L’angolo dell’amusia – I baciatori

Mentre l’aereo rulla dopo l’atterraggio sulla pista polverosa, in pieno deserto, mi domando ancora se non mi sia fatto condizionare troppo dai numerosi racconti e leggende che circolano sui baciatori. La scarsità di documentazione reperibile al riguardo, i resoconti poco dettagliati, e da ultimo la casualità che sta alla base del fenomeno, dovrebbero indurre ogni buon giornalista a pensare alla bufala. A parte il fatto che non so se reputarmi un buon giornalista, è anche vero che l’informazione contemporanea non può fare a meno di confrontarsi con le fake news. E proprio quest’aura di leggenda non fa che stuzzicare ancora di più il mio desiderio di approfondire. Se venire fino in Africa per verificare una leggenda possa essere eccessivo, ormai è tardi per pensarlo. Mi gusto quindi il sapore così ottocentesco dell’impresa.

Una cosa che mi affascina molto è la spontaneità con cui queste tradizioni ricorrono allo scambio metonimico per definire il fenomeno. Chiamano cioè con lo stesso nome, “baciatore”, sia il suonatore che lo strumento. Nessuno ha saputo darmene una spiegazione. Nell’era della globalizzazione, linguisti ed etnologi trascurano la cultura degli ‘Mbafe, popolazione di contadini che vive in una terra di nessuno nel deserto a cavallo tra Mali, Niger e Algeria. Eppure questa cultura sembra avere ancora più di un aspetto misterioso tra i loro riti. Nessuno sa dire cosa succede nelle processioni ngwanie, quando un intero villaggio scompare per giorni nel deserto; e nessuno ha mai studiato a fondo il fenomeno dei baciatori, che pure viene pubblicizzato nel tentativo, poco riuscito a dire il vero, di attirare turismo.

La mia prima esperienza col vento del deserto non è priva di disappunto. L’aria spinta a cento km/h dalle pressioni atmosferiche si infila in ogni pertugio, in ogni fessura, e vi spinge dentro la polvere sottile e al tempo stesso pesante del deserto. Sono a Gwadu, l’unica cittadina fornita di un albergo, spartano ma dignitoso. Da due giorni è impossibile uscire, un ululato cupo e lungo occupa ogni ora. Fuori è solo un muro rosso di sabbia, una nebbia solida sbriciolata, che picchietta minuscoli aghi sui vetri delle finestre. Ho chiesto all’inserviente dell’albergo se poteva pulire lo strato di polvere portata nella stanza dal vento. La donna ha riso, il grasso delle braccia ballonzolante, ha detto qualcosa nella sua lingua e sempre ridacchiando se ne è andata. Ho capito che rimuovere la polvere del deserto è un’operazione inutile. Inizio a preoccuparmi. Riuscirò a vedere i baciatori all’opera?

Quando la tempesta si placa, vado al piccolo museo etnologico. Ho preso appuntamento col direttore, che è anche preside della scuola. Mi spiega che il vero nome dei baciatori sarebbe akwonkwo ‘shabawi, ovvero “coloro che si baciano suonando” (o “che suonano baciandosi”: ancora questa ambivalenza), nel tempo abbreviatosi in akwo, ovvero “coloro che baciano”, i baciatori. L’animale che funge da strumento, a quanto pare, non ha altro nome. Il direttore mi ripete quanto già so, ovvero che l’origine di questa pratica è talmente lontana nel tempo da essere ormai esclusivamente mitologica: uno dei primi uomini ‘Mbafe incontrò il baciatore, lo suonò, e fu posseduto dallo spirito del deserto. Da lui discendono tutti i baciatori. Per una famiglia, scoprire che tra i propri figli c’è un baciatore è insieme un onore e una tragedia: fin quando il baciatore non prende la via del deserto, seguendo un altro musicista più anziano, è esonerato dal lavoro, e i familiari devono accontentarlo in ogni suo desiderio. Il buon direttore mi mostra poi la collezione di attrezzi da lavoro tribali del museo, “unica in tutto il Sahara”. Ma questi legni contorti non hanno lo stesso fascino con cui questa faccenda dei baciatori mi ha definitivamente acchiappato.

Sono riuscito a vedere un baciatore (e intendo l’animale): una specie di lucertola grigia, lunga una trentina di centimetri. Cammina con una curiosa andatura robotica, su una delle strade in terra battuta ai margini della cittadina. La bocca tonda atteggiata come in un bacio, che ricorda un po’ l’imboccatura di una tromba, e gli occhi sporgenti, le danno un’espressione decisamente ridicola. Si vedono chiaramente i sei fori sul collo, che fungono da orecchie, e che immagino abbiano portato il famoso progenitore ‘Mbafe a pensarli come fori di uno strumento. Betafo, la guida che mi ha consigliato il direttore del museo, dice che in questo periodo c’è buona probabilità di trovare dei baciatori (e intende i suonatori) e vederli all’opera. Vuole organizzare per domani una gita con altri turisti che vogliono sentire i baciatori. Provo a insistere perché si parta subito, anche solo io e lui, con poca delicatezza gli offro dei soldi e gliene prometto altri, ma Betafo è inamovibile: sa che domani ne guadagnerà comunque di più, non ha senso impegnarsi oggi. Passo il resto della giornata a bighellonare per Gwadu, che è un curioso mix di edifici in cemento degli anni sessanta e case tipiche del deserto, in terra battuta e legno. La sabbia portata dalla tempesta è ancora ammucchiata agli angoli delle strade. Quando il sole cala le vie si animano in modo inaspettato: la gente si ritrova in bar che hanno tutta l’aria di essere improvvisati, e si suona e si canta intorno a una radio, o a un gruppetto di percussionisti. Tutti bevono il dufe, un tremendo distillato che a quanto pare è un vanto locale, mescolato con acqua o coca-cola, se c’è. L’atmosfera che si viene a creare è quasi caraibica, e ci si potrebbe dimenticare di essere praticamente in mezzo al Sahara. Mi rendo conto con inquietudine che tutte queste note di colore, per quanto abbiano un loro fascino, non giustificherebbero un viaggio così dispendioso e impegnativo. Riuscirò a vedere i baciatori?

