Il dossier Dostoevskij

di Francesco Bastianon

Al palazzo del Ministero delle Endorfine, dei Neuroni e delle Sinapsi dell’Organismo Federale del signor Augusto, arriva l’ora del cambio turno.
«Ottimo lavoro», dice ai suoi dipendenti il Direttore dell’Ufficio Gestione Attività Lavorative. «Per oggi tutti a casa. Avanti così, ché dopodomani la settimana è finita». Strappa dal grande calendario sulla parete il foglio del giovedì. «Non ne mancano tanti di questi alla pensione.»
Gli impiegati si sgranchiscono le gambe, si alzano dalle scrivanie e mettono in ordine le loro cose.
«Adesso è a quelli dell’Ufficio Attività Immaginative che tocca sgobbare», dice uno di loro a un collega.
«Ma loro mica fanno fatica», gli risponde l’altro.

Il signor Augusto cammina in fretta verso la stazione. Va al lavoro in treno perché nei tre quarti d’ora di viaggio può dedicarsi ai suoi amati classici della letteratura. Spera sempre che non gli si siedano vicino gruppetti di ragazzi, o signore logorroiche che vogliono attaccare bottone, o stakanovisti che approfittano del viaggio per le chiamate di lavoro; peggio ancora: che non gli capiti una scolaresca di ritorno da una gita.

Nelle sale dell’ala sinistra del M.E.N.S., dove sono collocati gli uffici delle Attività Immaginative, si accendono le luci a neon. Lo Stenografo, mentre si scalda le dita, si rivolge alla Responsabile dell’Ermeneutica Letteraria, che è appena arrivata.
«Allora, quale caposaldo della letteratura ci aspetta oggi?», le chiede.
«Dostoevskij», gli risponde, secca, lei. «Come ieri e come l’altroieri».

Il signor Augusto sale svelto sul vagone e si mette a caccia di un posto libero. Ne trova uno vicino al corridoio. Di fronte, sul sedile accanto al finestrino, sonnecchia un uomo grassoccio, che non dovrebbe disturbare la sua lettura.

L’Ufficio Attività Immaginative è al completo. Il Direttore osserva orgoglioso le lunghe file di scrivanie su cui i suoi impiegati hanno elaborato per anni gli stimoli e le informazioni di concerti di musica classica, mostre d’arte e opere letterarie.
«Per aspera ad astra, caro mio», dice al suo giovane segretario. «Anni di duro e impeccabile lavoro e di risultati eccellenti – sacrifici, anche, certo – ma siamo vicini pure quest’anno al Premio Efficienza del M.E.N.S. Non mi espongo, ma non vorrei essere troppo cauto nel non dire che ai piani alti uno come me darebbe il suo buon contributo. Al diavolo! Lavora sodo, giovanotto, che quando sarò Sottosegretario potrebbe essermi utile uno competente. Alla faccia del Direttore delle Attività Lavorative.»

Il treno non è ancora partito e stanno salendo altri passeggeri: il signor Augusto non vuole che uno di loro sia tentato di sedersi sul posto libero a fianco al suo; così ci appoggia sopra la ventiquattrore. Slaccia le cinghie e apre la borsa. Dentro ci sono cartelle, quaderni, fascicoli ben ordinati e cancelleria disposta con cura. In una tasca, separato dal resto, si trova un libro voluminoso: è il romanzo di Dostoevskij a cui il signor Augusto si dedicherà durante il viaggio.

L’Addetta al Recupero Trama preme alcuni pulsanti sul Pannello di Controllo. «Direttore, invio all’Archivio Centrale della Memoria la richiesta dei fascicoli con le vicende dei capitoli precedenti?»
«Fai come sempre», le risponde lui.

I gesti del signor Augusto sono delicati. Inserisce la mano nella borsa. Chiude le dita sulla copertina del libro, lo palpa per sentirne la consistenza, lo carezza per tastarne la superficie liscia. Aumenta la pressione e lo tira fuori dalla ventiquattrore. Il libro sembra ancora nuovo: la costa è liscia e piatta; le pagine sono bianche, anche sui bordi; nessuno strappo, nessun graffio, nessuna piega. Eppure, quando Augusto lo apre, la pagina dove ha lasciato il segnalibro è quasi a metà. Lo avvicina al viso e inala l’odore della carta. Augusto inspira, chiude gli occhi, si raccoglie. Rimane qualche secondo così, con i profumi del libro dentro. Apre gli occhi, è pronto ad accoglie le parole del grande scrittore russo, espira. Comincia a leggere.

«Via! Si parte», annuncia il Direttore. Nella sala si alza uno strepito di grida, ticchettii, fruscii di fogli, suonerie, segnali acustici.

Dopo appena qualche paragrafo, si siedono accanto al signor Augusto, dall’altra parte del corridoio, tre ragazzi che chiacchierano a voce alta. Uno dei tre interviene saltuariamente, nelle pause che si concede dal cellulare, dividendo l’attenzione tra lo schermo e le parole dei due amici, che, invece, sono molto più loquaci.

