Semiotica della fine: il glitch e la turbo-violenza delle immagini

di Alessandro Sbordoni

Un glitch di Rosa Menkman (Wikicommons)

Un’immagine implica sempre una forza, una certa quantità di violenza. Ogni figura deve infatti sempre rimuovere, mettere da parte, scansare un’altra immagine, per mostrarsi. In questo senso l’immagine del Sole è un’immagine particolarmente crudele, poiché si presenta soltanto cancellando ogni altra immagine. Per un breve momento, l’immagine del Sole oblitera persino sé stessa con un atto di violenza gratuita. È soltanto in un secondo tempo, se diamo credito all’allegoria platonica de La Repubblica, che la figura del Sole e il suo bagliore accecante diventano finalmente visibili ad occhio nudo.

Oggi l’imagine non ha quasi più il tempo di fare mostra di sè. Nelle parole di Jean Baudrillard, alle immagini non è più dato il breve tempo di diventare un’immagine nel senso stretto di questo termine. Un’immagine non significa quasi più niente al di là del proliferare di altri segni. Ecco perché non c’è più scambio allora tra un’immagina e l’altra, soltanto condivisione istantanea. Auto-play e scroll infinito sono le tecnologie di questa nuova forma di virulenza: la violenza dell’immagine è immersa immediatamente nel flusso di dati, nella turbo-riproduzione e nel proliferare di altri segni.

Turbo-violenza

La violenza oggi non è più nelle immagini. È negli interstizi tra un’immagine e l’altra, nel loro buffering. Nel giro di appena un secolo siamo passati dal culto futurista della velocità all’iperfuturismo della riproduzione. È proprio quest’ultimo la nuova forma di violenza del semiocapitale. Turbo-violenza: non più soltanto il bombardamento dell’informazione, ma anche e soprattutto la viralità della pubblicità, del fast fashion, dell’influenza digitale, la virulenza della cultura pop e delle hit dell’ultimo momento… In tutti questi casi non ci sono più né icone né immagini di alcun genere: soltanto la velocità del capitalismo e la sua riproduzione.

Anche il glitch, che altrimenti rappresenta un’interruzione del flusso di informazione, un errore non specificato del sistema, spesso non è altro che un’ulteriore immagine, un altro tipo di virulenza priva di negatività. Quando, per esempio, nel video di Kanye West, Welcome to Heartbreak (2008) il traffico di immagini implode in una serie di glitch, questo non rappresenta la fine dell’economia di segni. Niente affatto. Non appena lo schermo viene rotto (2:13), c’è già subito un’altra immagine pronta ad essere riprodotta (2:15). È così che l’immagine finisce e non smette mai di finire.
Come afferma Jean Baudrillard, quando l’immagine diventa il medium della violenza, il suo messaggio non può che essere solo altra violenza. Ecco che non c’è più alcuna immagine in Welcome to Heartbreak: soltanto la violenza fatta alle immagini, la distruzione senza fine e la riproduzione di più immagini. Nel frattempo, Kanye West non può che cantare: “I’ve seen it / I’ve seen it before / I’ve seen it / I’ve seen it before / I’ve seen it / I’ve seen it before…” (“L’ho visto / L’ho già visto / L’ho visto / L’ho già visto / L’ho visto / L’ho già visto…”). Non è più possibile parlare di immagine al singolare. L’immagine si riproduce sempre; questa volta più velocemente, più violentemente. Alla velocità del capitalismo, potremmo dire.

Qualche anno dopo il video di Welcome to Heartbreak, esce Yamborghini High (2016) di A$AP Mob: la serie di immagini diventa un tutt’uno, un essere-plurale, in un flusso di pixel e semiocapitale. La violenza viene allora riprodotta alla turbo-velocità della macchina: “catch a nigga flyin’ by in a Lambo” (“acciuffa un negro volando su una Lambo”).

Variazione dopo variazione, la riproduzione delle immagini diventa sempre più pulita, più levigata. La resistenza alla virulenza del semiocapitalismo è spesso minima. Come cantano anche i 100 Gecs (un duo glitchcore che ha fatto fortuna su TikTok), con la voce mascherata da Auto-Tune, in Money Machine (2019): “Big boys coming with the picture / Feel so clean like a money machine” (“Pezzi grossi che arrivano con l’immagine / Pare così pulita come una macchina dei soldi”).

Cybertempo e cyberspazio

Il cybertempo rappresenta la quantità di tempo necessaria a un’immagine per diventare ciò che è: il tempo necessario per pensare, sentire, ricordare, immaginare. Quando però la velocità di riproduzione supera la velocità del del cybertempo, memoria e immaginazione vanno in sovraccarico. Non c’è più spazio di salvataggio o CPU libera. Il cybertempo va in crash. Non c’è abbastanza spazio per creare un nuovo file. (Errore: nuovo.exe non può essere aperto).

