I siriani senza la Siria: l’arte della speranza

di Elisabetta Crevatin

opera di Tammam Azzam (Siria)

Ci troviamo a parlare nuovamente della situazione siriana, ancora una volta ad affrontare una tematica controversa, frammentata e piena di punti interrogativi. Il punto di visuale scelto questa volta però è meno anestetizzato e telescopico. Alcune interviste volte a residenti siriani o rifugiati portano in luce una questione forse troppo spesso accantonata: la produzione artistica dei cittadini stessi. Parliamo per un attimo di arte nella distruzione, di arte della distruzione, cerchiamo di capire il lato umano che resiste alla brutalità dello sterminio ingiustificato di civili. Contributo notevole è stato fatto dal progetto di Gassmann nel creare un reportage seguito da un documentario su questa tematica, intitolato Torn-strappati. E da questo punto si può approfondire l’argomento.

2011: pittori, poeti, musicisti, scenografi, scultori allo scoppio della guerra siriana lasciano le loro normali occupazioni per far fronte alla tragica situazione. La perdita della famiglia, dell’identità sociale, della patria e soprattutto della speranza verso il futuro li ha trasformati in fuggitivi, depauperati del genio artistico. Dal vivere per l’arte si sono ritrovati a provare l’arte del sopravvivere. Bombardamenti, spargimenti di sangue, carestie li hanno messi alla dura prova nel riuscire a continuare a produrre; ma è proprio in questa voragine di disperazione che ancora una volta la creatività ha lanciato un urlo violento, sbalorditivo, esemplare: il non mollare.

Quando un artista si ritrova privato dei propri strumenti è il migliore momento per evolversi, afferrare con le unghie e con i denti tutto quello che può avere a disposizione e continuare a creare. Se non hai più la possibilità di dipingere con gli acquerelli, usa i tessuti. Brandelli di carta vengono traformati in memorie poetiche, tutto può diventare un cimelio artistico. La tematica cambia, si parla di morte, di ingiustizia, di esasperazione, ma il dolore vivo, lucido, cristallizzato è comunque una vincita, è comunque vita.

Non è forse la prima volta che assistiamo a un fenomeno del genere, scontato ricordare l’immensa produzione artistica acquisita ad esempio dalle guerre mondiali. L’essere umano non è tale se nel momento in cui rischia di scomparire senza lasciare traccia, non si impegna a maggior ragione nel sopravvivere grazie all’arte. Essa è messaggio universale e dalle tante interviste a questi nobili condottieri siriani l’obiettivo che traspare è il far conoscere al mondo quel brandello di speranza che non li ha ancora trasformati in animali incoscienti.

“Come si fa a mantenere vive le proprie idee se si viene privati della casa, della nazione… di tutto?” (Nour Shamma, artista, drammaturgo,siriano, rifugiato)

Ancora più affascinante è scrutare il contro-meccanismo della proliferazione artistica nei campi profughi: chi ha solo una tenda la userà come mezzo di espressione; i muri che dividono, che dovrebbero proteggere ma che sono essi stessi il motivo per attaccare un territorio, diventano armonie di colori, sinfonie di storie, di memorie, di emozioni unificanti. Può essere la creazione artistica interpretata come concretizzazione materiale del bellissimo e al contempo terrificante disagio esistenziale? Lo squilibrio emotivo è arte, perché l’arte non è equilibrio, è spinta e come tale può solo partire dallo sbilanciamento dato dall’inquietudine. Ogni persona che assiste alla guerra diventa artista, perché ogni artista ha una guerra interna che deve essere espressa e comunicata.

Un aspetto ulteriore è la paralisi delle istituzioni. Con il proseguimento dei combattimenti, infatti, la società civile in Siria ha smesso di funzionare, le scuole non esistono più e si è ricorsi a trovare altri poli di aggregazione per educare le nuove generazioni. Un’altra fondamentale missione degli artisti siriani, di chi ha avuto la possibilità di ricevere un’istruzione, è quella di donare speranza a chi di speranza non vede uno scorcio nemmeno da lontano, i bambini. Ci si incontra nelle tende, si impara a danzare, a scattare una foto, a gioire dei pochi strumenti che si hanno a disposizione. È triste considerare che dagli infantili scatti verso un amico vicino, di una partita di pallone, man mano che i bambini cresceranno la curva del loro sorriso diventerà sempre più piatta, e che anch’essi, come i loro compatrioti anziani, cambieranno tematica. Inizieranno a riprodurre il sangue denso piuttosto che la loro amata, un corpo mal nutrito anziché la condivisione di un pasto caldo. Perché il presente in Siria oramai è visione incerta del futuro, nel presente siriano si cerca di dimenticare il passato, poiché esso stesso è stato spazzato via dalla morte. Ma il presente senza passato come può essere tale? Il presente senza una tensione idealizzante verso il futuro come riesce ad essere vissuto? La drammaturgica esorcizzazione della realtà porta alla formazione di un gruppo di individui limati, torturati ma ancora più forti, ancora più consci della loro messianica situazione.

Un ringraziamento dovuto va a questi gesti che fanno ricordare che, per quanto vile e utilitarista possa mostrarsi l’essere umano, non smette mai di sorprendere nel bene. Mentre siamo comodamente seduti sulle nostre poltrone, a pensare a quale noia potrà capitarci oggi – se il nostro bar di fiducia ci farà il caffè come lo vogliamo noi, se dovremo lamentarci per una “giustificata” buona mezz’ora di quanto difficile sia scegliere un lavoro che ci piace, se la strada che stiamo intraprendendo sia quella giusta – ricordiamo che almeno noi la possibilità di scegliere ce l’abbiamo.

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