«Vuoi scrivere alla Irene?», dice uno dei due loquaci all’altro.

«È fidanzata, no? Me l’hai detto te», gli risponde il secondo.

«Non so se lo sia ancora. Su Instagram è più attiva di me e te messi insieme.»

«E questo la dice lunga.»

«Venerdì prossimo c’è la P. che fa la festa di compleanno, e indovina chi è, anche, invitato?»

«Io?»

E tutti e due ridono.

«Se vuoi…», prosegue il primo.

«No, grazie.»

«Ti mangia!»

«Chi è invitato?»

«Una persona.»

«Ah, la Martina! Scontato. Viene su da Roma apposta?»

«Sì.»

«Per vedere te?».

E giù di nuovo a ridere ad un’altra spiritosaggine.

Interviene il terzo ragazzo, che fino ad ora è stato zitto, e alzando lo sguardo dallo schermo del telefono dice: «Se lo sa Hulk, vecchio…».

E ancora a ridere.

«Ci saranno la M. e la Giulia che si stanno caricando a molla», continua il primo dei due più chiacchieroni.

«Wow», gli risponde, senza entusiasmo, il suo interlocutore principale.

E di nuovo interviene il terzo amico, rivolto al primo: «Tu hai ancora il suo braccialetto, però.»

«Eh sì.»

«E te lo togli quella sera?»

Ridono di nuovo.

«Direttore, guardi qui», dice un’impiegata agitando un fascio di fogli. «Viene dalla Sezione Ricezione e Comprensione Linguaggio Parlato».
«Cosa me ne frega del Linguaggio Parlato? Non è a questo che stiamo lavorando, adesso. Ignora.»
«Ma, Direttore, sono voci molto insistenti.»
«E tu lo sei ancora di più!»
Si ode il gracchio di una sirena e una luce rossa comincia a lampeggiare. Tutti ammutoliscono.
«Che diavolo succede, ora?», chiede il Direttore agli Addetti al Pannello di Controllo.
«È l’allarme della Sezione Linguaggio. Non capisco», gli risponde uno di loro.
«E allora vedi di capirci qualcosa. Io telefono al Coordinamento Linguistico.»
Il signor Augusto lancia occhiate astiose ai tre ragazzi, che non lo lasciano leggere; ma quelli non le notano o non ci badano e continuano nei loro discorsi sguaiati.
Il Direttore grida al telefono: «Cosa state combinando?»
«C’è un problema al Punto Smistamento Informazioni Linguistiche: dalla Sezione Ricezione e Comprensione Linguaggio Parlato provengono segnali intensi, che interferiscono con quelli che invia la S.R.C. del Linguaggio Scritto.»
«E allora tagliate la linea.»
«Non possiamo, è competenza del M.E.N.S.»
«Chiamate il M.E.N.S., allora. Devo essere sempre io a dirvi cosa fare?»
«Ci abbiamo provato, ma hanno detto che gli ordini rimangono di processare tutte le informazioni.»
Il Direttore riattacca. Fissa la luce rossa che lampeggia, mentre tutti gli impiegati tengono gli occhi sulla sua faccia livida.
«Direttore», mormora il suo segretario. «Alla Sezione Elaborazione Immagini chiedono al più presto il dossier Dostoevskij di oggi. Siamo in ritardo sulla consegna.»
Il Direttore afferra le penne e i fogli dalla scrivania e glieli scaglia contro.
Lo Stenografo si avvicina alla Responsabile dell’Ermeneutica Letteraria. «Cosa sta succedendo? Qual è il problema?», le sussurra.
«Mi sembra ci siano delle grosse interferenze nei dati linguistici che arrivano dalle S.R.C. Se le cose stanno così, le informazioni sono troppo sporche per essere elaborate e, quindi, si ferma tutto.»
«E come facciamo? Come si fa a ripulirle?»
«È impossibile, sono troppo contaminate. Dovrebbe essere il M.E.N.S. a decidere, in questi casi.»
Lo Stenografo sgattaiola via dalla sua postazione, raggiunge il Pannello di Controllo e dice a un impiegato: «Hai tu il file con le informazioni delle S.R.C.? Me ne stamperesti una copia?»
«Che te ne fai? Sono pagine orribili, irrecuperabili.»
«Tu fidati di me. Ci penso io.»
Lo Stenografo torna al computer e comincia a picchiettare sui tasti. Il Direttore, che ormai non presta più granché attenzione alla sala, è attirato dal ticchettio e, sconcertato, chiede: «Ma cosa sta scrivendo, quello?»
Tutti osservano preoccupati lo Stenografo, che sta violando il protocollo (e sembra lo faccia con un certo impegno, tanto pare concentrato).
«Fermo! Fermo!», grida il Direttore, che già corre verso di lui.
«Finito! E ora lo spedisco», dice lo Stenografo e invia il documento alla Sezione Elaborazione Immagini, appena prima che il computer, la scrivania e lui stesso vengano travolti dal Direttore.

