Il buon proposito

di Primož Sturman

(trad. dallo sloveno di Michele Obit)

Nella sala d’attesa dell’ambulatorio non c’è nessuno. Il momento ideale per venire a vantarmi dei miei successi, e allo stesso tempo, per incassare la giusta dose di complimenti e dare una scossa all’autostima.

«È ancora nervoso, vero?» mi chiede il dottore, quando apro la porta, vedendo che in mano stringo una pallina di gommapiuma.

«Beh, un po’ sì…» gli rispondo sorridendo.

«Da quanto non fuma, come si sente?» chiede, dal proprio lato della scrivania.

«Oggi è il ventottesimo giorno, sono giuste quattro settimane. Mi sembra di aver espettorato tutto.»

«Le sigarette, probabilmente, non le mancano più…»

«Non devo sforzarmi troppo per dimenticarle; forse solo a tarda sera, a volte, ho qualche crisi di astinenza, una strana sensazione nei polmoni. Ma a quell’ora comunque sono già a letto.»

A letto ci sto da solo, e mi sta bene. Fumare non è l’unica attività che ho scordato, a quanto pare.

«Cosa devo dirle? Continui così, e si goda le prossime vacanze.»

Forse è davvero un bene che abbia rinunciato al fumo a metà autunno e non abbia rimandato il tutto ai buoni propositi per il nuovo anno. Quelli sono dei cliché e come tali si perdono presto nel nulla.

«Andrà da qualche parte in vacanza?» continua il dottore.

«Quest’anno rimarrò a casa, ci sono stati parecchi cambiamenti e ho bisogno di tempo per abituarmi.»

Davvero. Non me la passerò troppo male.

«E lei, i suoi programmi per le feste?» chiedo, più per cortesia che per interesse.

«Come al solito. Con mia moglie andiamo a sciare a Corvara, i figli invece per conto loro.»

Noto che il dottore è più gentile e aperto nei miei confronti, da quando ho cambiato stile di vita e ho rinunciato alle cattive abitudini. Esco nel viavai del cilma natalizio. Davanti a un locale c’è un tipo che fuma una sigaretta elettronica. L’avevano proposta anche a me, tempo fa, degli amici, ma non è stata necessaria. Il vomito e il malessere sono bastati a indurmi alla disintossicazione dalla nicotina.

«Cosa prende? » mi chiede il cameriere, non appena mi siedo al tavolino. Non che ci siano molte persone nel locale, ma pare avere fretta. Forse stanno preparando qualche festa natalizia e non hanno troppo tempo per i clienti saltuari.

«Un prosecco, grazie.»

Ma non troppo freddo.

È l’ora dell’aperitivo. Alla mia destra sono sedute due ragazzine: la biondina tiene da tempo in mano il bicchiere, coperto di condensa all’esterno, con le goccioline che brillano sullo smalto delle unghie, diverso dal colore del drink solo per qualche sfumatura di rosso. Mi chiedo come faccia non sentire freddo ai polpastrelli. Si volta per un istante verso di me e mi fulmina, come a dire perchè mi stai fissando.

Alla mia sinistra si alza un signore di mezza età, anche lui come me qui per un bicchiere di vino. Ne approfitto e dal suo tavolino prendo il giornale che stava leggendo un attimo prima. Il sindaco fa sapere alla cittadinanza che a Capodanno non ci saranno fuochi d’artificio, per la soddisfazione di ambientalisti e dei rappresentanti delle associazioni per la tutela degli animali.

«Ma guarda, sei proprio tu!» sento una voce da dietro il giornale. Riconosco la voce e mi chiedo se dovrebbe esserci qualcun altro seduto al mio posto. La donna, in abito aderente, si siede all’altro lato del tavolino.

«Beh, come stai? Va meglio?»

Se non sbaglio, in questi ultimi tempi,non c’è stato molto interesse da parte tua per le mie condizioni.

