“Distopie”: l’editoriale

Nel romanzo Utopia, andata e ritorno Philip K. Dick racconta di come, in un futuro remoto, il problema del sovraffollamento sulla Terra sia stato risolto fondando su un lontano pianeta la colonia Bocca di Balena, dove le terre a disposizione sono sterminate, le risorse naturali non mancano e l’aria è (ancora) pulita. Questo almeno secondo la SRH, azienda privata proprietaria della tecnologia in grado di teletrasportare i terrestri, e che di fatto governa la colonia. Nessuno può però confermarne questa narrazione anche perché il teletrasporto funziona solo in un verso: chi decide di partire non può più fare ritorno sulla Terra. L’alone di mistero suscita la curiosità di Rachmael, che deciderà di intraprendere un viaggio lungo 18 anni a bordo della sua astronave per vedere coi propri occhi quanto avviene su Bocca di Balena. Com’è facile immaginare, l’utopia raccontata dall’azienda non corrisponde esattmente a realtà, e nella colonia vige una feroce dittatura militare.

Curioso: in un romanzo dove la parola “utopia” è presente già nel titolo (almeno nella traduzione italiana), ci troviamo dinanzi a una distopia in piena regola. Come se non fosse più possibile al tempo di Dick concepire un’utopia che rimanga tale per tutti. E oggi? Basta provare a leggere una qualsiasi utopia per sentirsi strangolati in un sistema totalizzante, dove l’organizzazione è rigida al punto da annichilire la volontà di ognuno. L’utopia, ritenuta tale dal suo creatore, si tramuta in distopia per chi deve subirla.

Non a caso la distopia nasce proprio come risposta a un’utopia tradita. Pensiamo a 1984: qual era l’obiettivo di Orwell, se non denunciare il tradimento compiuto dal socialismo reale nei confronti del comunismo? E Il mondo nuovo  di Huxley non è forse una risposta a quanti vedevano nel fordismo la risposta a ogni problema economico? Se il nostro presente è saturo di narrazioni distopiche (da Black Mirror  Il Cerchio, tra le più note), dovremmo cominciare a interrogarci su quale sia, oggi, l’utopia tradita.

California, anni Ottanta. Nel deserto del Nevada si ritrova ogni anno una comunità aperta e sfaccettata formata da hippy, nudisti e millenaristi. È il Burning man, festival di arti, performance e invenzioni tecnologiche. Qui prendono forma – negli anni in cui nasce il cyberpunk – le prime etiche ed estetiche digitali. L’ideologia radicale e libertaria è presente ovunque: si ritiene che grazie alla diffusione di internet il sapere diventerà finalmente libero, gratuito e accessibile a tutti; mentre le nuove tecnologie potranno liberarci dalle fatiche del lavoro, permettendoci di vivere nell’ozio e di dedicarci alle nostre passioni.

Solo trent’anni dopo, il tradimento è visibile in tutta la sua chiarezza: la gratuità nel mondo digitale si è tradotta nella “libera” concessione della propria identità digitale per fruire dei servizi dei vari Google e Facebook; a cui si somma la manodopera sottopagata – spesso gratuita – dei lavoratori intellettuali; tutto ciò mentre l’automazione del lavoro copre un numero sempre maggiore di professioni, minacciando di ingrossare quello che Marx chiamava “l’esercito industriale di riserva”, i disoccupati. Le tecno-corporations della Silicon Valley hanno attinto molte delle intuizioni che ne hanno garantito il successo proprio dal Burning man, ed è qui che è possibile trovare quell’utopia (digitale) oggi tramutata in distopia così di frequente. Il nostro rapporto problematico con le nuove tecnologie innerva infatti Black Mirror, mentre Il Cerchioè un’azienda a metà strada tra Alphabet e Facebook.

Nel nuovo numero di Charta Sporca, però, abbiamo deciso di aprire e problematizzare questo scenario, estendendo il discorso e mostrando varie sfaccettature del genere distopico. Lo abbiamo fatto in una maniera per noi inedita: mescolando veri e propri articoli (seconda sezione) a narrazioni ibride, al confine tra finzione e realtà (prima sezione). Di tal fatta sono i racconti di Giuseppe Nava, la cui ucronia ci descrive un paese dove il poeta può divenire bersaglio politico per aver scritto dei versi contro la guerra; dello psichiatra e scrittore Piero Cipriano che, nel denunciare il futuro “manicomio digitale”, mette in sinergia il pensiero di Franco Basaglia con quello del filosofo Byung-Chul Han; di Ruben Salerno, che ci racconta il presente dell’Europa a partire da alcune sue “città invisibili” (eppure tremendamente opache); di Valerio Cianci, per il quale la vera distopia sta nella coazione del presente; di Anna Sardo, che ci aiuta a capire l’importanza del genere distopico per comprendere cosa sia la libertà; di Sabina Borsoi, che in un percorso fotografico disegna una Val Susa trasfigurata dall’aggressione del mostro Tav; di Stefano Tieri, alle prese con i paradossi di un’intelligenza artificiale “cosciente”.

Seguono gli interventi di Davide Pittioni, che ci fa respirare l’atmosfera cyber-punk a partire da Realismo capitalista di Mark Fisher, di recente tradotto in Italia; di Livio Cerneca, che si domanda se scrivere e leggere distopie non sia il primo passo per la loro effettiva realizzazione; di Piero Rosso, che interroga il rapporto problematico tra utopia e distopia a partire dalla vicenda editoriale del romanzo The dispossessed. An ambiguous utopia di Le Guin; di Daniele Lettig, che vede la distopia populista in cui siamo immersi edificata su un’utopizzazione del passato.

Non mancano poi le recensioni, come quella di Ilaria Moretti del romanzo distopico Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, o di Francesco Ruzzier che – dal festival del Cinema di Cannes – ha riportato l’intervista al visionario regista Cristopher Nolan, e in un altro articolo ci parla del film Under the Silver Lakedi David Robert Mitchell.

Infine, due interventi rivolti a due classici della letteratura: Fëdor Dostoevskij e Franz Kafka. Il primo, a firma di Eleonora Zeper, ravvisa l’origine del concetto di distopia all’interno della trattazione – da parte del romanziere russo – del luogo,specchio dell’interiorità dei personaggi, in cui non si vuole né si può vivere. Il secondo, di Carlo Selan, parte invece dalla lettura de L’altro processo di Elias Canetti per dimostrare come, persino in un romanzo fortemente connotato dal carattere distopico come Il processo, siano ravvisabili la sensibilità e l’esperienza quotidiana del suo autore.

 

Potete trovare l’ultimo numero di Charta Sporca nell’atelier dell’associazione Il Sestante (via Tivarnella 5, Trieste). Gli orari di apertura sono: mercoledì, giovedì, venerdì ore 16-20; sabato ore 10-13 e 16-20.

Sempre a Trieste, ci potete trovare anche nella libreria Dedalus (via di Torre Bianca 21/a).

È possibile infine acquistare l’ultimo numero anche online, su Abebooks

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