I mattini grigi della tolleranza. Foucault rilegge “Comizi d’amore” di Pasolini [1977]

di Michel Foucault

(premessa e traduzione di Raoul Kirchmayr)

Premessa
Questo breve testo di Foucault dedicato a Comizi d’amore e apparso in “Le Monde” del 23 marzo 1977 è solo apparentemente una tardiva recensione cinematografica del film-documentario girato da Pasolini nel 1963. È piuttosto una riflessione sul tipo di approccio che Pasolini aveva scelto per indagare criticamente il mutamento dei costumi sessuali in Italia, cui segue un rilancio filosofico su quello che Foucault chiama “regime della tolleranza”. Pasolini, infatti, avrebbe registrato non tanto i contrasti prodotti dall’avanzare della modernità in un’Italia ancora legata al suo passato contadino e popolare, tra l’affrancamento dei costumi e le permanenze della morale cattolica, quanto il prendere forma di una diversa esperienza della sessualità che mette in gioco contemporaneamente maggiori libertà individuali e maggiore controllo. Sotto questo profilo, il film di Pasolini rappresenta agli occhi di Foucault un documento etnografico che appartiene a un periodo di transizione. Rispetto alle nostalgiche immagini bianco-e-nero che dipingono i presunti avanzamenti di un’Italia anni sessanta approdata da poco al consumismo, Foucault indica con rapidità e inquietudine le zone grigie di una tardiva modernità e individua seccamente sia il movimento del quadrillage sociale esercitato da un potere sempre più anonimo e orizzontale, sia gli indizi delle forme nascenti di resistenza e di opposizione (non deve sfuggire il richiamo all’attualità presente nell’ultima riga del testo, là dove si evoca la contestazione bolognese del 1977). Ma il tema più scottante, articolato negli ultimi densi paragrafi dello scritto, è certamente il nesso eros-gioventù-democrazia, che avrebbe conosciuto importanti sviluppi nella successiva riflessione foucaultiana. In effetti, ciò che interessa Foucault – e che ritrova in Pasolini, pur mantenendo curiosamente il riserbo sulla questione gay – è “la grande saga dei giovani”, rispetto alla quale i potenti strumenti delle scienze dell’uomo hanno progressivamente guadagnato precisione nel classificare e nel categorizzare, le tecniche politiche del controllo si sono sempre più raffinate nello scandagliare-controllare-reprimere, le strategie di marketing si sono fatte più aggressive nel plasmare immaginari e desideri: verso questa gioventù, divenuta punto di applicazione del potere, il potere stesso denuncia per contrasto la sua diffidenza. Il discorso di Foucault appare oggi a sua volta figlio di una stagione di lotte che si è conclusa lasciando dietro di sé una lunga onda di riflusso che non accenna a scemare, ma pare ricevere maggiore forza dalle contraddizioni del mondo globale. Da un lato, il nesso sessualità-potere si è riconfigurato nelle forme – fortemente mediatizzate – della teatralizzazione dell’osceno e della spettacolarizzazione del privato se non addirittura dell’intimo, al punto che i mattini grigi della tolleranza paiono aver precorso un’epoca notturna di godimento eccessivo e mortifero rappresentato alla piena luce del giorno (e c’è da chiedersi se non sia questo un possibile sviluppo degli scenari apocalittici immaginati da Pasolini in Salò, forse più di una biografia della nazione). Dall’altro lato, se il rapporto sessualità-potere assume nuove configurazioni, ciò non è neutro per i destini delle democrazie, poiché le forme della nuova razionalità economica e politica non possono che mirare alla ricostruzione eteronoma dell’affettività, facendo sempre più presa sulla “vita”. Il biopotere ha certo bisogno della frammentazione e della disunione (dei soggetti, dei corpi, dei desideri), ma è esso stesso che ricostruisce funzionalmente i nessi e le relazioni. Di questa scomposizione e ricomposizione le giovani generazioni (e in esse ciascuno per sé, consegnato alla propria solitudine) stanno facendo, sul proprio corpo, un’esperienza drammatica e sradicante. Forse fino al punto che l’affermazione pasoliniana secondo la quale il coito è politico, appare oggi tanto più vera sotto il profilo diagnostico quanto effettualmente priva di rilevanza sotto quello dei costumi e della morale sessuale. [R.K.]

M. Foucault, Les matins grises de la tolérance, “Le Monde”, 23 marzo 1977, p. 24, ora in Dits et écrits, Gallimard, Paris 2001, vol. II, pp. 269-271, trad. it di Raoul Kirchmayr, I mattini grigi della tolleranza in “aut aut” n.345, marzo-gennaio 2010 – “Inattualità di Pasolini”. Ripubblichiamo il testo tradotto e la premessa con il consenso del traduttore e della rivista “aut aut”.