Il nuovo non è ormai più prodotto ma soltanto riprodotto. Anche la distruzione creativa del glitch viene riprodotta velocemente e ancora più facilmente emulata, e il glitch non pare niente più che un’altra forma di violenza senza tempo né memoria (vedi, per esempio, la pubblicità di Reddit all’ultimo Super Bowl, dove il logo arancione e bianco dell’azienda appare per un breve istante nel mezzo di un promo di qualche secondo).

Il cybertempo sovrascrive il cyberspazio. L’unica reazione possibile è di immediatezza virtuale: ‘accetta’, ‘rifiuta’, Like, fai swipe, clicca… Il bip della macchina. “Il semiocapitale mette l’energia neuro-psichica in azione, subordinando quest’ultima alla velocità della macchina, forzando così il lavoro cognitivo a tenere il ritmo del network di produzione. Di conseguenza – scrive Franco ‘Bifo’ Berardi –, la sfera emotiva collegata alla cognizione viene spinta fino al suo limite. Il cyberspazio sovraccarica il cybertempo perché, mentre il cyberspazio ha un campo d’azione illimitato all’interno del quale la velocità può accellerare senza limiti, il cybertempo (il tempo organico dell’attenzione, della memoria, dell’immaginazione) non può essere accellerato oltre una certa velocità – altrimenti si spezza.” La comunicazione viene compressa a informazione, e i sentimenti si riducono ad affezione, per il semplice motivo che questi ultimi si riproducono in maniera più veloce e pulita nel cyberspazio.

Non soltanto le immagini vengono dissimulate dallo spettacolo del capitalismo; il soggetto stesso scompare nel flusso di immagini. Non c’è più, allora, abbastanza spazio libero per installare un nuovo immaginario.

Punctum e affectum

Oggi tutto deve essere visto, tutto deve essere provato. Ecco che sempre meno immagini sono davvero guardate, sempre meno viene sentito. Ogni giorno triliardi di immagini vengono salvate e riprodotte. Ma mentre il numero di immagini si moltiplica, l’immaginazione diminuisce in maniera inversamente propozionale. Come rileva Susan Sontag nel suo saggio su immagine e rappresentazione della violenza, “Dopo [sessant’]anni di film catastrofici hollywoodiani ad alto costo, ‘Sembrava un film’ pare avere sostituito la formula con cui i sopravvissuti a una catastrofe erano soliti esprimere l’impossibilità di assimilare in tempi brevi ciò che avevano vissuto, ‘Sembrava un sogno’”. La violenza fa upload nel cyberspazio, nonostante non ci sia più spazio disponibile per emozioni come la paura o lo shock. I sogni sono resettati.

Non c’è nemmeno più pericolo nelle immagini, né alcuna carica emotiva. Le immagini mancano di quello che Roland Barthes chiamava punctum: l’unicità di un’immagine fotografica, il danneggiamento emotivo indotto da una rappresentazione. Non c’è allora più alcun rischio nell’immagine, tranne quello della simulazione. L’immagine è fin troppo levigata. Non c’è nessuna differenza estetica, nessuna punteggiatura, tra l’immagine e lo spettatore. L’occhio non è più distinguibile dalle immagini.

Il medium stesso delle immagini produce quello che Byung-Chul Han chiama affectum. L’affezione è infatti riprodotta più rapidamente dei sentimenti, nella forma immediata di contagio o viralità. Ecco allora che non c’è più tempo per immaginare, per pensare, per sentire — neanche quasi più il tempo per osservare. “L’affectum,” scrive Byung-Chul Han, “urla ed eccita. Provoca solo eccitazioni e stimoli privi di linguaggio, che suscitano un piacere immediato”.

La violenza del glitch

Se è vero, come affermava Roland Barthes, che una fotografia è violenta “perché ogni volta riempie di forza la vista”, è vero anche che ogni volta le immagini sovrascrivono l’immaginario con una certa furia.

Per ribellarsi, per esporre, denunciare questa violenza fatta ai danni dell’immaginario, è diventato necessario immaginare un’altra forma di violenza, una violenza alternativa. Questa violenza non solo deve accellerare l’immagine, ma anche e soprattutto il suo feroce medium, con la speranza che vada in tilt, riavvii, e faccia infine respawn in un nuovo immaginario.

Il glitch rappresenta un’insurrezione contro il traffico di dati: un errore non specificato, un hacking del sistema, un bug. Secondo Rosa Menkman, i glitch “portano qualsiasi medium in una stato critico di ipertrofia, così da criticare (a posteriori) la loro stessa politica interna”. Rumore contro rumore, turbo-violenza contro la violenza del glitch.

