“C’eravamo, ci siamo, ci saremo”. Cronache da una valle che resiste

di Davide Pittioni

Eccola, la Val di Susa. Non ci arrivi gradualmente, per progressiva “perdita di civiltà”, come sembrerebbe da molte rappresentazioni di questo luogo diventato “magico”. Per la sua storia, da sempre animata nei racconti popolari da creature e miti, e per il suo presente, perché lì si consuma, o meglio, si produce quotidianamente un tempo liberato, sospeso, con altre regole, altre consuetudini, altre pratiche – alterità politiche di un tempo lontano dal nostro, sempre più asfissiante. Ci arrivi con l’autostrada A32 che ti lascia in Valle ad ogni svincolo, e finisce per attraversarla tutta – chi non ha mai sentito parlare alla radio del traffico in direzione “traforo del Frejus”! – ci arrivi dopo aver incontrato Torino, proprio lì dietro. Non è uno scontro tra civiltà e preistoria, questo, perché la Valle è già abbondantemente antropizzata.

Ti ritrovi disorientato, nelle prime impressioni, mentre si attivano le sinapsi mediatiche che ti parlano di persone vecchie e fuori dal progresso, preda delle razzie di antagonisti à la molotov e stupefacenti. Senza TAV non perdi nulla, in sostanza, e lì a fianco sfrecciano comunque i treni, sulla linea storica. La bassa Valle, abitata dal popolo No TAV e dove oggi sembrano spostarsi le più recenti mosse del progetto, ti accoglie da ogni casa con le sue caratteristiche bandiere. E quando entri a Bussoleno e ti infili tra le stradine del borgo alla sinistra della Dora, ti ritrovi alla “Credenza”, osteria molto nota nel movimento, gestita da Nicoletta Dosio, storica No TAV che negli ultimi mesi ha trasgredito le disposizioni dei suoi arresti domiciliari in un classico gesto di disobbedienza civile. Questure e Tribunali per mesi interi sotto scacco: cosa si fa adesso? È uno dei tanti spiazzamenti che produce la storia No TAV. Nonostante tutto. Perché a contarli, gli episodi sordidi subiti sarebbero tanti: ci sono le morti degli anarchici Sole e Baleno, ci sono le battaglie, le ossa rotte, i dispositivi di sicurezza quotidiani e sfiancanti, il maxiprocesso, le accuse, le carceri, i lacrimogeni, l’aria tumefatta.

Ombrelli, bandiere, striscioni e una lunga fila di corpi, mentre il corteo prende forma a Bussoleno, direzione San Didero, lungo la statale. Comitati, movimenti, lotte, amministrazioni, da tutta Italia, perché non è solo questo territorio a subire saccheggi e sfruttamenti.

Si spaccano contraddizioni, esplodono nodi che normalmente non vedresti. Cos’è un corpo preso in ostaggio? Cos’è un popolo schiacciato dall’Entità? Cos’è uno sgombero manu militari di un presidio popolare? Cos’è uno “scontro”? E dove sono i Black Bloc? Forse sono quei due uomini incanutiti che in una storica operazione di situazionismo politico-mediatico – smascheramento quasi comico dell’incessante propaganda di stato – si scoprono militanti incappucciati che battono le reti del cantiere. “Non ci hanno voluti portare in caserma!” commentano delusi nel video, facilmente reperibile su YouTube. Disturbo incessante, paziente, consapevole, di un movimento che ha saputo trovare tempi e modi del proprio agire politico ogni volta diversi, reinventandosi, perdendosi, ritrovandosi. Imparando a combattere un modello che non è solo produttivo – la logica neoliberista dell’appalto – ma complessivo, escogitato da un apparato che è politico, cioè regolativo, economico-finanziario, cioè estrattivo, e giudiziario, e quindi repressivo.

