Il tempio è sacro perché non è in vendita

Appunti pellegrini

di Lorenzo Natural

A proposito delle contestazioni nate qualche anno orsono all’ombra di Wall Strett, Pietrangelo Buttafuoco giudicava con la sua solita vis polemica gli “occupanti” del centro del potere finanziario mondiale: “Hai voglia a occupare, contestare, frignare se poi si è spiritualmente i gemelli omozigoti delle oligarchie combattute negli slogan. Se invece avessero letto Pound saprebbero che il contrario del mercato non è la democrazia, ma il tempio”.

Il tempio inteso non solo nella sua veste meramente mastodontica, come edificio religioso, ma come cifra, simbolo del sacro, di ciò che non è corrompibile né monetizzabile. Un sistema di valori individuali e/o comunitari che vive in un orizzonte di senso e significato al di là della quantificazione monetaria e che si riferisce ad altri – e superiori – livelli di corrispondenza.

La versione neoliberista del mercato – penetrato in tutti i gangli della vita sociale dell’uomo, fin nel profondo del sistema educativo e scolastico, che, come casa della formazione dell’individuo dovrebbe essere avulso da ogni logica legata al profitto immediato – per sua stessa natura tende a espandersi in ogni direzione: è la machine deleuziana che opprime l’individuo nella quotidianità della vita stessa e che lo svuota dal di dentro rendendolo meccanismo stessa della sua ripetitività. Seriale, non ciclica. In questo senso lo spazio sacro si trova in opposizione alla lex mercatoria: non è in vendita, non può essere quantificato con tali strumenti. È uno spazio, quello a cui si riferisce Pound, che non è necessariamente confessionale o religioso, ma presuppone un’opposizione netta con il profano: non vi può essere tempio laddove vi sia guadagno – o usura, per usare una semantica cara al poeta –, non vi può essere guadagno laddove vi sia tempio.

Muovendo in campo più strettamente religioso, la difesa del tempio si scontra ineluttabilmente con l’apertura al mercato da parte di coloro i quali dovrebbero garantirne la separazione: ecco che i grandi centri del potere ecclesiastico hanno ricoperto, sin dalle loro origini, con una patina sacralizzante l’anima utilitaristica dell’istituzione religiosa. Allo stesso modo i santuari della cristianità – per restare in territori a noi prossimi – sono stati invasi da carrozzoni circensi che risulterebbero tragicomici nella loro essenza kitsch se non travalicassero il limite della dissacrazione. Proliferano i business men (e le business women) della fede che attorno a questi luoghi e alla fragilità di certi credenti hanno costruito un impero, con il benestare del tessuto locale, rendendo turistico ciò che dovrebbe appartenere alla sfera mistica o devozionale. Il potere dell’istituzione religiosa si lega da sempre a quello del denaro: non scandalizza osservarne la progressiva degenerazione. I tentacoli della piovra giungono ovunque si emani profumo di soldi, tentando di ridurre anche l’esperienza più profonda a un fatto economico e, di riflesso, di guadagno. Se il devoto volesse raggiungere, per esempio, Lourdes, avrebbe a disposizione una gamma infinita di opportunità per poter delegare a un tour operator il proprio pellegrinaggio.

Dove la dimensione mercantile, pur essendo già arrivata, sembra rimanere ai margini, è nel pellegrinaggio a piedi. L’Europa è intessa di antiche rotte che di volta in volta sono state riscoperte nel corso dei secoli: probabilmente la più celebre di queste è il cammino che dai Pirenei francesi porta a Santiago de Compostela, sino a Cabo Fisterre, sull’Oceano Atlantico, ma esistono decine di altri sentieri spirituali che attraversano il continente. Il servizio di accoglienza, la possibilità di usufruire di trasporti, di servizi ad hoc, di poter svolgere il percorso in bicicletta, addirittura di aderire a una settimana all-inclusive preconfezionata sanciscono l’intromissione del mercato anche in questa realtà. Tuttavia, chi si appresta a intraprendere con cuore puro i chilometri che separano il viandante dalla città santa – da qualunque luogo egli parta e qualunque sia la sua meta – vivrà forse una delle esperienze più ricche e profonde che gli siano mai accadute.

In primo luogo perché alzarsi e mettersi in cammino significa soprattutto fare i conti con se stessi: con le proprie paure, i propri desideri, il proprio corpo, i propri limiti, la propria profondità. Scollinare un’altura, attraversare una periferia degradata, guadare un torrente in piena, ogni giorno, per chilometri e chilometri, significa tornare all’origine dell’esistenza umana. Significa riappropriarsi innanzitutto del proprio tempo, al di là di ogni logica che non sia quella del proprio corpo. È un viaggio che nella dinamica spaziale si estende in orizzontale, assecondando la curiosità del conoscere, dell’esplorare, del condividere e del sapere secondo un ritmo di vita umano che non asseconda più la serialità della macchina quotidiana, ma la ciclicità delle giornate e delle stagioni. Allo stesso tempo, compirà, in verticale, l’unico viaggio che conta, quello all’interno di se stesso, all’origine della propria essenza.

Si obietterà che non è necessario immettersi su un cammino religioso o spirituale per poter riassaporare l’antico piacere del viaggio, del cammino, del raggiungimento della meta, dell’incontro profondo con la propria anima e il proprio spirito: verissimo. Ciò che contraddistingue il pellegrinaggio è la storia di chi quel percorso, in un tempo remoto o prossimo, l’ha già compiuto. Il pellegrino rinnova una tradizione che affonda le radici nella notte dei tempi, a volte persino prima di Cristo: è la fiumana dell’umanità che ha solcato quella via e che, di volta in volta, la riafferma ogni qual volta un altro pellegrino compia su di essa un nuovo passo. È un incontro tra il movimento orizzontale e quello verticale che si ricongiungono al centro del cuore di ognuno, ma che esige la volontà di liberarsi dal peso del proprio Io. “Perché ti stupisci, se i lunghi viaggi non ti servono, dal momento che porti in giro te stesso?”, affermava Seneca. All’arrivo, è uso per il pellegrino bruciare i propri abiti, simbolo di un rinnovamento interiore ed esteriore. Già nel XIII secolo i mercanti genovesi giungevano al termine dei cammini per vendere i propri abiti. Ma il pellegrino è finalmente libero dal giogo materiale: lo possiede, non lo subisce.
Perché ha scoperto che il tempio è sì fuori, ma anche dentro di sé. In orizzontale e in verticale. Come in alto, così in basso. E non è in vendita.

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