Una strana libertà

di Pier Aldo Rovatti

Libertà! Libertà!” urlavano i manifestanti, prima presso il porto di Trieste, poi, allontanati da lì, nella piazza centrale della città dove hanno dimorato per giorni, notti comprese. Chi sono, in realtà? Accontentarsi di chiamarli “no-green pass” è giusto ma non sufficiente per avere un’idea sull’identità di questo gruppo consistente di scontenti.

Cominciamo proprio da quella “libertà” che viene chiesta, di che tipo di libertà si tratta? Mentre può sembrare del tutto scontato al cittadino consapevole – come ciascuno pensa di essere – che libertà e responsabilità formino una coppia inscindibile, qui la responsabilità sembra qualcosa di rimosso o di radicalmente frainteso. L’ovvietà di pensare che la mia libertà non solo ha a che fare con la libertà degli altri che vivono vicino a me, ma si produce attraverso un rapporto che è fondamentale per qualunque convivenza o comunità, sta diventando sempre meno ovvia.

Accanto a noi (anche dentro di noi?) vediamo crescere un individualismo nel cui fondo la libertà corrisponde unicamente alla propria libertà personale, costituita da “ciò che io voglio”. Questo egoismo libertario non è una novità, nuova semmai è l’ampiezza del fenomeno: se storicamente il libertarianismo riguardava piccoli gruppi e specifiche ideologizzazioni politiche, oggi questa libertà appare come una componente del nostro vivere dentro una società che sancisce e premia gli interessi individuali, alimentandosi anche di chi si illude di collocarsi al di fuori.

Sarebbe da indagare con serietà se questa libertà individualistica che viene gridata (e praticata) sia figlia o soltanto affine rispetto alla solitudine del mondo digitale che sta con evidenza caratterizzando la nostra epoca: per rispondere di no non basta osservare che una piazza è l’opposto di uno smartphone, occorrerebbe riflettere quanto ci sia di rifiuto e quanto di passiva accettazione nell’attuale gesto libertario, quale immagine di società venga veicolata, magari inconsapevolmente.

Credo che faremmo un errore se liquidassimo i raduni dei no-green pass con un’alzata di spalle di fronte alla palese “stupidità” di questo comportamento, che oscura la questione della responsabilità nell’attuale situazione di pandemia. Qui a Trieste, dove vivo, si parla anche di una memoria che non passa e continua a mescolarsi con i fantasmi dell’asservimento producendo un corrispondente fantasma di libertà.

Se pure concedessimo che si tratti di una proiezione fantasmatica, sembrerebbe opportuno tentare di capirla meglio senza chiudere subito la questione. Naturalmente sto cercando di avvicinarmi alla pancia di ciò che accade, sempre che riusciamo davvero a sgomberare il terreno dal rimbombo di parole come “dittatura” o “emergenza” (o altre consimili), e dai problemi che chiamiamo con un eufemismo “infiltrazioni”, intendendo con ciò che le piazze dei no-pass possano diventare facile strumento di non sopite voglie e atti estremistici.

Dobbiamo forse riconoscere la “stranezza” di questo modo di manifestare l’esigenza di libertà. Se si tratta puramente di un’istanza individualistica, personale, astratta, trasversale al cosiddetto movimento e che quindi conterrebbe di tutto e di più quanto allo scontento, oppure se c’è un sottile filo che tiene assieme le diversità. Non saprei rispondere, comunque la domanda è legittima.

Che cosa lega così manifesti individualismi? Passando in questi giorni per piazza Unità a Trieste li vedevi lì seduti per terra, separati e uniti, in una specie di curiosa quotidianità in cui qualcuno faceva esercizi yoga, un altro perfino aveva atteggiamenti di preghiera, e c’era anche chi si era portato un divano su cui riposarsi. Potremmo archiviare tutto ciò come quisquilie buone per i media, ma perché negare che vi si può intravvedere anche un insoddisfatto bisogno di vita? Certo è ben “strana” e contraddittoria questa richiesta di libertà del tutto individuale che esprime la necessità di uno stare assieme, rifiutando una comunità davvero responsabile del proprio legame intersoggettivo.

