Dante n’est pas Charlie

di Lorenzo Natural

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Qualche settimana or sono, in piena bagarre mediatica post-attentato di Parigi, internet offriva ai suoi lettori svariati parallelismi tra le caricature satiriche della rivista francese Charlie Hebdo e la descrizione del profeta Maometto disegnata da Dante: “Charlie Hebdo? Erede di Dante”. “Anche Dante era Charlie”. “Dante era Charlie Hebdo”. Dante come Charlie Hebdo, Charlie Hebdo come Dante. Già qualche tempo fa l’autore del massimo capolavoro della letteratura italiana venne accusato di essere razzista, islamofobo e volgare.

Al di là delle facilonerie che spesso intaccano la lettura del Sommo Poeta, sarebbe opportuno analizzare in breve il canto “incriminato” per osservare come tra Dante e Charlie Hebdo ci sia uno iato di sensibilità, profondità d’analisi, pathos e stile nella vis polemica pari a quello riscontrabile tra un sonetto di Gioacchino Belli e un’invettiva di Sabina Guzzanti.

Partiamo innanzitutto dal contesto storico. Siamo nel 1300, nel pieno della lotta contro le eresie e al principio della fine delle guerre sante (Crociate e Reconquista su tutte) contro l’Islam. Dante, come ben si sa, è intriso di cristianesimo: tutta la Commedia risente del suo fervore cristiano, cosa che però non lo esime dal criticare aspramente le storture e bruttezze del mondo ecclesiastico a lui coevo (uno su tutti il “pastor di Cosenza” del canto III del Purgatorio): da qui la posizione dei “seminatori di discordie” nella nona bolgia dell’ottavo cerchio.

Anna Maria Chiavacci Leonardi nel commento al canto XXVIII (pubblicato nell’edizione Mondadori della Commedia) così spiega l’humus storico-sociale in cui si muove Dante: «qui sono puniti i provocatori di discordie, coloro che divisero le comunità umani, religiose o civili o familiari. Questo peccato, tipicamente pubblico, è di quelli le cui tragiche conseguenze erano tra le ferite più brucianti dell’Italia di allora, e tali furono anche per l’animo e la vita stessa di Dante. […] In questo canto Dante crea un’ampia prospettiva storica, nella quale le fazioni comunali del suo tempo sono situate sul più vasto sfondo delle contese e lacerazioni che percorrono tutta la vicenda dell’umanità». Tutti coloro che hanno contribuito allo sfaldamento, alla divisione interne, di città e di Chiesa, vengono accusati da Dante, esule per contingenza e non per scelta, e gettati negli abissi delle malebolge.

Va da sé che Dante, considerando Maometto una scismatico, fa sua una concezione ancora pienamente medievale e, in questo caso, ampiamente sorpassata. Particolare che dev’essere sfuggito ai fini commentatori che hanno avvicinato le parodie vignettistiche di Charlie Hebdo alla configurazione dell’oltretomba dantesco.

Leggiamo ora il passo in cui appare la figura di Maometto:

Già veggia, per muzzul perdere o lulla, / com’io vedi un, così non si pertugia/ rotto dal mento infin dove si trulla. / Tra le gambe pendevan le minugia; / la corata pareva e’ l tristo sacco / che merda fa di quel che si trangugia.

La descrizione del Profeta non lascia spazio a interpretazioni: Maometto è ritratto storpiato, col corpo spaccato in due (secondo la legge del contrappasso, chi ha diviso in vita si ritrova diviso nell’aldilà), con le budella e gli organi vitali (la corata) pendenti dal tristo sacco, lo stomaco. Il linguaggio descrittivo è basso, violento, volutamente rozzo: l’immagine di Maometto è raccapricciante e risponde alla scelta di utilizzare il registro più basso possibile per colorare di nero le colpe più spregevoli. Ma da qui a creare un parallelismo con le vignette di Charlie Hebdo ce ne passa. Per svariati motivi.

Dante non punta il dito contro l’islam in sé e per sé, ma alla sua carica eretica e distruttrice dell’armonia dell’humana civilitas, che tanta sofferenza ha portato al mondo e a Dante stesso. Mantenere quindi un filtro critico sul contesto storico basterebbe quindi a distanziare i due modelli. Così come Maometto, inoltre, anche gli altri seminatori di discordia subiscono il brutale contrappasso inflitto al Profeta: E tutti li altri che tu vedi qui / seminator di scandalo e di scisma / fuor vivi, e però son fessi così. Dante offre quindi una prospettiva più ampia dei rozzi e banalmente triviali attacchi della rivista francese un giorno al cristianesimo, l’altro all’islam, il terzo all’ebraismo. La carica invettiva di Dante ridicolizza e desacralizza in parte certo la figura di Maometto, ma lo fa rispondendo a una misura che inserisce il canto in un ordine di cose molto più ampio: il contesto storico in cui si muove Dante, in primis, e la visione aristotelico-cristiana di cui è fortemente permeato.

Cercare parallelismi di sorta tra le due visioni non solo è un’operazione capziosa volta a legittimare la bassa volgarità priva di alcun motivo se non la dissacrazione del sacro fine a se stessa delle vignette di Charlie Hebdo, ma pure storicamente inaccettabile.

Considerare satira e parodia un’opera che se pungolata non sa far altro che offrire epigrammi invettivi con un decimo della forza morale, linguistica e stilistica di un Dante (basti pensare all’ultima risposta piccata alla critica mossa dal regista giapponese Miyazaki) lascia davvero il tempo che trova. D’altronde l’aurea di intoccabilità che la rivista si è ritrovata addosso è indice della pochezza di spirito e di stile della nostra epoca.

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