«Meglio, grazie.»

«Hai una voce un po’ diversa, più limpida.» nota lei.

«Vero» dico quando mi accorgo che sta guardando il mio petto.

«Ma dai! Non rispondere sempre a monosillabi!»

L’alcool stasera ha già fatto la sua parte, evidentemente.

Si sporge verso di me. Istintivamente vorrei spostare la testa all’indietro ma non posso, sono seduto proprio accanto alla parete. Trovo invece una conferma riguardo l’alcool.

«Non temere, non ti bacerò. Volevo solo controllare se davvero non fumi più.»

«Non fumo più, davvero.»

Ma non perché me lo abbia chiesto tu, sia chiaro.

È tardi per trovare qualche scusa per andar via. Anche perché il cameriere, che se sembrava tanto di fretta, non mi ha ancora portato il bicchiere di vino.

«Un altro, per favore.» gli dico quando arriva con il mio.

«Sembri proprio un’altra persona, adesso che non hai più la nicotina in corpo.»

Abbandono subito l’idea di andarmene. Stasera per me doppia porzione di elogi. E poi il gioco sta diventando interessante.

«E tu, anche tu sei cambiata in qualcosa?»

«Non lo so, devi dirmelo tu.» ammicca.

«Dammi tempo.»

«Cosa vorresti dire?»

«Niente, così per dire.»

«Hai un’altra, al momento?» chiede all’improvviso.

Se le dico la verità, che non ce l’ho, faccio la figura del perdente. Se dico che ce l’ho se ne andrà e fine del gioco.

«No, non più.»

Ora immagina pure quello che vuoi.

«Chi stai aspettando?» chiede, dopo qualche attimo di silenzio.

«Nessuno! Sono venuto per un aperitivo in solitaria, non vedi?!»

Scoppiamo in una risata. Continuo ad essere nervoso, ruoto il bicchiere tra le mani. Se ne accorge anche lei, così esclama:

«Bene, allora brindiamo. Alla fortuna!»

E ad altro ancora, spero.

«Come ti va al lavoro? La capa continua a romperti?» chiedo. Dopo cinque bicchieri di prosecco, qualche decina di domande e un’ora di ciance, finalmente si confessa.

«Sai che mi dispiace un po’ d’averti lasciato?» dichiara, con gli occhi lucidi per il vino.

Non sono del tutto sobrio nemmeno io, ma tengo l’alcool meglio di lei. Che sia caduta in quel modo ai miei piedi è in ogni caso un bel colpo alla lotteria.

«Sei ancora in tempo per correggere il tiro.»

«Dai, lo pensi veramente?» mi guarda incuriosita.

«Non so, tu lo pensi veramente?»

«Eh, se continui così non andiamo da nessuna parte.»

«E tu dove vorresti andare?»

«Questo non posso dirtelo.»

«Ah, allora farò in modo che vada bene!»

Nel locale è tutto pronto per la cena della vigilia, è venuto il momento di andarcene. Lei è talmente ubriaca da sdraiarsi con la faccia sul tavolo.

«Chiamo un taxi, non preoccuparti» le dico, mentre la prendo per le spalle.

«Vengo con te fino alla fine del mondo» ribatte quando mi sente e, per riconoscenza, solleva leggermente la testa.

Con il freddo, davanti al bar, torna un po’ in sé. La aiuto a sedersi nell’auto.

«Ma non vieni con me? »

«Credo di no, sai. Non è che mi vada molto.»

«Non dire cazzate. Solo per stasera, dai, ti prego!»

Il tassista ridacchia tra sé.

«Qui ha venti euro, la porti all’indirizzo che le indicherà.»

«Maledetto frocio! Una donna ti si offre e tu non te la fai. Prima succhiavi sigarette, adesso invece succhi i cazzi!»

Lo riconosco, non le è mai mancata la fantasia.

Chiudo la portiera e mi incammino.

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