Giorno della memoria. Cosa non dimenticare?

di Matteo Mascarin

olocausto

Oggi, 27 gennaio 2016, si celebra il giorno della Memoria. E’ questa una di quelle ricorrenze che non può proprio passare inosservata. Ogni mezzo di comunicazione ne darà sicuramente contezza raggiungendo chiunque su ogni tipo di supporto. Tutti gli interventi che sentiremo e leggeremo punteranno ovviamente sul tema del ricordo, della memoria appunto.

“Non dimenticare per non ripetere”, è questo il mantra. Dacché io mi ricordi, a scuola abbiamo sempre commemorato questa catastrofe con approfondimenti e discussioni sul tema: libri (chi di voi non ha mai sentito parlare di Anna Frank?), conferenze, spettacoli teatrali, film. Ma che cos’è, precisamente, che siamo invitati a non dimenticare? La scelleratezza di Hitler e della Germania? La crudeltà delle SS? Lo scempio di uno sterminio sistematico e la conseguente decimazione del popolo ebraico?

Io sono un cittadino italiano laico sebbene abbia ricevuto gran parte dei sacramenti della religione cristiana come la maggioranza dei miei connazionali, per cui mi sembra chiaro che non è a causa della comunanza religiosa con gli ebrei che celebriamo la giornata della Memoria. Inoltre i dati ci dicono che in totale in Italia sono stati deportati 6806 individui di religione ebraica di cui 4148 di nazionalità italiana. Anche se dovessimo quindi considerare la nazionalità delle vittime della Shoah, non è il tentato genocidio degli italiani il vero motivo per cui si deve non dimenticare. Quanto alla crudeltà e alla follia dei tedeschi e del loro Fűhrer, non è forse il più eclatante caso di scelleratezza dell’animo umano? E allora, quindi, pare di capire è forse questo il reale motivo per ricordare la Shoah come una sorta di simbolo di tutti i mali che ha compiuto l’uomo? Forse.

Potrebbe essere di grande aiuto, per provare a rispondere a queste domande, riportarci alla legge 211 del 20 luglio 2000: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Come si ben comprende da queste righe il 27 gennaio è stato quindi scelto per il suo valore evocativo, come simbolo generico dei mali perpetrati durante la Seconda Guerra Mondiale (in questo caso dai nazisti). Nella legge si specifica che la giornata della Memoria serve inoltre a ricordare le leggi razziali e la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, oltre che a ricordare gli italiani deportati e deceduti assieme a tutti coloro i quali si sono in qualche modo opposti a tale scempio. Inutile dire che nelle commemorazioni a cui siamo abituati l’accento sulle infinite nefandezze dei Nemici (i nazisti) viene accentuato, con toni e modi apocalittici che tra l’altro la dicono lunga sull’ambiguo e inquietante gusto dell’orrido dei nostri tempi. Quello che sembra scivolare in secondo piano, di questa legge della Stato italiano, è proprio quella piccola frasetta che esorta a ricordare la persecuzione italiana degli ebrei (frutto delle leggi razziali che vennero introdotte da tedeschi e italiani). Quasi che, una volta cambiato casacca nel giro di una notte e schieratisi con i futuri vincenti, tutte le schifezze compiute dagli italiani potessero svanire nel nulla.

Il dubbio onestamente è che puntando il dito contro i tedeschi, i tremendi nazisti, l’Italia, l’Europa, gli USA e lo stesso Stato di Israele continuino a giocare a nascondino con le proprie (grosse e attuali) responsabilità. Delle responsabilità che nessuno ha voglia di rimettere in discussione perché, sotto sotto, non siamo poi così diversi dagli europei e statunitensi di settant’anni fa. Crediamo di essere migliori e tentiamo di ricordarcelo commemorando l’avvenimento di un fatto specifico (lo sterminio di ebrei ad Auschwitz), operazione di ricordo che ha come obiettivo la stigmatizzazione dell’accaduto e dei suoi responsabili ponendoli così al di fuori della storia. Pur parlando di un fatto storico con tanto di foto e video, esso oramai è divenuto un cliché, uno slogan pubblicitario qualsiasi a cui nessuno dà nemmeno più retta in senso profondo. L’effetto è quello appunto di creare un modello di crudeltà che ha però perso la sua dimensione storica e contingente e che si ritrova quindi slegato dai fatti causali che hanno contribuito alla sua evoluzione e degenerazione. Questo fatto dunque, una volta canonizzato e universalizzato si è depotenziato, incapace oramai di parlare di sé.

I tremendi avvenimenti di quegli anni dovrebbero invece ricordarci che la discriminazione di razza, sesso e religione non si è improvvisamente fermata e cristallizzata in quel campo di sterminio ad Auschwitz, e che la crudeltà dell’essere umano non si è esorcizzata una volta per tutte sui corpi di milioni di ebrei e non solo. Basta guardarsi attorno per capire che noi europei (o occidentali) siamo tuttora nella stragrande maggioranza dei casi, in alcuni in modo inconfessabile in altri apertamente, razzisti (come lo dimostra il caso immigrati), islamofobi (ancora il caso immigrati), omofobi (il caso Unioni Civili in Italia), misogini (tutte le donne che vengono quotidianamente offese e umiliate, anche sul posto di lavoro) e potrei continuare a lungo.

Mi sembra quindi che in sostanza il vero motivo per cui si celebra la commemorazione della Shoah è che è sempre meglio ricordare di non dimenticare le nefandezze altrui per dimenticare meglio le proprie. Quando sarebbe invece l’occasione per riflettere su cosa significhi oggi il “fascismo” in tutte le sue nuove forme, perché quello che spesso non ci viene ricordato – durante le celebrazioni – è che gli ebrei prima della Seconda Guerra Mondiale erano quasi-unanimemente considerati “geneticamente” spregevoli e di rango inferiore, così come noi oggi consideriamo gli immigrati che camminano nelle nostre città come indegni di ricevere anche solo la nostra considerazione. Per cui prima di ogni facile condanna nei confronti di un crimine così palesemente indifendibile come lo sterminio degli ebrei, faremmo bene a riflettere sulle nostre responsabilità in quanto italiani, europei e occidentali e a meditare su cosa stiamo concretamente facendo per evitare nuove catastrofi. Solamente in questo modo l’inflazionato slogan del non “dimenticare per non ripetere” acquisirebbe un senso critico e attuale, e forse – assieme da esso – anche la giornata della Memoria si dimostrerebbe ogni anno un buon momento critico (e persino autocritico) per una reale messa in discussione di chi siamo e dove vogliamo andare.

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