Betafo è riuscito a radunare una decina di persone oltre a me. Non me l’aspettavo e anzi ci rimango male. La leggenda mi ha preso così tanto che ormai è diventata una questione privata tra me e il deserto: devo vedere, sentire, capire, e solo io posso farlo. Questi turisti cafoni e vocianti, coppiette in viaggio di nozze mai uscite prima dalla provincia, rappresentanti alcolizzati in viaggio premio, cosa vuoi che gliene freghi dei baciatori? Mi ritrovo a pensare in questi termini. Questo è il potere del mito, dell’incantamento di un grande desiderio. Una brezza calda, caldissima soffia costantemente dal deserto, e mi pare di sentirci delle voci, dei suoni.

Ai margini del deserto, Betafo ci ha fermati ad aspettare all’ombra di un grosso albero spinoso. Il rito è preciso e severo: il baciatore (musicista girovago) può suonare il baciatore (animale) solo se le loro strade si incrociano. Non lo può cercare, o cambiare strada apposta se per caso lo vede da lontano. L’incontro deve essere casuale. E per fortuna lo è stato. Prima è spuntata la bestia, da dietro l’albero sotto cui eravamo accampati, accaldati e arsi. Con timore ho acceso la reflex. Per nulla turbata dalla nostra presenza, la bestia andava avanti, stolida, con quel suo passo da robot. Poi, da dietro uno degli enormi massi gialli che puntellano questo deserto assurdo, è spuntato un uomo. Cammina lentamente, ciondolando, appoggiandosi a un bastone. I vestiti sono logori e strappati, e rossi di polvere. Parla e ride da solo, fischietta, canticchia; sembra ubriaco, o fatto. Betafo ci zittisce, dice di fare attenzione. A un tratto l’uomo si trova la bestia davanti. Questa non lo degna di uno sguardo, ma l’uomo si ferma, ammutolisce. Alza le mani al cielo, e inizia a fare una danza intorno all’animale, che prosegue imperterrito il suo cammino. Betafo ci dice sottovoce che il baciatore (l’uomo) sta cantando lodi agli spiriti del deserto, che gli hanno concesso quell’incontro. L’uomo va avanti per qualche minuto a danzare e salmodiare, poi si ferma, assume un’espressione truce. Afferra la lucertola e con due dita preme alla base del collo. La bestia strabuzza gli occhi e allarga la bocca, e l’uomo appoggia le sue labbra a quelle della lucertola, come se la stesse baciando. Qualcuno del gruppo ha un conato. L’uomo inspira profondamente, gonfia le guance e inizia a soffiare con forza nella bestia, il cui corpo si tende, si gonfia come un palloncino. Un suono indefinibile si propaga nell’aria, qualcosa come un flauto o un’ocarina ma con un che di metallico, di stridente. Il suonatore modula le note chiudendo o meno i fori delle sei orecchie della bestia, mentre Betafo ghignando ci fa capire che il suono esce dall’ano dell’animale. Il baciatore dondola mentre a occhi chiusi esegue una melodia millenaria, che viene dalla terra stessa. L’aria respirata dall’essere umano risuona nelle viscere dell’animale, sa di radici, di sabbia, di rara pioggia che fa sbocciare i fiori. Mi rendo conto, come se l’avessi sempre saputo, che qui si celebra con un bacio e con un canto la comunione dell’uomo con la natura, che anche questa natura ostile e dura può donare bellezza. Dopo qualche minuto, che è stato come un’eternità, il suonatore rimette la lucertola a terra. Attende in ginocchio, la fronte nella sabbia, finché l’animale non si sgonfia e riprende il suo cammino come se nulla fosse; e a sua volta riparte verso chissà dove. Sento commenti disgustati intorno a me; io, invece, mi sento come stravolto. Quella musica mi è entrata dentro e sta rimescolando come un uragano tutto il mio essere.

Ho annullato il viaggio di ritorno. Mi sono reso conto che riportare questa esperienza nel reportage potrebbe risultare facilmente in un esotismo insipido e didascalico. Ho inviato comunque alla redazione l’articolo che state leggendo, ma penso che una simile esperienza vada attinta alla fonte. Una voce dentro me, profonda e ancestrale, mi dice che qualcosa di più grande mi aspetta nel deserto. Con l’intermediazione di Betafo sto prendendo accordi per unirmi a un baciatore e seguirlo nei suoi vagabondaggi. Vivrò come lui, imparerò come suonare quelle sinfonie millenarie. Scoprirò i segreti del deserto. Parlerò con i suoi spiriti e ne suonerò il canto. Ho regalato gran parte dei vestiti che mi ero portato, il resto l’ho legato in un fagotto sulla punta di un bastone. La reflex l’ho lasciata al direttore del museo. Sorrido al pensiero che potrei essere il primo baciatore bianco della storia. Quando leggerete queste righe sarò già in qualche punto del Sahara irriducibile alle mappe e ai gps. Il sole è tremendo oggi e si sta alzando il vento. Sono pronto.

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