Radio Days #1

di Alina Tomasella

TOP FIVE – HORROR VACUI POST LAUREAM, OVVERO: COME HO IMPARATO A NON PREOCCUPARMI E AD AMARE IL DOLCE FAR NIENTE.

guadalupe plata

5) Guadalupe Plata (2015, Everlasting Records) – Guadalupe Plata

Qualcuno l’ha definito un album torcibudella: inteso nel senso positivo del termine, se esiste, sono d’accordo. Rock and roll Tex-Mex combinato ad un blues sporco – che fino ad ora era rimasto nascosto tra la Spagna e l’America Latina – viene proposto dal gruppo andaluso con una graffiante purezza anti mainstream. Pur non essendo un disco troppo curato, a volte un po’ ripetitivo, questo stile da garage risulta essere anche la sua forza. La voce intensa del front man (Pedro de Dios) e i riff della sua chitarra ci trasportano direttamente nei paesaggi suburbani della Los Angeles di Tarantino. Guardate qualche video live, dove riescono – più che in studio – a trasmettere la loro intensità.

Best Tracks: Calle 24, Filo de Navaja, Tengo El Diablo En El Cuerpo.

How Big How Blue How Beautiful florence

4) How Big, How Blue, How Beautiful (2015, Island) – Florence + The Machine

Il terzo album della band britannica, capeggiata da Florence Welch, abbandona i toni solenni di Ceremonials (2011) e si lascia definitivamente alle spalle il debutto floreale di Lungs (2009), per orientarsi invece verso trame più tetre; questo nuovo lavoro rivela profondità autobiografiche di dipendenze e di dolori sentimentali, rielaborati in maniera diretta ed incisiva. Un disco aggressivo, in cui il wall of sound con archi e fiati pomposi dei due album precedenti viene qui ridotto ad un trampolino dal quale si lancia arrabbiata la potente voce di Welch: più elettrica, più rock. Il ritmo e la sensualità di sempre tornano in veste nuova, elegante, ribadendo Florence + The Machine uno dei migliori gruppi della scena pop-rock odierna.

Best Tracks: What Kind Of Man, How Big How Blue How Beautiful, Delilah.

nathaniel-rateliff-and-the-night-sweats

3) Nathaniel Rateliff & The Night Sweats (2015, Stax- Universal) – Nathaniel Rateliff & The Night Sweats.

La calda voce del folk singer Rateliff viene prestata per questo album al soul delle origini e al blues nero degli anni ’50. Un disco coinvolgente in tutte le sue forme: dai motivi spassosi un po’ spiritual un po’ rock and roll, alle più morbide ballate, che in alcuni casi rendono un omaggio esplicito a Sam Cooke o a The Band. Canzoni giocate sui crescendo che creano un’aspettativa pienamente appagata dal ritmo trascinante di fiati e batteria. E siamo catapultati immediatamente nei locali più sudati del Mississippi a battere i piedi e bere la propria vita tutta d’un fiato.

Best Tracks: Howling At Nothing, S.O.B., Wasting Time.

Cournetbarnett

2) Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit (2015, Mom+Pop Music) – Courtney Barnett

Tra le migliori scoperte dell’anno passato, direttamente da Melbourne e ormai sulla cresta dell’onda indie mondiale, Barnett (candidata ai Grammy 2016 come migliore nuovo artista) rispolvera grunge e brit-pop, creando un sound perfetto per pomeriggi piovosi, da trascorrere di fronte ad una tazza di cheerios annacquati nel latte. Testi stream of consciousness che chiaccherano la banalità del quotidiano, con acute punte di sarcasmo e qualche strascico depressivo, e una chitarra niente male che ammanta il tutto di un certo fascino di trascuratezza. Ricorda un po’ i vecchi Strokes.

Best Tracks: Elevator Operator, Pedestrian at Best, Nobody Really Cares If You Don’t Go to the Party.

bringing it all back home - bob dylan

1) Bringing It All Back Home (1965, Columbia) – Bob Dylan

Sono stati festeggiati i cinquant’anni, lo scorso 2015, del disco che ha imposto una direzione innovativa nella giostra del rock anni Sessanta. Merita riascoltarlo, soprattutto per l’onda di libertà che attraversa tutto il lato A, fin dalla traccia 1: Subterranean Homesick Blues, un urlo elettrico che fa singhiozzare i seguaci figli-di-papà dell’epoca folk pacifista alla Blowin’ in the Wind (da cercare su youtube il video con Allen Ginsberg sullo sfondo, manifesto di poetica della svolta di Dylan). Sgraziato, anticonformista, Dylan scuote l’establishment che lo voleva incasellato nel menestrello erede di Woody Guthrie e si appropria di un’autonomia apolitica: ingaggia una band, impugna una chitarra amplificata (su lungimirante consiglio del produttore Tom Wilson, che sarebbe riuscito ad elettrificare anche il più famoso duo in dolcevita d’America, il quale pubblica Sound of Silence nel ‘66), scrive testi controversi, dichiarando la fine di un’era. La portata di tale scelta non è solo dettata dallo scandalo che ne è conseguito, ma anche dal modello che ha rappresentato per tutto il panorama musicale suo contemporaneo; una linea guida per gruppi e cantautori che avrebbero modificato notevolmente il proprio approccio dopo questo ascolto, i Beatles in primis. Una pietra miliare.

Best Tacks: Subterranean Homesick Blues, Loves Minus Zero/No Limit, Mr. Tambourine Man, It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding).

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