I mattini grigi della tolleranza
Come nascono i bambini? Li porta la cicogna, da un fiore, li manda il buon dio, o arrivano con lo zio calabrese. Guardate il volto di questi ragazzini, invece: non danno affatto l’impressione di credere a ciò che dicono. Con sorrisi, silenzi, un tono lontano, sguardi che fuggono a destra e sinistra, le risposte a tali domande da adulti possiedono una perfida docilità; affermano il diritto di tenere per sé ciò che si preferisce sussurrare. Dire “la cicogna” è un modo per prendersi gioco dei grandi, per rendergli la loro stessa moneta falsa; è il segno ironico e impaziente del fatto che il problema non avanzerà di un solo passo, che gli adulti sono indiscreti, che non entreranno a far parte del cerchio, e che il bambino continuerà a raccontarsi da solo il “resto”. Così comincia il film di Pasolini. Enquête sur la sexualité (Inchiesta sulla sessualità) è una traduzione assai strana per Comizi d’amore: comizi, riunioni o forse dibattiti d’amore. È il gioco millenario del “banchetto”, ma a cielo aperto sulle spiagge e sui ponti, all’angolo delle strade, con bambini che giocano a palla, con ragazzi che gironzolano, con donne che si annoiano al mare, con prostitute che attendono il cliente su un viale, o con operai che escono dalla fabbrica. Molto distanti dal confessionale, molto distanti anche da quelle inchieste in cui, con la garanzia della discrezione, si indagano i segreti più intimi, queste sono delle Interviste di strada sull’amore. Dopo tutto, la strada è la forma più spontanea di convivialità mediterranea. Al gruppo che passeggia o prende il sole, Pasolini tende il suo microfono come di sfuggita: all’improvviso fa una domanda sull’“amore”, su quel terreno incerto in cui si incrociano il sesso, la coppia, il piacere, la famiglia, il fidanzamento con i suoi costumi, la prostituzione con le sue tariffe. Qualcuno si decide, risponde esitando un poco, prende coraggio, parla per gli altri; si avvicinano, approvano o borbottano, le braccia sulle spalle, volto contro volto: le risa, la tenerezza, un po’ di febbre circolano rapidamente tra quei corpi che si ammassano o si sfiorano. Corpi che parlano di loro stessi con tanto maggior ritegno e distanza quanto più vivo e caldo è il contatto: gli adulti parlano sovrapponendosi e discorrono, i giovani parlano rapidamente e si intrecciano. Pasolini l’intervistatore sfuma: Pasolini il regista guarda con le orecchie spalancate. Non si può apprezzare il documento se ci si interessa di più a ciò che viene detto rispetto al mistero che non viene pronunciato. Dopo il regno così lungo di quella che viene chiamata (troppo rapidamente) morale cristiana, ci si poteva aspettare che nell’Italia di quei primi anni sessanta ci fosse un certo qual ribollimento sessuale. Niente affatto. Ostinatamente, le risposte sono date in termini giuridici: pro o contro il divorzio, pro o contro il ruolo preminente del marito, pro o contro l’obbligo per le ragazze a conservare la verginità, pro o contro la condanna degli omosessuali. Come se la società italiana dell’epoca, tra i segreti della penitenza e le prescrizioni della legge, non avesse ancora trovato voce per raccontare pubblicamente il sesso, come fanno oggi diffusamente i nostri media. “Non parlano? Hanno paura di farlo”, spiega banalmente lo psicanalista Musatti, interrogato ogni tanto da Pasolini, così come Moravia, durante la registrazione dell’inchiesta. Ma è chiaro che Pasolini non ci crede affatto. Credo che ciò che attraversi il film non è l’ossessione per il sesso, ma una specie di timore storico, un’esitazione premonitrice e confusa di fronte a un regime che allora stava nascendo in Italia: quello della tolleranza. È qui che si evidenziano le scissioni, in quella folla che tuttavia si trova d’accordo a parlare del diritto, quando viene interrogata sull’amore. Scissioni tra uomini e donne, contadini e cittadini, ricchi e poveri? Sì, certo, ma soprattutto quelle tra i giovani e gli altri. Questi ultimi temono un regime che rovescerà tutti gli adattamenti, dolorosi e sottili, che avevano assicurato l’ecosistema del sesso (con il divieto del divorzio che considera in modo diseguale l’uomo e la donna, con la casa chiusa che serve da figura complementare alla famiglia, con il prezzo della verginità e il costo del matrimonio). I giovani affrontano questo cambiamento in modo molto diverso: non con grida di gioia, ma con una mescolanza di gravità e di diffidenza perché sanno che esso è legato a trasformazioni economiche che rischiano assai di rinnovare le diseguaglianze dell’età, della fortuna e dello status. In fondo, i mattini grigi della tolleranza non incantano nessuno, e nessuno vede in essi la festa del sesso. Con rassegnazione o furore, i vecchi si preoccupano: che fine farà il diritto? E i “giovani”, con ostinazione, rispondono: che fine faranno i diritti, i nostri diritti? Il film, girato quindici anni fa, può servire da punto di riferimento. Un anno dopo Mamma Roma, Pasolini continua su ciò che diventerà, nei suoi film, la grande saga dei giovani. Di quei giovani nei quali non vedeva affatto degli adolescenti da consegnare a psicologi, ma la forma attuale di quella “gioventù” che le nostre società, dopo il Medioevo, dopo Roma e la Grecia, non hanno mai saputo integrare, che hanno sempre avuto in sospetto o hanno rifiutato, che non sono mai riuscite a sottomettere, se non facendola morire in guerra di tanto in tanto. E poi il 1963 era il momento in cui l’Italia era entrata da poco e rumorosamente in quel processo di espansione-consumo-tolleranza di cui Pasolini doveva redigere il bilancio, dieci anni dopo, nei suoi Scritti corsari. La violenza del libro dà una risposta all’inquietudine del film. Il 1963 era anche il momento in cui aveva inizio un po’ ovunque in Europa e negli Stati Uniti quella messa in questione delle forme molteplici del potere, che le persone sagge ci dicono essere “alla moda”. E sia pure! Quella “moda” rischia di rimanere in voga ancora per un po’ di tempo, come accade in questi giorni a Bologna.

[NDR. Il riferimento a Bologna riguarda la rivolta dell’11 marzo 1977, che sarà placata soltanto nei giorni seguenti grazie ai famosi “carrarmati” inviati all’Università di Bologna dall’allora Ministro dell’Interno. La rivolta era stata scatenata dall’assassinio del militante di Lotta Continua Francesco Lorusso]

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