“Dune” di Villeneuve. Un film autoriale travestito da kolossal

di Marco Bussani

Storia di Dune

“L”inizio di un viaggio straordinario”. Così si legge sulla locandina italiana del film, che credo in originale reciti solo Dune: Part One. Un viaggio straordinario davvero, e per moltissimi aspetti: non è la prima volta che la storia di Dune (originariamente un romanzo) viene adattata sul grande schermo. La più celebre è senz’altro quella di David Lynch – non proprio uno sconosciuto. Mentre la versione che avrebbe potuto letteralmente cambiare la storia dell’umanità, mai finita e di cui invece purtroppo non fu girato manco un minuto, ma ciò nonostante avrà notevoli effetti sul cinema di genere, è quella di Alejandro Jodorowsky. Un magnifico fallimento immortalato in un altrettanto splendido documentario che ho avuto la fortuna di vedere nel 2014 per la prima volta in esclusiva al Trieste Science Fiction (e recentemente uscito anche al cinema e in streaming).

La nuova versione del film è opera del regista Denis Villeneuve, lo stesso che si è già intestato il delicato compito di girare il sequel di Blade Runner, film che – a livello di incassi – non è stato esattamente un successo. Anche per questa ragione, forse, il budget del suo Dune non è proprio quello di un kolossal. Dune di Villeneuve, infatti, vede la luce in un periodo in cui il cinema come istituzione, come luogo fisico, si trova in profonda crisi postc-ovid. Una crisi, iniziata già molto prima, che neanche un Tenet di Nolan è riuscito a invertire e che, anzi, ha spinto i produttori a tenere l’ultimo film di 007 in sospeso per un anno.

Perché è “Part One”? Perché questo primo film copre all’incirca un buon 60% del solo primo libro della saga letteraria di Dune. Scritto da Frank Herbert, il primo libro esce nel “lontano” 1965, un parto a dir poco travagliato ma fecondo, cui seguiranno altri sei libri di Frank e innumerevoli altre opere ambientate nello stesso universo a opera del figlio Brian e dello scrittore Kevin J. Anderson.
Non è certo però che vedremo la “Part two”, la Warner (da un po’ comprata dalla Legendary) ha detto infatti che un evetuale secondo film vedrà la luce solo se il primo avrò successo al botteghino. Un bell’azzardo, non c’è che dire, che dalle ultima indiscrezioni pare risucito, considerato che pare la produzione abbia annunciato ufficialmente che il sequel ci sarà. Non possiamo dimenticare anche quanto il medium film sia diversissimo dal medium libro. Nel film sono state fatte obbligatoriamente delle scelte, ma lo spirito originale del libro è stato senz’altro conservato. Nel film come nel libro infatti seguiamo le vicende del figlio di casa Atreides, Paul – cosa che permette, come in tutti i romanzi di formazione, di essere introdotti poco per volta in una complessa trama che si snoda tutt’attorno allo sviluppo del protagonista.

La trama (no spoiler)

In un futuro remoto, il pianeta Arrakis è il solo a produrre una sostanza, vitale per i viaggi spaziali, chiamata “la spezia”. La produzione della sostanza viene affidata dall’imperatore alla grande famiglia degli Atreides, dopo anni di egemonia sul pianeta di un’altra grande famiglia rivale, gli Harkonnen. Questo darà il via agli eventi. Ma al di là dell’antefatto brutale, a contare nel film sono soprattutto il peso della politica, gli intrighi, la religione, l’economia, i vari gruppi sociali e di interesse che si scontrano o si alleano tra loro, l’esercito con i suoi costi e i suoi calcoli, il clima e l’ecologia di Arrakis, e ancora molto altro.
Nel film per esempio vediamo le due famiglie, gli abitanti di Arrakis, gli emissari imperiali e i Sardaukar (aka le “lame dell’imperatore”), le Bene Gesserit (casta importantissima, che ha un ruolo vitale di cui cercherò di anticipare/spoilerare il meno possibile). Basti sapere ora che tale casta influenza l’universo in vari modi, specie manipolando le popolazioni dei pianeti con la religione e con una serie di matrimoni combinati (un vero e proprio programma eugenetico?).

