Un approdo alla Zona

di Stefano Tieri

foto di Michele Porta

La Zona è stata riaperta. Sono passati diversi anni da quando un meteorite cadde su queste terre: a detta di alcuni, conteneva manufatti alieni in grado di esaudire ogni desiderio umano; secondo altri, così è iniziata l’occupazione nazista di Trieste e l’istituzione della “Zona d’Operazioni Litorale Adriatico”, a.d. 1943. Dopotutto, proprio questa rete di gallerie sotterranee (anche nota come “Kleine Berlin”), venne utilizzata dai tedeschi come ricovero antiaereo per i propri soldati. Ma, oggi, chi vi mette piede rischia di pagare con la propria vita: trappole mortali sono disseminate all’interno dei cunicoli, in grado di spostarsi autonomamente quando lo sguardo umano si posa altrove. Non ho potuto resistere: ho cercato il miglior stalker sulla piazza e l’ho pregato di farmi da guida. Si è dimostrato ragionevole e ha accettato subito, sebbene abbia dovuto dar fondo a tutti i miei risparmi. Non sarei stato solo: ad accompagnarmi nel viaggio ci sarebbero stati uno scienziato e uno scrittore, entrambi alla ricerca di qualcosa. Un’esperienza di vita? Ricchezza e potere? Sete di sapere? Inizialmente mi è stato difficile capirlo scrutando i loro volti tesi, leggendo tra le righe dei dialoghi spezzati da una luce saltata.

Il viaggio nella Zona non è stato facile. Prima ancora delle trappole, è stata l’indisciplina di chi mi accompagnava a mettere a repentaglio la nostra vita. Lo stalker era scioccato: quando si è trovato – in passato – al cospetto di simili atteggiamenti, la condanna a morte era cosa certa. La Zona non perdona. Quasi mai, almeno: noi siamo stati risparmiati. Eppure, continuo a pensare che una parte di me sia morta in quei cunicoli, alla ricerca di qualcosa che pensavo potesse cambiarmi la vita. Non so cosa avrei chiesto quando mi fossi trovato davanti alla sfera d’oro, il manufatto alieno (o nazista?) in grado di esaudire ogni desiderio. Lo scrittore, che forse sarebbe stato più opportuno chiamare l’alcolizzato, ci diceva che la sfera ci poteva leggere nel profondo, andando a realizzare il nostro desiderio più nascosto – così facendo, mostrando la nostra natura più abietta. La pace nel mondo? La sconfitta del cancro? Solo a parole: in realtà volevamo ben altro, e la sfera ci avrebbe accontentato.

Qualcosa di me è andato perduto, dicevo, a cominciare dalla memoria. Ricordo ancora il bombardamento del 10 giugno 1944. Ricordo le notizie sul meteorite e le prime sparizioni. Ricordo l’angoscia e la cupezza di quei mesi, la sensazione di essere al cospetto di un momento decisivo per il destino dell’umanità. Poco altro. Della nostra spedizione, non potrò dimenticare mai Giovanni Boni (lo scrittore), Lorenzo Acquaviva (lo stalker) e Lorenzo Zuffi (lo scienziato). Né la rassegna che l’ha ospitata, Approdi futuri. Né il film di quel regista russo – come si chiamava? Tarkovskij? – che diede la vita al capolavoro intitolato Stalker, a cui lo spettacolo è liberamente ispirato.

foto di Michele Porta

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