Il signor Augusto si sta spanciando dalle risate. Ride sguaiato, come non faceva da tempo, si piega in avanti, arrosisce, gli lacrimano gli occhi. Si mette una mano davanti alla bocca per trattenere i gridolini acuti, ma non riesce a smettere. Deve chiudere il libro e posarlo sul sedile, perché non è nemmeno più capace di leggere. I tre ragazzi lo guardano meravigliati. L’uomo che dormiva davanti a lui si sveglia di soprassalto e per un’attimo non capisce cosa gli abbia interrotto il sonno; poi si accorge del signore seduto di fronte, che si sta scompisciando, e vede, posato sul sedile, uno spesso volume su cui legge solo il nome dell’autore: Fëdor Dostoevskij. L’uomo richiude gli occhi, prova a riprendere sonno e, mentre si riaddormenta, si chiede cosa ci sia scritto di tanto divertente in quel libro.

Il Direttore dell’Ufficio Gestione Attività Lavorative ha appena finito di cenare. Finalmente si può togliere le scarpe e mettere comodo, in pantofole. Si siede sulla poltrona e, prima di addormentarsi, sfoglia la posta di oggi. L’ultima busta che apre è della Segreteria Centrale delle Attività Letterarie. Sa già cosa contiene, perché il Bollettino Quotidiano della Lettura in Treno giunge ogni sera a tutti i dipendenti del M.E.N.S. Il Direttore lo legge per conciliare il sonno. Dispiega i fogli e comincia a leggere. All’improvviso, dice alla moglie, sghignazzando: «Questo mica è Dostoevskij. Guarda qua.»

I tre giovani avevano giocato a carte tutta la sera, fino quasi alle tre di notte ed erano usciti euforici dalla bisca della Bubovna. Non indugiarono e decisero subito di andare a bersi da Erofeev i soldi che avanzavano. Salirono tutti e tre sulla carrozza del principe Dugin e il vetturino fece partire i cavalli. Il conte Rimskij, in uno stato di serenità in cui solo le carte lo lasciavano, osservava, trasognato, la città che scorreva fuori dal finestrino, mentre gli altri due conversavano, ancora in fibrillazione. La carrozza stava attraversando la Fontanka, quando il principe Dugin domandò al conte Ljubov:

«Ditemi, Nikolaj, avete intenzione di scrivere a Irina Vladimirovna?»

«Non è corretto quanto sapevo sul suo conto, che fosse, c’est-à-dire, déjà fiancé? Rammento che me lo avevate riferito proprio voi.»

«Non mi tratterrei dall’avanzare il dubbio che lo sia ancora. Pare che, ai salotti, civetti più di quanto lo facciamo io e voi ensemble

«Il che è tutto dire.»

E i due ridacchiarono, compiacendosi del buon umore di quella serata, che li rendeva entrambi inclini alle facezie.

«Venerdì prossimo», continuò il principe, «la contessa Pavlova terrà un ricevimento. Sapete chi vi è stato invitato?»

«Io?», scherzò il conte.

Il principe rise di gusto per la battuta di spirito di Ljubov, che, a sua volta, rise soddisfatto della reazione di Dugin al suo motto. Il conte amava distinguersi con le arguzie, in società.

«Qualora gradiste, Nikolaj…», gli ammiccò il principe, con un sorrisetto malizioso.

«No, vi ringrazio», si schermì il conte.

«Vi divorerebbe, ve lo posso assicurare», gli ribatté Dugin con un risolino.

«Su, ditemi, dunque, chi è stato invitato?»

«Una qual certa persona», gli rispose il principe, mantenendosi sul vago.

«Ah, la contessa Minskij, Marfa Dimitrovna, naturalmente. Verrà da Mosca appositamente per l’occasione, dunque?»

«Precisamente.»

«Per vedere proprio voi, Aleksandr?»

Risero di nuovo entrambi. Improvvisamente, il conte Rimskij si riscosse dall’incanto in cui la notte pietroburghese lo aveva precipitato e intervenne:

«Se lo dovesse venire a sapere il barone Folkovič, mio caro…»

Le risa – di tutti e tre, questa volta – risuonarono all’interno della carrozza.

«Sarei pronto a scommettere che la Miranova e Julija Petrovič si stiano approntando debitamente per l’occasione», continuò il principe, sogghignando.

«Interessante», gli fece il conte Ljubov, senza particolare entusiasmo.

Si rifece vivo il conte Rimskij:

«Tuttavia, principe, voi avete ancora in vostro possesso un certo suo piccolo pegno d’amore, vero?»

«È precisamente così, Vasilij.»

«Non pensate che agireste più opportunamente occultandolo, quella sera?»

I tre scoppiarono ancora a ridere, mentre la carrozza avanzava lungo la Nevskij.

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