Certo, i glitch saranno sempre riprodotti e neutralizzati dal flusso dell’informazione. Diventeranno parte della moda e del glamour (come nel caso dei glitch di Kanye West, A$AP Mob, e dei 100 Gecs). Dopotutto, la sedizione è temporanea. Questo non costituisce tuttavia una limitazione ma, all’opposto, la causa del moment(um) del glitch: “il potenziale che ogni glitch ha di modulare o danneggiare produttivamente le norme delle tecno-cultura, nel momento in cui questo potenziale viene inizialmente colto”. Per Rosa Menkman

Il concetto di moment(um) è duplice: prima di tutto c’è il momento, il quale produce una sensazione di perturbamento, il brivido della perdita di controllo, che getta lo spettatore in un vuoto (di significato). Dopo questo momento [moment], esso diventa però un catalizzatore dotato di un certo momento vettoriale [momentum]. Il rumore si fa glitch quando questo oltrepassa un certo punto critico, risultando in un errore, o al contrario costringendo l’user ad accettare una nuova nozione sulla techné stessa del glitch, in aggiunta ad altri, reali e presunti, traffici mediatici.
(Rosa Menkman, The Glitch Moment(um))

Il momento elettrico del glitch ha, in altre parole, il potere di crackare il cyberspazio. E, forse, più lungo sarà questo momento, maggiori saranno il suo impeto e la sua carica.

L’11 Settembre 2011, il sito della CNN è offline per diverse ore di fila: il disastro del cyberspazio. Il flusso capitalista delle immagini viene sospeso. Allo stesso tempo, l’immaginario della fine si riproduce; gli spettatori vagheggiano la fine in un sogno senza immagini, simile al sonno.

L’immagine ritorna al nulla, il nulla all’immagine, così che è impossibile differenziare l’una dall’altro. Come un sole nero, il glitch abolisce la differenza tra immagine e non-immagine, funzione ed errore; né l’indifferenza dell’affectum né il fragore del punctum. Gli occhi sono praticamente chiusi, eppure c’è ancora un’immagine — l’ipernulla dello schermo. L’inattività dei significati. Qualsiasi cosa resta dopo che le immagini sono finite, qualsiasi cosa rimane dopo la fine, è soltanto immaginaria.

La poetica del virus

Come possiamo prendere esempio da un virus informatico? Un virus informatico danneggia dei dati. È un costo per il capitalismo, ostacola la produttività dei dispositivi. Un virus informatico è una minccia per il funzionamento dei macchinari e della loro economia. Le macchine sono fatte per lavorare bene e in fretta, mentre un virus le rallenta in modi che l’utente non può prevedere: il computer esegue buffer infiniti, crasha, cancella, riformatta. Questa lentezza interviene sullo spazio e sul tempo, li altera, fino a danneggiare la relazione tra persona e macchina.

(Legacy Russel, Glitch Feminism)

Questa lentezza, questa violenza contro l’economia della macchina, riavvia anche una relazione con l’immaginario. Il virus, come noi, sogna un sogno senza immagini, simile al sonno. Il virus immagina un nuovo template della fine, una serie di zero e uno riconvertiti in numeri immaginari. Dal cortocircuito della riproduzione all’immaginazione dei circuiti aperti.

RIFERIMENTI
– 100 Gecs (2019). Money Machine [Canzone registrata da 100 Gecs]. In 1000 Gecs. Dog Show. https://www.youtube.com/watch?v=z97qLNXeAMQ
– A$AP Mob & Juicy J (2016). Yamborghini High [Canzone registrata da A$AP Mob]. In Cozy Tapes: Vol. 1: Friends. ASAP Worldwide, Polo Grounds, RCA. https://www.youtube.com/watch?v=tt7gP_IW-1w
– Barthes, R. (2003). La Camera Chiara. Nota sulla Fotografia (Trad. R. Guidieri). Torino: Einaudi (Opera originale pubblicata 1980).
– Baudrillard, J. (2004). La Violence Faite aux Image. Saivoir Ens. https://savoirs.ens.fr/expose.php?id=218
– Berardi, F. (2010). Cognitarian Subjectivation. E-flux, 20. https://www.e-flux.com/journal/20/67633/cognitarian-subjectivation/
-Han, B.-H. (2019). La Salvezza del Bello (Trans. V. Tamaro). Milano: Nottetempo. (Opera originale pubblicata 2015).
– Kanye West & Kid Cudi (2008). Welcome to Heartbreak [Canzone registrata da Kanye West]. In 808s & Heartbreak. Roc-A-Fella, Def Jam. https://www.youtube.com/watch?v=wMH0e8kIZtE
– Menkman, R. (2011). The Glitch Moment(um). Amsterdam: Institute of Network Cultures.
– Platone (1997). La Repubblica (Trad. F. Sartori). Roma: Laterza.
– Reddit (2021). Sorry We Crashed Your SuperbOwl Party. https://www.reddit.com/r/blog/comments/leznyw/sorry_we_crashed_your_superbowl_party/

– Russel, L. (2021). Glitch Feminism (Trad. G. Giaccone). Roma; Perrone. (Opera originale pubblicata 2020).
– Sontag, S. (2003). Davanti al Dolore degli Altri (Trad. P. Dilonardo). Milano: Mondadori.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su Blue Labyrinths. “Semiotica della fine” è una serie di articoli sul “capitalismo del significato” e sul significato della fine del capitalismo.

Alessandro vive a Londra, ha pubblicato con Ibiskos Editrice Risolo (Generazioni/Generations, 2017) ed è un contributore per Blue Labyrinths; è anche un musicista, e due tra i suoi progetti più recenti sono Anna mi odia (Atlantide Dischi) e Hirami Hatamami.

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