L’angolo dell’amusia – Ditamburo

Cueva de las Manos (6811931046)

Suonare il ditamburo è semplice: basta avere una superficie più o meno risuonante su cui sia possibile battere agevolmente con le dita. Il resto è tutto ritmo, e quello, si sa, o ce l’hai o non ce l’hai. Le migliori superfici risonanti sono in legno – tavoli, banconi, scrivanie. Suoni molto particolari si possono ottenere anche su superfici metalliche, ma ci torneremo in un altro momento. A seconda della conformazione e dello spessore del legno, si otterrà un diverso ritorno sonoro. Una tavola molto spessa, senza alcuna cassa di risonanza naturale, renderà un ticchettio sordo, secco; un ripiano più sottile ed elastico, con una grossa cassa di risonanza, renderà invece un bel suono gonfio e duraturo. I suoni migliori si ottengono in vecchi salotti, sulla credenza della nonna, o in certe sale d’aspetto scure, di quelle che vorrebbero incutere timore e reverenza, come da certi notai. I materiali sempre più poveri con cui vengono creati i mobili oggigiorno hanno ridotto la gamma di suoni ottenibili, che vanno tutti assimilandosi al ticchettio sordo di cui sopra. Questo perché i materiali plastici e le impiallacciature di scarti pressati hanno poca o zero elasticità, rendendo le superfici di molti luoghi, specialmente pubblici – bar, poste, banche, segreterie – meno adatti a suonare il ditamburo. Questo ovviamente non frena chi davvero si sente il ritmo nel sangue. Non si può trattenere l’impulso atavico di picchiettare le dita, un impulso che viene dalla notte dei tempi, quando i nostri progenitori ancora non conoscevano la scrittura o la ruota ma sapevano naturalmente l’essenza del ritmo. Chi possiede questo dono non esita a impiegare ogni momento libero, anche se brevissimo, nell’esercizio ritmico.
Esistono due tecniche fondamentali, complementari e intercambiabili: la tecnica a polpastrello e la tecnica a unghia. Come si può immaginare, con la prima si ottengono suoni più gravi e morbidi, mentre con la seconda i suoni sono più secchi, acuti e potenti. La tecnica a unghia si distingue inoltre nelle varianti “a punta” o “a dorso”, a seconda di come si colpisce la superficie risonante. Tutte queste tecniche possono essere accompagnate da dei colpi di nocca, che richiedono una discreta manualità ed esperienza.
Culturalmente, la pratica del ditamburo trova le sue radici profonde nell’impazienza. Non esiste attesa senza ritmo: lo sanno bene certi impiegati, il cui tempo utilizzato per espletare una richiesta del cliente o dell’utente viene molto spesso occupato da una performance di ditamburo. Per questo si tratta di una forma d’arte assolutamente spontanea, estemporanea, slegata e non assoggettabile alle dinamiche economico-culturali imperanti. Non esistono registrazioni o concerti di ditamburo, non si possono creare ensemble a tavolino o scrivere partiture senza che si perda l’essenza della pratica, che è quella dell’improvvisazione, della dinamica istantanea. Un atto inconscio, non premeditato, le cui origini risalgono alle origini dell’uomo. Suonare il ditamburo è assimilabile al rito apotropaico: scaccia il demone della noia, auspica un’attesa breve, allevia quella sensazione soffocante di perdere tempo che equivale, in ultimo, all’avvicinarsi della morte.
Per questo l’invito rivolto ai gestori, baristi, funzionari, impiegati, è questo: non biasimate la stronza sui cinquantacinque, con la pelle marrone di lampade, che picchia durissime unghie smaltate multicolore sul vostro bancone o scrivania non appena le dite che “basteranno cinque minuti”; non biasimate il vecchio che a dispetto delle dita artritiche riesce a suonarvi lunghi assoli di ditamburo, per di più accompagnati da sbuffi col naso; non biasimate chi ticchetta poliritmi d’ispirazione caraibica senza nemmeno esserne consapevole; è l’istinto della musica, una magia senza tempo, la paura animale della morte. Ogni minuto di ditamburo è la potenziale colonna sonora di un memento mori, di una danse macabre; o di una festa carnascialesca, quando si accompagna a tutti gli altri suoni dell’attesa (borbottii, melodie fischiettate, uhm-uhm, sigarette, smartphone), che riempia quel vuoto che si palesa, stolido e indifferente, quando tutto si ferma tranne il tempo della nostra consunzione.

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