Il film è splendido. Certo, come l’articolo che riporto in calce fa notare, un occhio esperto può accorgersi di mille cose (ma anche qui, attenzione a semplificare: è di pochi giorni fa un commento di un tale Christopher Nolan che elogia apertamente il film). Ma lasciatemi dire che alcuni momenti del film sono particolarmente riusciti. Alla colonna sonora troviamo quel pazzo di Hans Zimmer: tanta roba. Fotografia: bella da vedere (certe cose più di altre, certe scene più di altre). Bel cast di attori, bei colori, belle molte trovate di scenografia, di stili, trovate sceniche, colpi d’occhio.

Dovrei andarlo a vedere?

Sì. Io sono già andato due volte, una volta in italiano, una volta in lingua originale (e lo rivedrò una terza volta probabilmente). Cosa mi è piaciuto? Il fatto che si tratti di un film “difficile”. Difficile perché ambizioso. Difficile perché proprio fisicamente stare due ore e passa senza pause al cinema è molto diverso da vedersi le cose in streaming a casa, dove puoi mettere pausa quando vuoi, magari disteso sul divano. Difficile perché non è un blockbuster action: non è come, per fare un parallelo restando nella fantascienza moderna più gettonata, come uno degli ultimi Star Wars o Star Trek. Le esplosioni nel film sono quelle che si vedono nel trailer.
È un film di world building, di trame. evocativo. Da anni rimandavo l’acquisto di Dune (insieme ad un paio di libri di fantascienza cult, come Hyperion o Neuromante tra i troppi che mi mancano), e così uscito dal cinema sono andato a prendermi il libro.
Dune è un film difficile anche perché è tratto da un romanzo ormai metà anni Sessanta, che pure è inquietantemente attuale. Come tutta la grande fantascienza, è un libro che parla dell’oggi in modo simbolico, proiettivo, e con una visione squisitamente cinica su molte cose: la religione come strumento di manipolazione; i difficili equilibri della politica, il tutto con un diverso modo di ragionare in un vortice di valori e pragmatismo. Il film da questo puntodi vista non è da meno del libro: si prende delle libertà quando è necessario, adatta, riforma. È un film come si dice “autoriale”, perché il regista vuole dire la sua, ci offre una sua visione artistica, vuole lasciare l’impronta.

Questo film non è qui per salvare il cinema dei botteghini (che nonostante tutto con i film Marvel, per fare un esempio, sta benissimo). Non è il film per salvare le sale. Non è il film che salverà la fantascienza o altro. Non è il cinema di Jodorowsky, né tanto meno quello di Lynch. Non è un messia. In un’epoca di film “incredibili”, dove o un film è il migliore di sempre o è niente – dove: o ci sono esplosioni e effetti speciali assurdi, o devi essere Shakespeare per dialoghi e ricerca interiore oppure non meriti di essere visto, perché il tempo è sempre poco e bisogna sempre “massimizzarlo” e “utilizzarlo al meglio” – questo film ha una sua visione, una strada che persegue.
Si tratta di un film che piacerà in particolare alle persone psicologiche, che possono analizzare i messaggi e le sottili analogie che ne traspaiono (i parallelismi storici Arrakis-Afghanistan e quello Spezia-Petrolio), ma anche a coloro che vogliono farsi intrattenere e che apprezzano l’estetica di un regista che ormai ha trovato un suo percorso – o in generale per tutti quelli che dal cinema in sala si aspettano spettacoli, immagini, scorci mozza fiato.
Dune insomma è consigliato per svariati motivi: per tornare in sala con il pop corn; per guardare una storia piena e intrigante; per torare a cercare nella fantascienza riflessioni sull’oggi e sull’uomo; per trarne quella spintarella verso la lettura del libro. Dune di Villenueuve non è il film che ci serviva, ma è un film bellissimo (specie per chi ha apprezzato il sequel di Blade Runner dello stesso regista, e con lo stesso piglio autoriale).

Link:
– https://blog.screenweek.it/2021/09/dune-di-denis-villeneuve-roberto-recchioni-recensione-2-791034.php/
– https://blog.screenweek.it/2021/09/dune-recensione-roberto-recchioni-790882.php/
– https://docmanhattan.blogspot.com/2021/09/dune-la-recensione-il-ritorno-dello..html?m=1

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