“Gli anni” di Annie Ernaux. Un viaggio nella memoria collettiva

di Giorgia Chiaro

La leggenda narra che vincere il premio Nobel per la letteratura sia una questione più politica che letteraria. In generale concorderei con questa affermazione, ma – spero di non venire presa per ipocrita – se per una volta la scelta politica ricade su Annie Ernaux, non posso che rallegrarmene. Per chi non la conoscesse, Annie Ernaux è una scrittrice francese amata in tutto il mondo, già insignita di diversi premi letterari in patria prima di vincere il Premio Nobel nel 2022; una femminista dichiarata convinta che sia impossibile tener fuori la politica dalla letteratura. Il suo stile è fortemente autobiografico, si ritrova un pizzico della sua vita in ogni suo testo, ma Ernaux è anche una scrittrice che ha sempre voluto sperimentare per non rimanere chiusa in un solo genere. Tra i suoi lavori sperimentali più belli incontriamo sicuramente Gli anni.

Gli anni è un libro sopra le righe, di quelli che a primo impatto lasciano un effetto estraniante. Non è ascrivibile a nessun genere, se non a quello – vago – della testimonianza. Una definizione comunque incapace di sfiorare l’essenza di questo lungo flusso di coscienza, in cui l’autrice racconta la storia della Francia e della sua vita dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino ai giorni nostri.

È difficile raccontare questo libro nella sua totalità e complessità, sarebbe facile ridurlo a una serie concatenata di eventi raccontati a flusso continuo per 260 pagine: in qualche modo Gli anni è anche questo. Ma è anche un viaggio, che si snoda su triplice strada: quella che il lettore percorre osservando un paese, la Francia, nei suoi mutamenti storici, rivisitati anche alla luce dai grandi eventi che hanno cambiato il mondo; quella di una generazione, che è stata bambina alla fine della guerra e che ha fatto la “rivoluzione culturale” negli anni sessanta, raccontata attraverso i libri e la musica del tempo; ma anche quello, forse la più tortuosa, che ci conduce tra i meandri della vita dell’autrice, che si racconta e racconta gli anni che passano, mimetizzandosi tra le vicende di cui narra; diventando una e insieme tutti quelli che hanno vissuto quegli anni; restituendo il sapore di un’esperienza unica che si è fatta al contempo voce collettiva.

Gli anni non ha personaggi, se non proprio l’insistere di questa voce collettiva, che segue il filo inesorabile degli eventi e li racconta, con fatalità e  – all’inizio – con apparente distacco. È però soltanto addentrandosi in questa narrazione plurale che si possono vedere le influenze umane intrecciarsi, le emozioni della storia recente riemergere. Ernaux in questo suo libro perde uno dei tratti caratteristici della sua penna, dove in genere si racconta spogliandosi della privacy e raccontando eventi molto intimi ed estremamente drammatici, come per esempio ne L’altra Figlia o ne L’evento; o come nel racconto complesso della sua vita che fa in La donna gelata. Qui questo aspetto viene un po’ a mancare, ed Ernaux riesce in qualche modo a far emergere ancora la propria vita, ma questa volta in una lettura totalmente differente.

Gli anni non è dunque una lettura facile, ma un libro denso di significato, che va guardato oltre alla sua apparenza. Possiede un grandissimo valore simbolico, dove la scrittrice perde la sua voce e la sua stessa individualità, fondendosi in una memoria collettiva, in un noi che non può più essere soltanto io; raccontando la sua storia come parte di un tutto, con la semplicità di una serie di istantanee che sospendono il tempo. E forse è proprio questo lo scopo centrale del libro, immortalare sé stessi, così piccoli, così passeggeri, eppure inestricabilmente legati al destino comune del mondo.

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