4 COMMENTS

  1. Caro Pier Aldo, se vuoi sapere chi sono i manifestanti, e ti interessa una narrazione non completamente falsata dai media di ciò che è accaduto nelle ultime settimane, ti consiglio caldamente di leggere questa “cronaca” degli eventi (fin troppo onesta, considerate le bufale che si raccontano dall’altra parte). https://www.infoaut.org/precariato-sociale/una-prospettiva-sulle-mobilitazioni-contro-il-green-pass-a-trieste-seconda-parte
    E’ scritta dai compagni che sono tra gli organizzatori delle proteste triestine fin dal principio; proteste che vengono da lontano e che, inizialmente, erano rivolte contro l’assurdità del coprifuoco – misura con cui l’anno scorso evidentemente già ci si “scaldava” per la creazione di questo bel climetto repressivo in cui ci troviamo, e di cui personalmente mi spiace non trovare mai menzione nei tuoi recenti interventi (come mi spiace non trovare traccia di riflessioni sull’evidente ricatto sul lavoro che il GP rappresenta per le classi più povere e per i ceti più “popolari” della città e del Paese, o sulla vera e propria distruzione “finale” dei diritti dei lavoratori che questo disgustoso liquidatore neolibrale di nome Draghi sta svolgendo indisturbato, e anzi tra gli applausi di molte persone che osano ancora di dirsi di sinistra .
    ps: credo troverai in quell’articolo molte risposte alle domande che poni, in particolare rispetto a cosa sia oggi una “comunità” (prima ancora di porsi il problema se “responsabile” o meno): se – come noti giustamente nella tua riflessione – una “comunità” è quella di una piazza di decine di migliaia di persone che si ritrova, si confronta, vuole imparare a conoscersi, mangia e beve assieme…, o se invece una “comunità” sarebbe quella che mette firme online – per “credere” a “La Scienza” – fomentata dal Piccolo e dai soliti piddini.

    • Bella riflessione, ne avevamo già parlato in privato, mi piacerebbe pero’ chiedere a questo compagno (e a te, e a Pier Aldo) se pensate che lo sciopero a cui ho partecipato entsusiasta dell’11 ottobre – e relativo corteo triestino con più di mille persone (la metà almeno di queste presenti anche alle manifestazioni noGP) – organizzato dai sindacati di base, comunisti e anarchici, avrebbe avuto lo stesso successo senza le precedenti manifestazioni no-Gp. Detto piu’ seccamente: a livello teorico condivido tutto, ma poi c’e’ il reale di una scelta da fare. E spiace un po’che anche in ambienti più che amici non ci si accorga che, volente o nolente, queste piazze stanno riportando “a forza” alcuni temi fondamentali di cui poi tutti i movimenti stanno beneficiando.

    • In ogni caso i punti 2) e 4) del pezzo mi sembrano i più deboli. Il primo perche’ mettere davanti la questione sanitaria (vaccini) a quella dei diritti dei lavoratori (ricatto operato per mezzo del GP) e’ una valutazione del tutto arbitraria, e già “politica”.E il secondo perche’ e’ probabile che la richiesta dei tamponi gratuiti non sia fatta esplicitamente perché rappresenta una possibile mediazione tra le richieste dei manifestanti e le posizioni intransigenti del governo. E infine, l’articolo mi sembra mancare di chiarezza rispetto a quale dei due coordinamenti, ormai separati, indirizza le sue riflessioni (forse perché scritto troppo a ridosso degli “eventi”?).
      Ultima cosa, mi rammarico che non sia tra i punti programmatici del coordinamento, ma ho sentito personalmente lo speaker delle manifestazioni lamentare invece il fatto che i brevetti del vaccino siano nelle mani di poche aziende private e non vengano resi pubblici e messi a disposizione dei paesi più poveri.

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