Jacques Derrida non è un lupo mannaro (secondo Nick Land)

di Alessandro Sbordoni

(Immagine di Manu Gaden)

Era il 1993 quando Nick Land scriveva: “È probabilmente abbastanza incontrovertibile concludere da tutto questo che Derrida non sia un lupo mannaro” (Spirito e denti, traduzione mia).

Che cos’è un lupo mannaro?

In Spirito e denti, Nick Land, il cyber-filosofo dell’accelerazionismo, della musica jungle, delle anfetamine, e anche l’insegnante di Mark Fisher, descrive i lupi mannari come esseri feroci, rozzi e “indifferenti alla decenza e alla giustizia”; esseri “alimentati da vertici di tensioni libidinali”. La filosofia di questa razza di semi-uomini e ratti-poeta — che include Georges Bataille, Arthur Rimbaud, Friedrich Nietzsche, Georg Trakl, e Emil Cioran — è una precipitazione verso lo zero, sempre già verso il basso. Il poeta-licantropo-ratto-genio è una pestilenza dello spirito. La sua riproduzione è epidemica, non dettata da alcuna serietà ermeneutica: la virulenza dell’anti-accademismo.

Secondo Nick Land, all’epoca docente di Filosofia Continentale all’Università di Warwick, Jacques Derrida è un aristocratico professore di Filosofia che (come Martin Heidegger) non ha capito niente di quella piaga del linguaggio che è la poesia di Georg Trakl. In Jacques Derrida, l’inferno e l’apocalisse sono rimandate a più tardi. Questo perché, alla fine, Jacques Derrida disprezza tutto ciò che è sporco, crudele o ferino; tutto ciò che è basso o animalesco. Derrida non fa parte di quella razza inferiore di cui parla Arthur Rimbaud, il poeta, in Una stagione all’inferno. Egli piuttosto temporeggia, per mezzo di questioni metafisiche senza né unghie né zanne. Troppo spirito, pochi denti.

“La decostruzione deve lasciare il posto alla decomposizione”, così si legge nell’introduzione di Spirito e denti. Lo spirito, allora, deve farsi le zanne.

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Emil Cioran è stato un misantropo, un saggista e un licantropo. Cioran non è un filosofo, ma la sciagura del pensiero dell’Occidente. Il pensiero di questo essere infernale non offre un sistema o un paradigma. Al contrario, il fine di ogni teoria, di ogni filosofia, è il fallimento e la desolazione. Il linguaggio morde e infetta come una piaga. La filosofia è terribilmente insignificante; da questa rovina, dal fallimento assoluto del pensiero, ecco il significato altro dell’essere.

In Spirito e denti, Nick Land scrive: “Per diventare un lupo mannaro bisogna essere morsi da un altro lupo mannaro”. Nel caso di Georg Trakl, fu Arthur Rimbaud. Per Emil Cioran (che ne farà una critica spietata e originale), forse, Friedric Nietzsche. Jacques Derrida, invece, può essere ancora azzannato; Jacques Derrida può ancora essere un lupo mannaro.

Lo spirito si fa le zanne.

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La differenza tra denti e spirito, inferno e paradiso, non è una differenza onto-teologica, ma di pura intensità. La carcassa putrefatta di Emil Cioran e il fantasma di Derrida; etere e bile; luce e vomito; spirito e zanne. Nient’altro che questioni di intensità.

Il simbolico e il diabolico rappresentano queste due intensità. Il simbolico è il ritorno dell’essere alla presenza, alla legge della metafisica, all’ordine dell’Apollineo. Il simbolico è sym– ‘insieme’ e ballein ‘gettare’. L’essere ritorna alla luce del Sole, al trionfo della rappresentazione (anche se il ritorno è infinitamente differito). Il diabolico invece è il fallimento dell’essere, la decomposizione del segno, l’anarchia di un fuoco senza luce. Il diabolico, dal Greco Antico, dia– ‘separato’ e ballein ‘gettare’, è ciò che è diviso, e che rimane tale. L’apocalisse del significato. Il diabolico divora l’essere in un bagno di fuoco infernale, ma questo divorare non è più già altro che l’essere stesso.

Jacques Derrida, il filosofo del simbolico e del ritorno senza fine, ed Emil Cioran, il filosofo del diabolico, sono insieme lo spirito e i denti dell’essere e del linguaggio, Apollineo e xeno-Dionisiaco, la luce del fuoco e la cenere che sempre brucia dal basso con ancora maggiore intensità e calore.

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Nel VII secolo d.C. gli iconoclasti bruciano le immagini sacre, tagliano la testa e le mani agli idoli, inceneriscono gli edifici. L’iconoclasta è un santo-ratto; e così, la cenere imbratta quello che è ancora più in basso, quello che è inferiore e inumano: gli animali e le belve infernali dei mosaici e degli affreschi; esseri molteplici che non sono già annientati dal fuoco, perché indegni della devastazione dell’essere; il nero e il blu della cenere, il negativo della fiamma.

Il diabolico è al di là dell’essere e della rappresentazione. È lo schifo e il disgusto dello spirito: quello che è già altro. Il tanfo dell’alterità; il diabolico impregna l’aria di fumo sulfureo. Il diabolico non è affatto l’assenza, bensì il rigetto, della rappresentazione. Un basso materialismo, in tutti i sensi.

La parola spirito, questa parola che per Nick Land è una parodia o uno scherzo dell’essere, è il sudiciume che resta sulla roccia e sul muro. Il fallimento del nulla, la sporcizia della rappresentazione, il nero di una certa ombra: una caduta verso ciò che è altro. L’anti-vertigine dell’inferno. Ma quest’impossibilità di morire, questo spiritualismo, è paradossalmente ancora più della morte stessa. Una rovina che finisce con Friedrich Nietzsche, il ratto-anticristo, ma rimane eternamente a tormentare il linguaggio.

Lo spirito divora e viene divorato senza fine.

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Il rapporto tra Simbolico e Diabolico è il tema dell’ultimo libro dell’autore, The Shadow of Being: Symbolic/Diabolic (Blurb, 2022), scaricabile gratuitamente qui.

[Ndr]

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BIBLIOGRAFIA

Cioran, E. M. (1998). Al Culmine della Disperazione (Trad. F. Del Fabbro & C. Fantecchi). Milano: Adelphi. (Opera originale pubblicata 1934).
Derrida, J. (2000). Ciò che Resta del Fuoco (Trad. S. Agosti). Milano: SE. (Opera originale pubblicata 1987).
Derrida, J. (2010). Dello Spirito. Heidegger e la Questione (Trad. G. Zaccaria). Milano: SE. (Opera originale pubblicata 1987).
Land, N. (1993). Spirit and Teeth. In D. Wood (Ed.), Of Derrida, Heidegger, and Spirit (pp. 41–55). Evanston: Northwestern University Press.
Rimbaud, A. (2004). Una Stagione all’Inferno (Trad. C. Ortesta). Milano: SE. (Opera originale pubblicata 1873).
Wood, D. (1993). Responses and Responsibilities: An Introduction. In D. Wood (Ed.), Of Derrida, Heidegger, and Spirit (pp. 1–10). Evanston: Northwestern University Press.

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