Terza Pagina. “Resilienza e Resistenza”

di Teo Verdiani

Immagine di Silvia Mengoni

C’è un angolo del mio cervello dove le parole parlano e non si limitano solo ad essere parlate. Reagiscono a sé stesse e al logorio della vita moderna. Questo è amaro.

Tale fantastico luogo si dovrebbe trovare un po’ fuori dell’area di Broca e s’affaccia ad un mare di pensieri ondivaghi che sbattono violentemente su una falesia che costeggia il limite del mio linguaggio. È usanza, per le parole stanche di essere spremute, venire qua a fare una passeggiata per ricaricare le pile guardando il sole annegare all’orizzonte con gran dignità arancione. La dignità altrui sollecita la propria.
L’altro giorno, visibilmente scossa e affacciata pericolosamente allo strapiombo, posata con un solo fianco alla staccionata, se ne stava “Resistenza”. Cercava di riprendere equilibrio mettendo piccoli passi sconclusionati qua e là. Quello scalpiccio sulla giarina raccontava la storia di due suole logore di distanze coraggiose, mosse dalla stupidità della speranza e dalla forza degli asini.
Aveva capelli d’argento che volevano parlare con la luna per sfogare la frustrazione dell’insulto di un sole che non li baciava più. Si guardava le mani cercando di ricordarsi com’erano prima che tutto cambiasse.
Resistenza si accorse del sound di un paio di Air Jordan 1 Retro High OG che gli camminavano vicino.
Si voltò a guardare chi fosse, ma sapeva già la risposta. Senza stupore salutò. Era Resilienza. Aveva un sorriso ancorato alla noia e una voglia d’altrove sulla quale appendere parole svogliate tra cui la prima: “Ciao”. Resistenza si girò nuovamente a guardarsi le mani senza proferir verbo. Resilienza gli si mise vicino e provò a imitarne il silenzio, ma non durò molto: “Mi spiace per come sia finita”.

Come fosse tutto già scritto Resistenza rispettò un bieco silenzio annotato a margine e poi imbeccò: “E dire che all’inizio pensavo tu fossi solo un errore di battitura.”

“Fattene una ragione. Prima te la metti via e meglio stiamo tutti.”

“Come potrei?”. Poi guadagnò equilibrio e si posò stanca coi gomiti sulla staccionata che dava sul ciglione della falesia, dando così le spalle a Resilienza.

Fissò nuovamente il tramonto, la dignità arancione del sole, la spuma della risacca del mare sulla costa, una nuvola a forma di Norvegia e si chiese quando le fosse capitato esattamente di essere messa alla porta. L’arte di non cedere metri a niente e a nessuno, soppiantata da quella di ringraziare dopo un calcio nei coglioni, di non farsene niente di una crisi.
Il vento si alzava e l’aria salmastra è il privilegio di chi non fuma, ma fumare è l’unica cosa che rimane a chi non sa che farsene dell’area salmastra, pensava. S’accese una Nazionale senza filtro, la strinse tra i denti e cominciò a parlarci attorno:
“T’immagini se coi nazisti si organizzava la Resilienza invece che la Resistenza?” E rise di nervo.
“Non si può resistere per sempre però. Arriva anche il momento in cui occorre consorziarsi agli altri allo scopo ultimo di trarre profitto”. La pancia fece da mantice al fuoco che le ardeva dentro, la sua pazienza stava bruciando viva, e sbottò: “Cos’è per te profitto? Di che consorzio parli? Di ‘sto mondo che blatera di uguaglianza, di inclusione, di te?”
“Sì! Tutti sono messi nella condizione di dare il meglio e allora? Secondo te come cazzo abbiamo fatto a sopravvivere alle tigri dai denti a sciabola o a bestie tanto più cazzute di noi, nonostante avessimo la pancetta, i brufoletti sul culo e le tettine?”
“Non di certo a colpi di flash mob.”
“Lo abbiamo fatto consorziandosi tra noi, decidendo come stare e con che obbiettivi.”
“E con chi dovrei stare? Con che obbiettivi? Con una moltitudine di cretini rincoglioniti che vivono per riempire il culo ad un paio di miliardiari che proditoriamente hanno loro confuso bisogni e desideri, per renderli clienti piuttosto di cittadini? Dovrei consorziarmi a chi m’ha avvelenato ricattandomi con l’antidoto?”
“Non è sempre tutto così simmetrico! Non riesci semplicemente a stare?”
Resistenza spense la sigaretta a terra con quel che le rimaneva delle suole e guardando ancora il mozzicone mezzo acceso incalzò abbassando però il tono:
“Questo è il mio modo di stare.”
“In sto mondo non c’è spazio per questo.”
“Cos’è mondo per te?”
“In che senso?”
“Come lo immagini? Cosa vedi? Per cosa combatti Resilienza?”
“Non combatto se non per me stessa. È forte la voglia di lasciarmi andare e mandare tutto a puttane, sai? Ma se funziono, tutto funziona e se funziona tutto, funziono io”
“Addirittura! Che mondo incredibile, no?” Con sarcasmo incalzò Resistenza
“Quanto lo era il tuo. Tu hai combattuto in modo che potessimo essere tutti uguali… ”
“Qui ti sbagli. Ho combattuto anche per l’equità, non solo per l’uguaglianza. Non posso più sopportare la retorica sull’uguaglianza dalla bocca di chi non sa sostenere la differenza. Come tutte le altre cazzate sull’inclusione! Altra truffa. Chi include chi? Chi chiude dentro chi? Tutti inclusi e nessuno compreso. Parli di stare assieme, ma la persona umana è più sola che mai: sola in pasto al capitale”
“Si. La conosco ‘sta storia. Come quella che le istituzioni difendono l’ordine e non l’equilibrio. Me l’hai già detta. Che poi mi fa anche ridere l’idea che invece delle forze dell’ordine possano esistere le forze dell’equilibrio che fermano le persone con tanto cibo dietro per darne un po’ a chi ne ha di meno, oppure se c’è una persona allegra viene bloccata ed invitata a consolarne una triste, e via dicendo”.

Le due risero assieme, ma poi Resilienza tacque di colpo. S’avvicinò a Resistenza e con rassegnazione chiese:
“Immagino che siamo qua sempre per lo stesso motivo.”
“Perché vieni ogni volta?”
“Perché hai bisogno di me”

Resistenza aspettò qualche secondo in silenzio che il sole s’affogasse totalmente nel mare e ne uscì una luna comprensiva. Prese forza e con uno scatto brutale strinse le mani attorno al collo di Resilienza che provò a reagire come sapeva, attaccata alla vita e affamata d’aria, ma le mani non allentarono e in un ultimo guizzo di forza spinsero quella parola innocente oltre la staccionata, giù dalla falesia.
Visibilmente scossa, Resistenza, si posò con un fianco alla staccionata sporgendosi pericolosamente verso lo strapiombo. Lottò per il suo equilibrio e vinse. Poi alzò lo sguardo al cielo per sfogarsi con la luna, ma se n’era già andata. Se ne stava lì, al suo posto, di nuovo quel maledetto tramonto che senza il suo permesso le costruì attorno una dignità arancione, delicata, pronta ad andare in frantumi alla prima parola svogliata che le fosse caduta sopra a peso morto.
Guardò giù dalla falesia e vide Resilienza uscire dall’acqua, asciutta, arrampicarsi sulla scogliera per tornare da lui.
Si guardò le mani.
Era successo di nuovo.

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