generale Kluczek.

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