“Si parte, si torna, insieme… Siam tutti Black Bloc”, canta il corteo. Alè, alè, alè. Nella Valle che resiste ci arrivi in un sabato di maggio, sotto la pioggia scrosciante. L’assemblea che governa il popolo NoTav ha chiamato ad una grande marcia popolare sotto le parole “C’eravamo, ci siamo, ci saremo”. Una storia non si cancella in un attimo, soprattutto dopo venticinque anni. E in fondo i segnali c’erano tutti: da un parte la voracità di un progetto faraonico, dall’altra la resistenza di una Valle tenace, dalla pellaccia dura. Un viaggio che non promettiamo breve, come titola l’ultimo libro pubblicato da Wu Ming 1 proprio sull’epopea di questa lotta. Che parte all’alba, se non prima, dei cantieri, ancora sui progetti, che prosegue poi durante gli espropri e la militarizzazione della Valle, e si dà appuntamento al domani. Un futuro che resta incerto: perché nel frattempo il progetto è stato rivisto, modificato, adattato alle resistenze e ancora adesso si interroga sui propri passi. L’entità – come la rappresenta Wu Ming 1 nel suo racconto – rimane una bestia di fantasia: tutt’al più materializzata in un cantiere fantasma, nelle delibere, in qualche cunicolo esplorativo, nelle opere di servizio, nello sguardo innocente della Digos che ti chiede i documenti, nei camion, nella terra: la linea ad alta velocità, proprio mentre sembra trovare nuovi varchi, si smaterializza e scompare nelle pompose cerimonie dei trattati italo-francesi da cui “non torna più indietro”. Quanti ne hanno firmati? E intanto della Tav si sa ancora poco, o meglio si sa della grande opera grazie al paziente lavoro di inchiesta popolare su tutti i progetti, e le operazioni attorno, finora presentati.

All’inconsistenza della razionalità speculativa dei promotori del progetto, si oppone il tempo storico della Valle: le industrie e le lotte operaie, le ferrovie – perché i NoTav, paradossalmente, sono anche un popolo di ferrovieri – le lotte partigiane e le azioni di sabotaggio dei trasporti controllati e usati dai nazi-fascisti, le lotte nonviolente, gli anarchici e il cattolicesimo di base. Stravaganze, sembrerebbe, che intersecandosi trovano l’unicità di questa lotta. Non si tratta di farne un’idealità – come dappertutto, in fondo, è facile immaginarne gli scazzi, le difficoltà, i punti ciechi e gli sbagli – ma di coglierne la concretezza: tecniche, lotte, movimenti da immaginare come sostrati che si depositano nell’archeologia della lotta NoTav. “In Valle ogni conflitto riguardava, in ultima istanza, i trasporti. Spostamenti, attraversamenti, scavallamenti”, scrive WM1. E ancora lì ci troviamo: non contro i trasporti, ma per i trasporti e i transiti, i suoi tempi, che sono anche i tempi di vita di una Valle come questa.

Inzuppati a bordo carreggiata vedi scorrere il corteo: qua l’impressione è sempre imponente, i costoni della montagna, larghi, che ti avvolgono, li senti ai fianchi. Non è solo la montagna, non è solo un treno: è la lotta, senza aggettivi.

L’entità che cresce e fagocita pezzi di territorio, pur disturbata, continua nei suoi progetti, ma ogni volta costretta a cercare soluzioni per aggirare le continue barricate di un popolo variegato e fantasioso. L’aneddotica si spreca. È una parabola popolare di una comunità che trova la forza di raccontarsi, senza demandare ad altri la narrazione di se stessa. A sarà düra! ti dicono.

Questo piccolo contributo prende spunto dalla marcia popolare NoTav del 6 maggio e dal bel libro sulla storia NoTav di Wu Ming 1, Un Viaggio che non promettiamo breve. Ringrazio i compagni di viaggio, là in Val di Susa e qua nelle nostre città, in particolare un giovane collettivo grazie a cui non serve andare in montagna per respirare aria fresca.

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